I post-it di marzo si sono concentrati (Quasi) esclusivamente su fumetti che gridano “Cessate il fuoco!”. Mi prendo un momento di leggerezza per raccontarti le cose che sarò lieto di leggere nel corso di aprile.
Tra i manga J-Pop che sarò contento di leggere ci sono il primo volume di Black Letter di Mogiko e il dodicesimo di Dandadan di Yukinobu Tatsu. Poi, però, ho notato un titolo che mi incuriosisce moltissimo: Guida al manga di Osamu Tezuka. Sembrerebbe proprio il testo ideale per capire come un uomo di genio, capace di rivoluzionare un modo del racconto, sia stato capace di sclerotizzare quell’idea rivoluzionaria in un modello che è divenuto presto asfittico. Tezuka è morto a sessant’anni, nel 1989, e per tutta la vita a realizzato fumetti bellissimi. Il suo ruolo di precursore lo ha collocato, già alla fine degli anni Sessanta mentre emergevano autori giovani che desideravano tutto e ambivano alla rivoluzione, a essere il difensore di un metodo “classico”. La casa editrice presenta così questo volume:
«Il leggendario Osamu Tezuka, il più celebre e influente mangaka di sempre, vero e proprio creatore di molti degli stilemi visivi e linguistici che ancora oggi caratterizzano il fumetto giapponese, svela tutti i suoi segreti in questo fondamentale saggio inedito. Un’opera geniale come il suo autore, nella quale Tezuka, aiutandosi con il supporto di immagini, illustra le basi per comprendere il metodo “classico” per realizzare un manga, a partire dalle sue tecniche di disegno preferite e dai suoi trucchi del mestiere più ricorrenti. Un documento imprescindibile per tutti gli amanti dell’opera del Dio del manga, nonché la guida definitiva che ha plasmato le generazioni di mangaka che lo hanno seguito.»
C’è stato un momento, collocato tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, in cui Fantagraphics, casa editrice di Seattle diretta da Gary Groth e Kim Thompson, allineando comic book che presentavano i progetti di autori altrimenti incollocabili nel mercato statunitense, mostrava ai lettori l’estensione di generi e forme che il fumetto avrebbe potuto raggiungere, se non fosse stato costretto a indossare i mutandoni aderenti dei supereroi. “Love & Rochets” dei Fratelli Hernandez, “Eightball” di Daniel Clowes, “Airbabe” di Jessica Abel, “Acme Novelty Library” di Chris Ware, “Frank” di Jim Woodring, “Naughty Bits” di Roberta Gregory, “Palestine” di Joe Sacco, “The Nimrod” di Lewis Trondheim… e sicuramente ne sto dimenticando decine. Non dimentico, però, il mio preferito: “Hate” di Peter Bagge. Quando, nel corso della scorsa Lucca, Saldapress ne ha annunciata l’edizione italiana in tre volumi, ho sentito un fremito di gioia. Ad aprile esce il primo. Se non sai chi è Buddy Bradley e non hai mai letto “Hate”, fidati di me per una volta: regalati questa serie a fumetti. Potrai gelare l’amico che, con il consueto atteggiamento tronfio, ti parla di uno scrittore improbabile, dicendoti che siamo di fronte a qualcuno che può finalmente scrive il Grande Romanzo Americano: «Ah… non hai letto Hate di Peter Bagge.»
Ritorna Zerocalcare con un libro nuovo e, se non ho capito male, è un fumetto a cui tiene moltissimo. S’intitola Quando muori resta a me e l’editore lo presenta così:
«Un pugno nello stomaco, un viaggio intenso lungo una strada di parole non dette e gesti che valgono più di mille parole. Un viaggio on the road che vede protagonisti Zerocalcare e suo padre, il genitore forse meno raccontato finora nelle storie dell’autore di Rebibbia. Un episodio che, come succede spesso nelle storie di Zerocalcare, racconta molto più di ciò che viene messo in scena: in un periodo storico in cui le battaglie sociali stanno cercando di scardinare i concetti patriarcali di cui è impregnata la nostra società, Zerocalcare ci racconta l’incapacità di comunicare tra le figure maschili della propria famiglia, di padri che non riescono a esprimere le proprie emozioni e di figli che non riescono a fare a meno del bisogno dell’approvazione paterna.»
