La zona di interesse di Jonathan Glazer e Valentina Restivo

Quasi | Plat du jour |

di Valentina Restivo

«Credi che i tuoi padri ti stiano guardando? Che ti valutino nel loro libro mastro? Secondo quale criterio? Non esiste nessun libro mastro e i tuoi padri sono morti e sepolti.»

Cormac McCarthy, La strada

Il 22 gennaio esce nelle sale italiane La zona di interesse di Jonathan Glazer. Il mio compagno e io, incuriositi dalle poche immagini viste e da una locandina con un bel giardino e un cielo nero, siamo tra i sei spettatori dello spettacolo delle 18:30 al cinema Quattro Mori di Livorno. Abbiamo la fortuna di vedere (e soprattutto sentire) sul grande schermo qualcosa di sconvolgente. I due sensi in questo film vanno quanto mai insieme poiché la tragedia umana che avviene al di là del muro, che divide la casa degli Höß dal campo di concentramento di Auschwitz, lo spettatore la sente (urla, spari, rumori metallici, sirene), mentre con gli occhi vede una tipica famiglia tedesca che porta avanti la sua vita fatta di gite in campagna, feste in giardino e la cura di piante e fiori. I vestiti di chi muore atrocemente dall’altra parte del muro vengono spartiti tra la padrona di casa (quel capolavoro umano che risponde al nome di Sandra Hüller) e le domestiche. Una pelliccia che Hedwig Höß proverà come se la stesse per acquistare in un negozio. Nella tasca un rossetto che decide di mettersi, appartenuto a chissà quale signora ebrea, magari quella da cui un tempo andava a servizio la madre. Glazer ci porta nella casa e nella vita di Rudolf Höß e della sua famiglia nella stessa maniera di un reality. Le macchine da presa sono messe un po’ ovunque in maniera discreta. Il montaggio infatti è avvenuto con più riprese insieme, girate contemporaneamente da diversi punti. Le inquadrature sono sempre distanti, al massimo si arriva al piano americano. Primi e primissimi piani sono completamente inesistenti in questo film. Tutto è composto perfettamente anche se i corpi dei componenti di questa famiglia si muovono o posano senza un minimo di grazia. E il suono uccide lo spettatore mentre chi vive nella casa non lo sente minimamente. Usciti dal cinema siamo profondamente scossi e contemporaneamente esaltati da quello che abbiamo visto. Finalmente qualcuno è riuscito a raccontare la disumanizzazione, l’indifferenza e la naturalezza con la quale si decide chi merita di morire e come ucciderne il più possibile. L’esaltazione viene dalle scelte estetiche così raffinate, profonde e ricercate fatte da Glazer e da tutto il team che ha lavorato al film. Cercando su YouTube trovo un making of e riesco a estrarre qualche fotogramma del film (oltre a un paio che ero riuscita a fotografare dal grande schermo). Mai nel mio percorso artistico avevo sentito la necessità di fissare immediatamente tramite gouache e inchiostro una pellicola. Glazer è riuscito a raccontare, a raccontarci e, nel discorso di ringraziamento per l’Oscar, ha tirato fuori quello che ogni persona si dovrebbe chiedere: «Tutte le nostre scelte sono fatte per riflettere e confrontarsi con il presente. Non per dire: “Guardate cosa hanno fatto allora”, ma piuttosto “Guardate cosa facciamo adesso”.» La zona di interesse è una vera opera d’arte che ha il potere di farci guardare dentro, ci svela quanto non andiamo oltre il nostro bel giardino curato e che è possibile non sentire tutti i suoni agghiaccianti dell’Orrore. Se riusciamo a chiederci come possiamo lottare e resistere abbiamo già fatto un passo verso il tornare umani.





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