Con la sua consueta voce calda, gentile e controllata, al telefono, Sergio mi fa questa domanda: «Perché le riviste di critica del fumetto non parlano del fumetto per bambini?» All’inizio penso che sia una delle mille formulazioni della questione da boomer che ci poniamo spesso quando volgiamo in forma interrogativa il rimpianto della giovinezza perduta, chiedendoci come mai non esista più una rivista che abbia la funzione del “Corriere dei Piccoli” o del “Corriere dei Ragazzi”. Poi, però, mi è subito evidente che la domanda non contiene la desolata tristezza delle memorie perdute dell’infanzia, delle occasioni perdute e di tutto il tempo che deve ancora venire. Nelle parole di Sergio c’è anche un’accusa: sa benissimo che faccio una di quelle riviste e che, senza alcun pudore, dichiaro continuamente, con fare tronfio, lodandomi e imbrodandomi, che quella che faccio io, con le mie amiche e i miei amici, è “l’unica rivista”.
È una domanda sensata, la sua, e non so rispondere. Affastello informazioni, prendo tempo, annaspo.
La prima tentazione è quella dell’attacco. Cosa ne so di cosa fanno le riviste di critica del fumetto? Non può funzionare: Sergio è una persona squisita.
Poi mi arriva la pulsione alla difesa del perimetro. QUASI parla di picture book e fumetti per bambini. È vero: quei libri piacciono molto a me, ad Arabella, a Francesco Pelosi, perfino a Boris. Ne abbiamo parlato, ne parleremo, ma non succede così spesso.
Accidenti! È una domanda sensatissima. È molto difficile che chi si occupa di fumetti per adulti e ragazzi si interessi anche di fumetti rivolti ai bambini. Perché?
Eppure, gli operatori del fumetto si lamentano spesso dell’assenza del “Corriere dei Piccoli”. Generalizzano, eh, mica vogliono proprio il “Corrierino” che leggevano loro in tenera età. Dicono che ci vorrebbe un editore (un altro, non certo quello per cui lavorano loro, che quello è piccolo e non può assumersi il rischio di un’impresa che, per quanto meritoria, potrebbe condurre al fallimento) capace di mandare in edicola una grande rivista, magari a un prezzo contenuto, destinata a un pubblico di infanti. Un periodico, capaci di intrattenerli, divertirli, formarli, informarli e, così facendo, introdurli alla lettura del fumetto, garantendo così nuovi lettori che permettano all’industria di sopravvivere. Ah! Che bei tempi quelli in cui si compravano “Il Corriere dei Piccoli” e “Il Giornalino”. Era tutta campagna, l’Italia era un posto migliore, stava per sorgere il sol dell’avvenire, si sentiva il frinire delle cicale tutto l’anno e i pomodori avevano un sapore buonissimo.
Varianti più o meno articolate di questa sentenza le abbiamo sentite spessissimo. Manca, in Italia, un fumetto destinato ai bambini! Eppure quando quei fumetti ci sono, tendiamo a ignorarli, a fare finta che non esistano.
Perché?
Ha tutta l’aria di essere una questione articolata e complessa e non ho neanche un’ipotesi di risposta. Per indagarla, lo so, devo partire dai miei limiti (assumendo che siano rappresentativi anche di quelli altrui).
Innanzi tutto, a me interessano i libri illustrati (per adulti e per bambini) e mi piacciono i fumetti per bambini. In secondo luogo, ho un interesse personale a stanare i fumetti per bambini: ho due figlie e un figlio che coprono un intervallo di età che varia dai ventiquattro ai sette anni. Cerco cose da leggere loro o da fargli leggere da un quarto di secolo.
Pur avendo motivazioni così forti e un’esperienza lunga e duratura, riesco a muovermi agilmente tra i classici, ma ho difficoltà a intercettare le novità.
Per capire le ragioni di questi limiti provo a segmentare il problema. Non voglio nascondere cinismo e prosaicità e, quindi, mi concentro sui posti nei quali potrei comprare il fumetto per bambini, magica chimera dal volto umano: edicole, fumetterie e librerie.
In primo luogo, le edicole. In quelle che frequento, trovo poche costanti e molti prodotti occasionali.
Innanzi tutto, c’è “Topolino”, di cui si parla, eccome.
