Cominciare un editoriale con un aneddoto personale non è necessariamente il sintomo di una patologia automitografica di carattere alfieriano, quanto piuttosto un espediente retorico per agganciare l’attenzione delle lettrici e dei lettori e portarli senza noia al nucleo dell’argomentazione.
Per questo apro il numero di aprile parlandoti del pomeriggio di sabato 23 marzo.
Faccio un salto allo “Spazio Wow” per buttare un occhio a “Bricòla”, il festival delel autoproduzioni a fumetti. Nell’angolo degli incontri si sta svolgendo una chiacchierata (alquanto sconclusionata, ma sono quelle che preferisco, che creano un po’ l’atmosfera conviviale del bar) tra Nova, Samuel Spano e Vincenzo Filosa e gestita da Giò Di Meglio. Mi diverte da subito, già partendo dal titolo L’amore che ti manga. Praticamente è una lunga snocciolata di personaggi dei manga e degli anime che hanno toccato la loro immaginazione erotico-sentimentale. C’è un passaggio, mi sembra sia stato di Nova ma potrei ricordare male, che attira la mia attenzione: quando lamenta che loro lì sul palco sono una generazione già vecchia rispetto alla generazione Z che può ritenersi fortunata dato che ha tutto disponibile e nemmeno può immaginarsi il livello di censura (soprattutto negli anime) con cui sono cresciuti loro millennials.
A questo punto faccio due conti. Il più anziano su quel palco (Filosa) non aveva ancora compiuto tre anni quando su Rete 4 fu trasmessa per la prima volta la serie Dr. Slump e Arale. Eppure, almeno sul versante del racconto per immagini, condividiamo lo stesso immaginario. E credo che il motivo stia proprio lì, dal fatto che, a partire proprio da Arale, Akira Toriyama predisporrà la più completa, divertita e sistematica decostruzione pop degli archetipi ancestrali che accomunano l’immaginario dell’umanità, coinvolgendo e, in certo modo, facendo convergere lo sguardo di tutte le generazioni che da quel momento si succederanno, a iniziare appunto dagli ultimi scampoli della generazione X (la mia).
Questa considerazione mi fa venire in mente un altro aneddoto. Novembre del 1998, Festival di Lucca, abbiamo uno stand (sì… uno stand, un tavolino sganghero sotto un tendone fuori dal palazzetto, dove non passa praticamente nessuno) come Rasputin!libri. Un ragazzetto, probabilmente quindicenne (come il me che, nel 1983, veniva fulminato da Arale), dopo aver sfogliato Monolinguisti di Lewis Trondheim, parte con un accesa tirata critica sull’assoluto valore estetico di Dragon Ball. Non ricordo come si fosse agganciato a Trondheim, ma ricordo il suo entusiasmo sotto lo sguardo dubbioso mio e del mio bro’ Massimo Galletti. Soprattutto ricordo che, nonostante la mia spocchia da intellò francesista, il suo entusiasmo mi contagiò al punto che, se avessi fatto ancora “Sfregi” o già fatto (Quasi), gli avrei proposto di collaborare; ma soprattutto quell’entusiasmo accese la mia curiosità e mi spinse a verificare perché due opere che mi sembravano abbastanza distanti come Dr. Slump e Dragon Ball, unissero lo sguardo del me trentenne e di un quindicenne.
Sì, mi sono letto la saga di Goku nell’edizione Star Comics, quella del 1995-1997, e poi quella del Dr. Slump allora ancora in corso di pubblicazione in Italia, sempre da Star Comics. Una piccola curiosità, leggendola scoprii che quei magliari di Mediaset, nel 1983, avevano adattato solo i primi 51 episodi della serie anime, privandomi praticamente di 192 episodi.
La profondità di analisi dei critici di fumetto e di animazione italiani si esprime (ed esaurisce) più o meno in questi termini: il successo planetario e intergenerazionale di Toriyama è dovuto alla sua grande capacità di arrivare a chiunque. Grazie al cazzo! Che ci arriva è un dato evidente. Dimmi come fa. Se no a che mi serve il tuo lavoro?
Ecco, un mese fa Akira Toriyama è morto.
Ritenendo doveroso dedicargli un omaggio che non fosse però agiografico, ho proposto alla redazione di questa rivista un’ipotesi di lavoro.
Toriyama è stato capace, grazie a un segno originalissimo ma costruito tutto in sottrazione (evidente la lezione di Osamu Tezuka), di collegare tutti gli elementi narrativamente fondativi (ricorrenti in tutte le letterature delle origini dalla Bibbia allo Scimmiottom, per intenderci) dell’umanità in una singola saga – Drangon Ball – incrociandola con una, quella della mia adorata Arale, che rilegge invece tutti i momenti simbolici e metaforici di quella stessa umanità (sarà mia premura dimostrarti come Dr. Slump paghi pegno al simbolismo romantico e in particolare a E.T.A. Hoffmann).
La redazione ha accettato. Questo mese lo dedichiamo a Toriyama.
È un tempo questo, tra governi fascisti, guerre coloniali e genocidi, che potremmo definire tranquillamente di merda. Te lo ricordi qual è il gioco preferito di Arale? Allora converrai con me, cosa c’è di più rappresentativo dell’oggi della cacca di Arale?
[Questo mese, (Quasi) tenta un esperimento. Affiancheremo agli articoli e ai post-it, che scandiscono la nostra consuetudine tematica, uno speciale. Qualche giorno fa, Ivan Hurricane ci ha portato una notizia che era passata praticamente inosservata: è morto Max Capa, tra i pochissimi fumettisti italiani realmente underground. Ne abbiamo parlato per circa sette minuti prima di decidere di pubblicare articoli, analisi, interviste, testimonianze e fumetti, raccogliendoli sotto l’etichetta “Viva Max Capa”. Per tutto il mese, ti costringeremo a uno slalom tra gli articoli usuali di (Quasi), in larga parte dedicati ad Akira Toriyama, e quelli dello speciale curato da Hurricane.]
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.