Dio non gioca a dadi con l’universo.
Albert Einstein
Noi si!
Il mio Master
Johan Huizinga, sempre lui, nel saggio Homo Ludens, divide i giochi in due grandi famiglie: la lotta per qualcosa (competizione) e la gara fra chi rappresenta meglio qualcosa (rappresentazione). Roger Caillois, intellettuale francese, critico e saggista, è ancora più sottile e ha diviso i giochi in quattro categorie corrispondenti ognuna a un preciso bisogno psicologico: AGON (competizione), ALEA (caso), MIMICRY (travestimento, mimica, finzione), ILINX (vertigine e terrore) … poi arrivarono Dungeon & Dragons e la Games Workshop e nulla fu più come prima.
Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso la cultura pop vide, soprattutto grazie alla letteratura e al cinema, l’affermarsi -con prepotenza – del “genere del fantastico” che comprendeva fantascienza, horror e fantasy. L’utilizzo di questo macro-genere e dei suoi tre rami narrativi permise a una nuova generazione di autori di raccontare e introdurre tematiche molto aderenti al clima sociale e politico dei tempi: dalla contestazione generale dei costumi e della società, alla profonda critica del sistema di sviluppo occidentale. Ne scaturirono opere fondamentali ed iconiche.
Una vera e propria deflagrazione che coinvolse molti e differenti ambiti della produzione culturale e che ebbe un impatto decisivo, anche nel cambiare il mondo ludico e il modo di giocare, facendogli assumere dinamiche contigue e similari a quanto era avvenuto nel mondo del fumetto.
Lasciate che vi racconti:
Nell’ottobre 1970 la Marvel, diretta da poco da Roy Thomas, dà alle stampe Conan the Barbarian, scritto dallo stesso Roy e disegnato dal britannico Barry Windsor-Smith; la storia editoriale della trasposizione a fumetti dell’eroe creato da Robert Ervin Howard è di per sé un’avventura. Negli anni Cinquanta ne era stata pubblicata una versione, priva di licenza, in Messico; in realtà i dirigenti Marvel avrebbero voluto acquistare i diritti di sfruttamento dei romanzi di Lin Carter con protagonista Thongor di Lemuria, ma la richiesta dell’agente dell’autore fu giudicata troppo onerosa e si decise di ripiegare sul più conveniente, anche per la questione messicana, personaggio di Howard, che venne pagato poche centinaia di dollari.
L’introduzione di un personaggio pulp, stampato in bianco e nero in un formato destinato al grande pubblico e alla distribuzione nei negozi specializzati in comics (allora in forte crescita), senza le limitazioni previste dal Comics Code Authority, assicurarono uno strepitoso successo e la definitiva affermazione tra il grande pubblico del genere sword and sorcery.
Ecco, proprio la definizione di sword and sorcery è interessante per comprendere l’ambito culturale che ha determinato una stagione della produzione artistica e dei rapporti, a molti livelli, tra le due sponde anglosassoni dell’Atlantico. Il termine fu coniato da Fritz Leiber nel numero di aprile del 1961 della fanzine “Ancalagon” e ripreso, sempre da lui, in un pezzo pubblicato sul numero di luglio dello stesso anno di un’altra fanzine, “Amra”. Era la risposta a un’interrogativo di Michael Moorcock che, in un articolo sul numero precedente di “Amra”, si era chiesto come si sarebbe potuto definire il tipo di storie scritte da Robert E. Howard. In quell’articolo su “Amra”, Leiber scrisse:
«Sono certo più che mai che le storie di questo tipo dovrebbero essere definite storie di sword-and-sorcery. Questo termine descrive accuratamente il livello culturale e l’elemento sovrannaturale [specifici nel genere] e inoltre lo distingue immediatamente dai romanzi di cappa-e-spada (avventure storiche) e (incidentalmente) anche dai romanzi di cappa-e-pugnale (spionaggio storico).»
Fritz Leiber
Stiamo parlando di due mostri sacri della letteratura fantastica: il primo quasi un fondatore di questo genere nato negli Stati Uniti; l’altro, il padre putativo della New Wave della fantascienza britannica (e mondiale) e direttore della rivista “New Worlds”.
Questi elementi mischiati, le produzioni indipendenti, i formati di stampa, le riviste, le fanzine, la contiguità artistica tra alto e basso, tra America e Gran Bretagna, tra disegnatori e scrittori, tra amatori e proprietari di negozi dedicati a produzioni di settore uniti dall’amore per il genere fantastico, sono i semi che, lanciati nel fertile campo degli anni Settanta, produrranno – nel giro di quel decennio- un nuovo universo ludico. Le basi dello splendore dei giochi di ruolo e dei comics degli anni Ottanta e Novanta sono il portato del successo di un barbaro cimmero armato di spada, violento e sanguinario.
L’ultimo ingrediente non è il più irrilevante. Nel 1973 muore John Ronald Reuel Tolkien, l’autore di Il Signore degli Anelli e indiscusso creatore dei canoni dell’universo fantasy; è un evento destinato a mutare «il sentimento culturale di un decennio». La scintilla che incendia la prateria.