Poi, c’è la testata più inossidabile al tempo: “Pimpa”. Cosa si può dire a una pubblicazione che riporta in copertina il nome rispettabilissimo di un autore dalle qualità indiscutibili come Altan? Nulla. E, infatti, non se ne parla mai. “Pimpa” è un mensile identico a se stesso da decenni. Cambiano i contenuti a seconda del periodo dell’anno (le stagioni, la frutta, il carnevale…), ma le annate sono assolutamente intercambiabili. Altan, con ogni probabilità, non contribuisce ad alcuna storia pubblicata sul mensile. Si tratta di un prodotto funzionale, pensato per bambini in età prescolare. Fatto con una professionalità altissima, ma algido come il cuore della regina dei ghiacci.
Oltre a “Topolino” e “Pimpa”, un’infinità di riviste spillate, quasi sempre meno che mediocri, con gli adesivi, da colorare, da ritagliare, oppure dedicate a personaggi dell’animazione per i più piccoli e a youtuber. Si tratta di periodici costruiti sulla falsariga di “Pimpa” con fumetti brevi e giochi. Mi sembra che il fatto che non se ne parli sia una buona cosa.
Nelle edicole che frequento non vedo più “Il Giornalino” e “G Baby”. Le ultime volte che avevo sfogliato quei periodici, mi erano parsi insignificanti.
Mi pare che delle altre testate che potrebbero essere di qualche interesse per i bambini – Scottecs e i manga – si parli abbastanza, mantenendo però un assoluto disinteresse verso il pubblico, forse solo potenziale, dei bambini.
Le fumetterie sono il territorio nel quale la critica del fumetto si muove agevolmente. Sono spazi dominabili, alimentati da una rete distributiva che produce cataloghi mensili (“Anteprima”, “Mega”, “Manicomix”, …) facili da consultare. Se un editore si infila là dentro, è difficile che sfugga alle attenzioni della critica. Ci sono fumetti per bambini in fumetteria? Molto pochi, mi sembra.
Sono centellinati nei cataloghi dei diversi editori. Siccome raramente fanno parte di un discorso organico, è difficile riconoscerli come fenomeno rilevante. Sono puntini difficili da unire. Mi sembra che gli unici che abbiano dato a quei libri la dignità di una collana riconoscibile siano Tunué con Tipitondi (che però contiene PeraToons e non riesco a dirne senza lasciarmi scappare un commento sprezzante), Beccogiallo con la bellissima serie Ariol di Emmanuel Guibert e Marc Boutavant (dodici volumi in sei anni), Canicola Bambini (una decina di libri in sette anni), Diabolo edizioni con Peperoni (quattro titoli in tre anni).
E, infine, ci sono le librerie generaliste, magari digitali, o afferenti a una catena o a un franchise, alimentate dalla distribuzione libraria ordinaria. Scovare i fumetti per bambini in libreria è difficile. Quando non sono pubblicati da editori di fumetti, i librai – anche quelli più attenti – li ripongono tra i libri illustrati. Mi pare che la distinzione tra picture book, libro illustrato e fumetto precipiti tra sfumature che interessano solo gli uffici commerciali e le sette dell’ontologia della letteratura sequenziale. Tra i libri con le figure ci sono tutti i grandi autori difficili da classificare. Uno dei miei fumettisti preferiti, Raymond Briggs, è così tanto inclassificabile da essere spesso ignorato tanto dagli studiosi di letteratura per l’infanzia quanto dagli estensori di enciclopedie del fumetto.
Sergio, l’amico che mi ha fatto la domanda al telefono, si chiama Sergio Ruzzier. È un autore di libri per bambini molto bravo, è stato selezionato da Maurice Sendak per il Sendak Fellowship, ha pubblicato su antologie curate da Monte Beauchamp (hai presente “Blab”?). Uno così.
I libri di Sergio li conosco (e non sono il solo a conoscerli qui nelle stanze di QUASI: me ne ha parlato di recente Francesco Pelosi che è un grande lettore di libri illustrati per bambini). Eppure non mi sono mai accorto che sono fumetti.
Allora, forse, ho una risposta per quella fastidiosa domanda: «Perché le riviste di critica del fumetto non parlano del fumetto per bambini?»
Perché siamo oscenamente pigri. Non sappiamo riconoscere i fumetti quando non ci vengono serviti da una rete commerciale come fumetti, quando sono nascosti altrove, quando non gridano il loro essere lettura per gli scemi fin dal marchio, fin dalla copertina, fin dallo scaffale su cui sono esposti.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).