Una delle preoccupazioni che attraversano maggiormente le case editrici di fumetto seriale è l’assenza di turn over tra i lettori dei personaggi storici. Da anni, l’incapacità di attrarre le generazioni successive a quelle che accolsero con stupore il personaggio produce una riduzione progressiva delle copie vendute che si muove di pari passo col naturale esaurirsi del ciclo vitale dei lettori. Non è un bel segnale quando l’aumento della speranza di vita degli umani viene visto dalle case editrici come indicatore da inserire nel business case.
Perché un individuo, mentre la sua vita galoppa verso l’ineludibile fine, decida di mantenere fede alla promessa del bambino che fu e garantire fedeltà a un personaggio seriale è proprio un mistero.
Facci caso: in Italia, i personaggi seriali con la storia più lunga sono proprio quelli più fedeli a loro stessi, capaci di essere sempre uguali. Personaggi che, accanto alle nuove uscite, propongono le ristampe delle storie del passato. Un acquirente distratto e occasionale (ah… che gioia sarebbe per l’editore se questa mitica figura esistesse davvero) potrebbe comprare storie alla prima edizione e altre con trenta, quaranta o cinquant’anni sulle spalle senza percepire la differenza. Già, perché quei personaggi si muovono in narrazioni così consolatorie da rasentare l’immobilità.
Mi pare evidente che abbiano una funzione terapeutica: rilassano e svuotano dalle preoccupazioni della vita.
Invecchiando, i disturbi del sonno si fanno sempre più frequenti e ognuno sceglie il rimedio più funzionale ai propri bisogni.
Per esempio, io ho il podcast della sera, quasi una favola della buonanotte. Mi infilo gli auricolari e mi faccio raccontare una storia prima di andare incontro a Morfeo. Scelgo podcast raccontati da persone che abbiano voci che riesco a tollerare. Non devo avere la sensazione che siano letti; mi producono l’orticaria le voci querule, quelle nasali, alcuni accenti e alcuni difetti di pronuncia; non mi piacciono le chiacchiere a ruota libera di persone, magari anche intelligenti, che non si sono preparate sull’argomento di cui hanno deciso di discutere. Lo so, con questi requisiti, il mondo dei podcast rischia di offrirmi veramente poco.
Da qualche giorno sono un fan sfegatato di un podcast di linguistica divulgativa che ho appena scoperto. È divertentissimo, si chiama “Saussure e grida” ed è scritto e letto da Irene Lami. Ascolto la cadenza toscana di questa dottoranda che mi regala mezz’ora di racconto intorno al linguaggio umano e a come la lingua trasforma il mondo e sono pronto alla mia notte di sonno.
Ieri sera ho sentito un episodio intorno al modo in cui parliamo ai bambini, il “baby talk”. Mentre partiva mi risuonava in mente la voce di Giorgio Gaber che – credo nel monologo Il Grigio – sentenziava: «È incredibile come i bambini si circondino di un’oasi di imbecillità». Poi, la disamina e la concatenazione di informazioni, fatti, notizie, esperienze, sperimentazioni ha rintuzzato il borbottio di arguzie che mi ribolliva dentro.
A un certo punto, Lami racconta un esperimento che definisce «ganzissimo». E lo è veramente. Te lo racconto anche io, ma ti conviene andare ad ascoltarlo da lei. Siccome sicuramente non ho il linguaggio scientifico adatto, trasformerò l’esperimento in una ricetta:
«Prendi una donna incinta di trentatré settimane.
Falle leggere tutti i giorni una filastrocca ad alta voce.
Alla trentasettesima settimana, porta quella donna in un posto in cui si possa registrare il battito cardiaco fetale.
Falle leggere un po’ di filastrocche e, in mezzo, infila anche la filastrocca che ha letto quotidianamente.
Ripeti l’esperimento con il numero più alto possibile di donne, cercando di ottenere un campione significativo.»
Pare proprio che il risultato sia che il battito cardiaco del feto rallenti solo quando si legge la filastrocca che ha “sentito” più volte. Quella ripetizione calma e tranquillizza.
Trascurando per un attimo la bellezza di questo esperimento (e appena finisci di leggere le mie sciocchezze, puoi correre a raccogliere informazioni), concentriamoci sul fatto che, fin da feto, il protoumano ama che gli si racconti sempre la stessa storia.
Ecco: il persistente lettore di “Tex” e “Diabolik” ha un rigoroso fondamento scientifico.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).