Ci sono tanti modi per annientare un popolo. Uno di questi è la distruzione sistematica del suo patrimonio culturale, delle università, dei musei, delle biblioteche. Fra le oltre 30.000 vittime del genocidio tuttora in corso in Palestina ci sono intere generazioni di scrittorə, poetə, pittorə che hanno raccontato lo splendore della loro terra e la violenza del colonialismo israeliano. Ricordare almeno qualcuna di queste persone è il minimo che possiamo fare per strapparle all’oblio, continuando a chiedere un cessate il fuoco permanente.
Fathi Ghaben, fondatore del Fathi Ghaben Center of Arts e tra lə fondatorə dell’Association of Fine Artists and Artists a Gaza, era nato nel 1947 nel villaggio di Hiribya, all’interno della Gaza storica prima della Nakba del 1948. Profugo da quando aveva appena un anno, cominciò a dipingere con tecnica a olio da autodidatta, rappresentando scene di vita quotidiana ispirate al suo villaggio di origine, ma anche la tenace resistenza all’occupazione sionista. Lui stesso subì numerosi arresti; quando uno deə suə figlə, Hossam, sviluppò un cancro Ghaben si trovava in una prigione israeliana. Hossam non ricevette cure mediche e morì a soli 18 anni.
La sorte di Ghaben è stata simile: affetto da gravi problemi al torace e polmonari, peggiorati da un’aria ormai irrespirabile per via dei bombardamenti e dalla carenza di medicine e ossigeno, è morto a Gaza City il 25 febbraio 2024 dopo che le autorità israeliane non gli avevano permesso di uscire dalla Striscia per curarsi.
Nata il 18 febbraio 1984 nel campo profughi di Al Burejj a Gaza, Heba Zagout era maestra elementare e pittrice, laureata in belle arti all’Università di Al-Aqsa. I suoi coloratissimi quadri ad acrilico sono ricchi di dettagli, tra abiti tradizionali, alberi carichi di arance, colombe della pace, chiese, moschee, la Cupola della Roccia a Gerusalemme – una città che non poté mai vedere di persona. Con le proprie opere ha raccontato l’identità palestinese, le storie della sua famiglia (espulsa dal villaggio di Isdud, ora una città israeliana chiamata Ashdod) e l’amore per lə suə quattro figlə: Adam, Mahmoud, Faisal, Baraa. Il 13 ottobre 2023 è morta a Gaza sotto un attacco aereo israeliano, assieme ad Adam e Mahmoud.
Poetessa, romanziera ed educatrice, Hiba Abu Nada era nata il 24 giugno 1991 a La Mecca da una famiglia di rifugiatə della Nakba. Ha fatto parte del Movimento Wikimedia e si è laureata in biochimica all’Università Islamica di Gaza, dove ha conseguito anche un master in nutrizione presso l’Università Al-Azhar. Ha pubblicato delle raccolte di poesie e un romanzo, Oxygen Is Not for the Dead. Dopo la morte di lei e di suo figlio, avvenuta il 20 ottobre 2023 a Khan Yunis (Striscia di Gaza) durante un attacco dell’aeronautica israeliana, i siti “Mizna” e “ArabLit” hanno pubblicato in inglese la sua poesia Not Just Passing. Tra gli ultimi componimenti prima di venire uccisa c’è I grant you refuge, pubblicato postumo in inglese dalla rivista “Protean”. Questi i versi finali:
«I grant you refuge in knowing
that the dust will clear,
and they who fell in love and died together
will one day laugh»
«Ti garantisco rifugio nella consapevolezza
che la polvere si dissiperà,
e coloro che si innamorarono e morirono insieme
un giorno rideranno»
Refaat Alareer, nato a Gaza City il 23 settembre 1979, è stato poeta, anglista e attivista. Divenuto professore all’Università Islamica di Gaza nel 2007, ha pubblicato due volumi di racconti, Gaza Writes Back nel 2014 e Gaza Unsilenced nel 2015, anno in cui ha fondato “We Are Not Numbers”, un progetto di laboratori di scrittura in inglese affinché lə giovani palestinesi a Gaza facessero sentire la loro voce. Alareer e WANN hanno sempre ricordato che le vittime degli attacchi israeliani non sono, appunto, soltanto numeri, ma esseri umani a tutto tondo con sogni, pensieri e una vita interiore. Padre di sei figlə, è stato ucciso con parte della sua famiglia il 6 dicembre 2023 a Gaza City da un bombardamento che l’organizzazione no-profit Euro-Med Monitor ha definito chirurgico, dopo settimane di minacce che Alareer aveva ricevuto online e per telefono da account israeliani.
Il 1 ̊ novembre 2023 ha pubblicato sul suo account X (ex Twitter) If I must die, la sua ultima poesia, che da allora ha fatto il giro del mondo venendo tradotta in più di 40 lingue.
«If I must die,
you must live
to tell my story
to sell my things
to buy a piece of cloth
and some strings,
(make it white with a long tail)
so that a child, somewhere in Gaza
while looking heaven in the eye
awaiting his dad who left in a blaze—
and bid no one farewell
not even to his flesh
not even to himself—
sees the kite, my kite you made, flying up
above
and thinks for a moment an angel is there
bringing back love
If I must die
let it bring hope
let it be a tale»
«Se dovessi morire,
tu devi vivere
per raccontare la mia storia
per vendere le mie cose
per comprare un pezzo di stoffa
e qualche laccio,
(fallo bianco con una lunga coda)
cosicché un bambino, da qualche parte a Gaza
guardando il cielo negli occhi
in attesa di suo papà che se ne andò in una fiamma—
e non disse addio a nessuno
nemmeno alla sua carne
nemmeno a se stesso—
veda l’aquilone, il mio aquilone che hai fatto tu, volare su
in alto
e pensi per un momento che un angelo sia lì
a riportare amore
Se dovessi morire
fa’ che porti speranza
fa’ che sia un racconto»
Sbarcata su QUASI grazie a Paolo, scrive poco ma cerca di darci senso. Ama i film di Miyazaki, i gatti, la pappa al pomodoro e tante altre cose. Odia i fascisti. Se non può ballare non è la sua rivoluzione.