Ho una certa età e convinzioni che si sono consolidate nel tempo: Go Nagai è il mio mangaka preferito. Certo, guardavo gli anime tratti dai suoi manga, da piccolo (e Mazinga Z è sempre stato il mio preferito), ma la vera iniziazione ai suoi fumetti l’ho avuta recuperando una manciata de “Il Grande Mazinga” edito da Fabbri Editori al “Free-time” di via Cornarotta a Treviso (in quella via c’erano il negozietto dell’usato e la centrale dei Carabinieri: oggi sono scomparsi entrambi; 1 a 1, palla al centro). Poi sono arrivati gli albi di Granata Press.
Il primo è stato il suo “Devilman”. Poi, con non poca delusione, aprendo il primo numero della prima edizione di “Mazinga Z”, ho scoperto che l’albo che stringevo tra le mani non era veramente “suo” – come tra l’altro “il Grande Mazinga” Fabbri – bensì di Gosaku Ota. È una scelta che ammetto di non aver mai davvero capito: Mazinga Z e Grande Mazinga di Gosaku Ota sono senz’altro più aderenti alle serie animate, ma Granata ce li proponeva come le “versioni adulte” confrontandole alla prima, al tempo inedita, versione di Go Nagai, relegandola a qualcosa “per bambini”. Quando abbiamo potuto leggerla, molto tempo dopo, abbiamo scoperto che non era proprio così, anzi. Poi se ricordo bene l’escalation, arrivarono gli OAV di Devilman che guardavo in giapponese con i sottotitoli in inglese e i due volumi di Mao Dante: ormai ero totalmente conquistato.
Mi sento un mitomane a dirlo, ma i costumi della casa prevedono che si raccontino sempre le proprie “memorie di lettore da cucciolo”, probabilmente se non proprio la prima, una delle mie primissime pubblicazioni “professionali” è proprio legata a Go Nagai, “Mangapocalisse”, un intervento scritto insieme a Massimo Perissinotto nel minuscolo saggio Go Nagai: Una genesi demoniaca, che ospitava interventi di Federico Colpi, Frederick Patten, Maurizio Ercole e, ma guarda un po’ chi si rivede da queste parti, Omar Martini (Akromedia, 1996).
Faccio presente al lettore post-2000 che fino a qui ho parlato di manga che oggi sarebbero considerati pubblicati “alla rovescia”: tutto il primo Nagai che posseggo si legge da sinistra verso destra e si apre mantenendo il dorso dell’albo a sinistra.
Capiamoci, non sono un “fissato” di Go Nagai. Ho una fissazione media, che mi porta magari ad avere nella mia biblioteca V – Visitors disegnato dal suo assistente Tatsuya Yasuda (è un libro che incrocia molteplici passioni contemporaneamente, diciamo), ma non l’opera omnia delle infinite riscritture dei robottoni e delle saghe demoniache, di cui conservo i “classici”. Quali sono i classici secondo me? Vabbè, Mazinga Z e Grande Mazinga nelle due versioni, di Nagai e di Ota, Goldrake, Jeeg Robot sempre insieme a Yasuda, Getter Robot e Getter Robot G con Ken ishikawa, MazinSaga, Devilman e Mao Dante. A questi fanno da corollario alcuni volumi sparsi di Scuola senza pudore, Amon, Devilman Saga, Devilman contro Getter Robot, qualche altra rissa tra robottoni e la serie di Z Mazinger ancora da leggere. A malincuore, mi manca Violence Jack, un giorno recupererò. Arrivato a questo spropositato numero di battute magari è legittimo chiedersi perché, ti sto raccontando tutto questo, e prometto di avvicinarmi al punto.
Ho deciso di guardarmi Mazinga Z Infinity. È un film d’animazione del 2017, diretto da Junji Shimizu, realizzato in occasione del 45° anniversario della serie. Non ne sapevo niente, non lo avevo minimamente considerato quando è uscito, figuriamoci andare al cinema. Il design di Mazinga Z nel trailer non mi entusiasmava, generalmente non mi entusiasma quando si tenta di rendere fintamente tecnologico ciò che non lo è: per quello ci sono Gundam, Macross, Patlabor e un sacco di scelta.
Dato che non ne sapevo nulla e mi pare pure non abbia fatto un gran clamore alla sua uscita (ma magari sono io che ero disinteressato), è stata una piacevole sorpresa scoprire che è collocato dieci anni dopo la conclusione della serie originale. Mi ha un po’ spaesato: dopo decenni a raccontare in giro che in Italia abbiamo presentato le serie di Nagai nell’ordine sbagliato, partendo da Goldrake che era l’ultima proseguendo solo poi con Mazinga Z e il Grande Mazinga, scopro che, nel film, Goldrake e l’esperienza di Koji Kabuto come pilota dell’ufo giallo che lo supporta sono stati rimossi dalla continuity. Ma Go Nagai, lo sappiamo, non è mai stato un fanatico della continuity e da decenni si diverte come un bambino a spostare, mischiare, confondere le acque con i suoi personaggi, presentandoli in opere sempre nuove. Se ha deciso che per il 45° anniversario della sua creatura andasse fatto così, ha ragione.