Esce per Bao anche Un’educazione orientale di Charles Berberian. È un fumetto bello e importante. La scrittrice Silvia Vecchini, parlandone sul suo profilo Facebook, ha scritto:
«Un fumetto che dentro ne ha almeno tre differenti e tutti ugualmente belli!
Come dice Giovanna, i libri si regalano alle persone care anche per poterli leggere!
E questo è un regalo fatto a Sualzo che ho letto anch’io.
Prima di conoscere Sualzo non leggevo fumetti. Senza nessun pregiudizio, banalmente non li conoscevo. Diciamo che quando io pensavo che i fumetti fossero quelli che intravedevo distrattamente in edicola, lui andava in Francia a comprarseli. Ma conosco Sualzo da trent’anni e dunque qualcosa ho recuperato.
Il duo Dupuy-Berberian è uno dei suoi riferimenti da sempre e i loro lavori sono i primi che mi ha fatto conoscere.
Qui Charles Berberian lavora da solo, racconta le proprie origini, la propria famiglia, molto in viaggio e frammentata a causa della guerra e di continui aggiustamenti d’equilibrio in una terra senza pace, il rapporto con suo fratello, molto amato, con la nonna, molto amata, l’inizio della passione per il disegno, i fumetti, le storie.
Un bellissimo libro che chiede al lettore l’intelligenza di star dietro a una ricerca mentre questa è ancora in corso, la pazienza del tentativo di ricostruire e collegare qualcosa che è impossibile ricomporre.
Un libro sulle radici, sulle partenze, sugli affetti, sulla formazione. Un libro sulla guerra e sulla pace. Impressionante leggere nomi di luoghi che oggi, adesso, ancora, sono sulle pagine dei quotidiani per le stesse ragioni.
Grazie Sualzo ♥️»
Infine, una notiziona che riguarda proprio (Quasi). Entro la fine del mese esce “(Quaderno di Comicon): Edmond Baudoin”. Per presentarlo, abbiamo preparato questa nota:
«Il fumetto nasce come prodotto industriale, riproducibile, ripetibile e serializzabile. Eppure, fin dalle origini, mostra una straordinaria volontà artistica. I migliori tra i fumettisti si muovono da sempre tra libertà e sicurezza, cercando un punto di equilibrio difficile e pericoloso. La libertà di raccontare, con le immagini disposte sulla pagina, quello che vogliono e la sicurezza, anche economica, data dagli inesorabili vincoli industriali.
Edmond Baudoin, uno tra i migliori, ha dovuto lottare anche più degli altri per liberarsi dalle spire della sicurezza. Per mantenersi e sostentare la famiglia ha lavorato a lungo come contabile, mentre la febbre del fumetto lo costringeva a disegnare di notte. Ha abbandonato quel mestiere, sicuro ma insoddisfacente, oltre quarant’anni fa, esordendo al fumetto quarantenne. Si è costruito, una pagina dopo l’altra, un libro dopo l’altro, un viaggio dopo l’altro, un territorio del racconto disegnato solcato da sentieri cangianti e riconoscibili. Dopo un centinaio di libri firmati Baudoin e numerosi riconoscimenti, è oggi necessario confrontarsi con il lavoro di un autore importantissimo.
Al suo disegno e ai suoi fumetti è dedicato questo quaderno nato dalla collaborazione tra Napoli Comicon, il salone internazionale della cultura pop, e (Quasi) che, benché millanti di essere “la rivista che non legge nessunə”, sta segnando un modo nuovo per guardare alla storia e alla critica del fumetto.
Il quaderno attraversa la vita e le opere di Baudoin, seguendo sentieri biografici e tematici. Le analisi e i racconti sono mossi con lo sguardo laterale e l’approccio meticcio di (Quasi), che contamina la lettura con la storia, la società, la vita, il piacere, il mestiere, l’esperienza e il desiderio di persone che amano il lavoro di Baudoin perché hanno vissuto e lo hanno vissuto, rimanendo in equilibrio tra felicità e sicurezza.»
Nel quaderno, nato nella redazione della tua rivista preferita, trovi un bel po’ delle persone che fanno (Quasi): Boris, Paolo, Lorenzo Ceccherini, Federico Beghin, Lella Parmigiani, Arabella Urania Strange, Margherita Govi (Senza guardare), Claudio Calia, Rosso Foxe, Titti Demi, Francesco Pelosi, Emiliano Barletta e con poesie di Carol Vanni e, ovviamente, disegni di Baudoin.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).