Basti pensare agli esiti che la sua morte ebbe sul mondo dell’animazione cinematografica con il tentativo nel 1978 dell’autore più visionario, innovativo, spericolato e irriverente di quegli anni, Ralph Bakshi, quello di Fritz the Cat, di portare sugli schermi la saga dell’Anello, anticipato l’anno prima dalla sua pellicola Fantasy/Fantascientifica Wizards e concluso cinque anni dopo con lo spettacolare Fire and Ice – Fuoco e ghiaccio realizzato in tandem con Frank Frazetta, iconico autore, tra le altre cose, delle copertine illustrate della collana dei libri di Conan il Barbaro; una storia, solo questa, che meriterebbe un racconto a parte.
L’esito è il medesimo nel mondo ludico; l’ambito, nei due paesi anglosassoni al di là e al di quà dell’Atlantico, è quello del mondo dei wargame, che vede migliaia di appassionati raccolti intorno a riviste, fanzine o singoli negozi. Una community ormai stanca di giocare ambientazioni storiche con eserciti che sentono lontani e scontati, di cui conoscono esiti e motivazioni. Una nuova generazione che si nutre di cinema, letteratura e fumetti ed è desiderosa di nuove avventure, mondi dove viverle e di un protagonismo reale nelle storie e nel gioco.
Nel gennaio del 1974 due affermati e apprezzati autori di wargame, Ernest Gary Gygax e David Lance Arneson, con il sostegno di Don Kaye, amico di Ernest e accanito giocatore, nonché sperimentatore di soluzioni e regole per il gioco tridimensionale, miniature e scenari, costituiscono una società indipendente con la quale autoproducono e danno alle stampe la prima versione di Dungeon & Dragons, il primo Gioco di Ruolo della storia.
L’ambientazione è presa di peso dai topoi tolkeniani, con la variazione di alcuni archetipi per l’assenza delle licenze di utilizzo. Il frontespizio del libro riporta la dicitura: “Regolamento per un gioco di Guerra nel Medioevo Fantastico giocabile con carta e penna e figure in miniatura”, sotto fa bella mostra di sé in un classico bianco e nero un “fumettoso” barbaro armato di spada che monta un cavallo imbizzarrito; costo 3,5 dollari, vendita per corrispondenza e nei negozi specializzati in giochi e fumetti.
Contemporaneamente a Londra John Peake, Ian Livingstone e Steve Jackson fondano la Games Workshop. Lo fanno per produrre tavole da gioco in legno per giochi da tavolo tradizionali, prodotte fisicamente da Peake. Mentre Livingstone si preoccupa della distribuzione e vendita ai negozi locali, Jackson bada alle questioni amministrative e a scrivere articoli per le riviste di giochi.
Per promuovere i propri affari la Games Workshop fonda nel febbraio 1975 un club dedicato al gioco da tavolo e una newsletter chiamata “Owl and Weasel” per fornire ai propri clienti notizie “alternative” sul mondo ludico. Nella definizione dei loro intenti, fin da subito troviamo scritto chiaramente il loro interesse nello stampare “giochi progressisti” (progressive games), inclusi i video giochi, e a guardare a tutte le produzioni artistiche e letterarie compatibili, inclusi i fumetti. Per pubblicizzare la rivista, il primo numero viene inviato anche agli iscritti della defunta fanzine di giochi “Albion”; tra questi c’é Brian Blume, giocatore americano, da poco entrato in società con quei tipi che avevano pubblicato quel nuovo gioco chiamato Dungeon & Dragons.
È lui a inviare una copia del gioco alla Games Workshop, attirando subito l’attenzione di Livingstone e Jackson, che dopo qualche contrattazione ne ordinarono sei copie per la rivendita in Inghilterra, dedicando – per il lancio- interamente il sesto numero della loro “Owl and Weasel” al gioco.
È un successo immediato per la Games Workshop, tanto da ottenerne un’esclusiva di tre anni per la vendita in Inghilterra; per sostenere attivamente l’operazione fu anche organizzata una convention di gioco alla fine del 1975 che raccolse consensi e pareri entusiasti. Fu la svolta. Però il terzo socio, Peake, non la apprezzò particolarmente, tanto da decidere di lasciare la società all’inizio del 1976.
Senza l’appoggio fisico del negozio la situazione impose una riorganizzazione profonda, si decise di puntare soprattutto sull’unico strumento rimasto in mano alla società, la newsletter. Dandole maggior respiro.
Così nel 1977 nasce la vera e propria rivista “White Dwarf “, dedicata all’universo del fantastico e dei giochi, lasciando spazio anche a racconti brevi, strisce a fumetti, scenari e avventure ludiche, ma soprattutto alle idee, sperimentazioni e discussioni di una community sempre più ampia e appassionata. Una rivista di molte cose, che per esempio dai primi anni Ottanta pubblicherà in maniera continuativa le tavole di Thrud the Barbarian, fumetto disegnato da Carl Critchlow palesemente ispirato alla versione cinematografica di Conan il Barbaro.
Il 1977, è il momento cardine; è anche l’anno che vede, sempre a Londra, la nascita di una rivista di fumetti destinata a lasciare un segno nella storia culturale di fine secolo, “2000AD”.
La contiguità, non solo temporale, tra le due riviste sarà immediata, quasi naturale, e come accaduto per il fumetto, questo rapporto cambierà la storia dei giochi da tavolo e del mondo video ludico; ma questo ve lo racconto la prossima volta.
Il nome di battesimo è troppo lungo e complesso, l’ho abbreviato a Duccio ed è comunque complesso. Ho studiato per fare lo storico e non è andata, ho fatto il rivoluzionario e non è andata … in generale non è andata ma non mi arrendo: la vita è un gioco, l’unico che sai come finisce, quindi divertiamoci.