Ora è evidente che non parlo di dati oggettivi e qua rientrano un sacco di questioni in ballo sui perché e i percome ma, l’ho detto, Mazinga Z è sempre stato il mio preferito tra i robottoni. Anche nei fumetti. E se nella trilogia Mazinga Z/Grande Mazinga/Goldrake dovessi fare una classifica personale il Grande Mazinga non starebbe neppure al secondo posto. Lo odiavo il Grande Mazinga, mi aveva rubato il mio Mazinga preferito! Certo, salvandolo nell’ultima puntata della serie ma insomma, ha rubato la scena al mio preferito. E comunque… a nessuno è mai venuto in mente di festeggiare il 45° compleanno de Il Grande Mazinga!
Mazinga Z mi è sempre stato più simpatico perché… boh… in un paragone azzardato, secondo me, siamo di fronte al Peter Parker dei robottoni giapponesi. Hai in mente in che condizioni è Mazinga Z alla fine di ogni puntata? È sempre rotto. Tutto spaccato. La serie d’animazione, se non sbaglio, è di 92 episodi, e per 92 volte questo si prende un sacco di mazzate. Certo, alla fine vince, ma nel frattempo gli fanno di tutto. Poi arriva quel damerino di Tetsuya Tsurugi che ha un robot che non si spacca quasi mai e ha le ali native, mica deve rincorrere il jet scrander.
È come, proseguendo nel paragone azzardato, se al numero che so 33 di “Spider-Man” attorno al 1963 comparisse Batman a levargli il ruolo da protagonista. Da studente squattrinato a magnate miliardario, di botto.
Temevo che in Mazinger Z Infinity, come al solito, quell’antipatico del Grande Mazinga fosse il salvatore della situazione. Ma non lo è. Anzi, il film è proprio centratissimo su Mazinga Z e Koji Kabuto, e su quello – illuminazione – che fu l’incipit della serie e tra i temi più affrontati da Nagai lungo il corso di tutta la sua carriera: dio o demone?
Sono andato a controllare. Per scrivere questo articolo ho riletto i primi episodi dei Mazinger Z di Nagai e Ota. Mentre nel secondo è una cosa più sfumata, da sempre questo è l’incipit, è l’equivalente del motto “supereroi con superproblemi” applicato al mondo di Go Nagai. Tanto da essere il significato stesso della parola Mazinger, che deriva da “Majin”, una parola giapponese composta da due kanji, di cui il primo, “Ma”, significa “demone” e il secondo, “Jin”, significa “dio”.
È il dottor Hell, una volta impossessatosi di Mazinga Infinity (un Mazinga alto e grossissimo, simile a quello di MazinSaga) a porre, di nuovo, la domanda a Koji mentre se le danno di santa ragione: «Vuoi essere dio o demone?». E poi, «Questo mondo merita di sopravvivere, oppure no?»
«Sì», risponde Koji e, con l’aiuto di tutto il mondo, riuscirà a sconfiggere Hell anche questa volta.
Il conflitto tipico rappresentato da Go Nagai è quello tra un mondo e quello che lo precedeva. I demoni di Devilman e Mao Dante sono i primi abitanti del pianeta, quando emergono risvegliandosi dai ghiacci per loro è semplicemente naturale farci fuori per tornare a dominarlo.
Le truppe del Generale Nero che affrontano e sconfiggono Mazinga Z per essere poi sconfitte a loro volta dal Grande Mazinga emergono dalle viscere della terra. In Goldrake è Actarus che riesce a riprendersi il suo pianeta dai vegani cattivi. La violenza è lo strumento principe per ottenere il proprio risultato e anzi, nell’escalation tra i Mazinga è evidente quanto, nel mondo di Nagai, la proporzione tra violenza esercitata e risultato sia direttamente correlata. Tetsuya è più cattivo di Koji, per vincere serve essere più cattivi dell’avversario, diventare peggiore di lui.
Anche a costo, rimane là Devilman a mostrarcelo, di portare il mondo verso l’apocalisse.
Con un enorme potere in mano nel furore della battaglia (dopo che, come da tradizione, Mazinga Z ne ha prese un sacco) Koji decide di non essere demone e che sì, “questo mondo merita di sopravvivere”. Il nemico va sconfitto e la spirale della violenza spezzata. Che è una bella frase ma quando la applichiamo alla realtà diventa un casino. Cioè, se dall’altra parte, qualunque sia la parte che tu consideri “tua” nei mille conflitti in corso su questo pianeta, ci sono degli esseri umani con i loro mutui, i loro lavori, le loro sfighe, le loro delusioni d’amore, i loro figli, le loro bollette, il loro rimanere così inspiegabilmente attaccati alla vita, cosa cazzo significa “vincere”? Siamo seri, avete pensato tuttə a quella parola che pare non si possa più dire se non il 27 gennaio.
Magari fossero tutti come il dottor Hell, i cattivi. Magari il mondo fosse così semplice. Mazinga in realtà quella scelta non l’ha mai fatta, è sempre stato “demone” per il suo avversario e “dio” per l’umanità, simultaneamente. Ma quando è l’umanità a essere attraversata da conflitti il tutto si complica, quando non è il dottor Hell il tuo avversario ma qualcuno di così dannatamente simile a te, la metafora si rompe, è sotto agli occhi di tuttə.
Possiamo tuttə essere allo stesso tempo Mazinga e Dottor Hell, a seconda di chi ci guarda. E se questo può andare bene nelle opere del nostro immaginario, riflettere su come contribuire a interromperla, quella dannata spirale, è una responsabilità del nostro tempo. “Cessate il fuoco!”, nel mondo in cui viviamo, sarebbe certamente un buon inizio, con buona pace di Koji Kabuto che, ne sono convinto, saprà comprenderci.