Mi pare che, nella prefazione a una delle edizioni di Opera aperta, Umberto Eco raccontasse di un recensore di quel libro fondante che, nel tentativo di articolare una stroncatura, avesse fatto osservare che, proseguendo su quella china, si sarebbe presto arrivati a studenti che, nelle bibliografie delle loro tesi di laurea, avrebbero citato le riviste. Eco, con la consueta arguzia, sottolineava che non avrebbe trovato nulla di sbagliato in una tesi che usasse solo le riviste come bibliografia.
Altri tempi. Altri intellettuali.
Più di recente, mi è capitato di leggere o sentire le lamentele di uomini di lettere (mi pare fossero proprio uomini) che, per coprire il suono delle vesti che si stavano stracciando, piagnucolavano per il fatto che le librerie sono sempre più simili a cartolerie: piene di quaderni. Questi individui osservavano che, in un paese in cui si legge sempre meno (su quali dati si basino, non è dato sapere) si vendono meno libri e sempre più quaderni. Scandalo! Perché quegli oggetti hanno carte e legature che li rendono costosi tanto quanto un libro vero, uno di quelli da leggere, uno di quelli che possono cambiarti la vita, uno di quelli che porterebbe loro royalties ridicole, incapaci di coprire l’anticipo dato dalla casa editrice (che, cara grazia, è a fondo perduto).
Una libreria che vende quaderni, sta macchiandosi di una imperdonabile violazione della funzione principale delle librerie. Mercanti nel tempio, penitenziagite!
Mi piacciono sia le riviste sia i quaderni. Per le prime ho speso molto nella mia vita. E non intendo smettere. Per i quaderni, invece, mostro una propensione al risparmio e, se c’è un “Flying Tiger” nei pressi, compro per pochi spicci un album orizzontale, con cartaccia spessa, porosa e giallina e lo uso fino all’ultima pagina.
Lia mi trascina in un negozio di riviste dietro Porta Venezia. Si chiama “Frab’s” e, dalla descrizione sul sito, me lo aspettavo diverso. Mi ero illuso fosse una sorta di edicola internazionale capace di selezionare belle riviste dal mondo, scegliendo anche tra quelle che – benché indipendenti – riescono a mantenere periodicità più serrata. Invece ha proprio la forma della libreria e tiene solo riviste molto belle e dalla periodicità quasi sempre incerta (per esempio, (Quasi) là dentro ci starebbe bene).
È domenica pomeriggio e gironzoliamo per questo spazio piccolo e affollato senza fretta. Sfogliamo tutte le riviste, come fossimo nella sala lettura della biblioteca rionale. Un posto decisamente accogliente.
Mentre mi muovo a casaccio tra i parallelepipedi di carta trovo un oggetto che sembra nato per violare le aspettative di tutti: quelle del critico di Opera aperta, quelle di Eco, quelle dell’intellettuale che odia i quaderni, quelle di chi ama le riviste, quelle di chi colleziona quaderni… perfino le mie.
Si chiama “Flow: Book for Paper Lovers” ed è una pubblicazione neerlandese annuale, che parrebbe essere curata dalla succursale tedesca della medesima rivista. Si tratta di un volume 19×25 con oltre trecento pagine. È un gioiello di cartotecnica che accumula carte diverse, pagine staccabili che possono essere usate per lettere, diari, note, liste della spesa, aeroplanini, origami, forme ritagliabili. Contiene calendari, etichette, segnalibri, fiori, adesivi, cartoncini fustellati… Tra le pagine della rivista si nascondono varie sorprese che possono essere estratte e usate: quaderni, taccuini, cartoline, carta da pacchi, popup e giocattoli.
Una rivista che non si può leggere. Ecco: in bibliografia, ce la metterei volentieri.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).