Woody Brown
Entrano in scena altri due personaggi, di cui abbiamo finora sentito solo le voci fuoricampo: Alison White a p. 14, e Woody Brown a p. 15. Da qui in poi il lettore imparerà bene a conoscere entrambi, ma soprattutto il padre di Rusty: si tratta di una figura quasi tragica, ingabbiata com’è in un misto di frustrazione e supponenza. Ma è anche un uomo mediocre, velleitario, egocentrico, inconsapevole e manipolatorio, così inetto da cadere continuamente nel ridicolo. La sua fisionomia è quella di un clown – lo ribadisce Ware stesso qualche pagina dopo – e come ogni clown che si rispetti suscita nel lettore una grandissima tristezza.
Rusty, di nuovo
Rispetto alla pagina precedente c’è un piccolo stacco: la scena è la stessa, ma cambiamo punto di vista. Siamo dentro al garage, al buio. Lo sportellone basculante si apre (nella parte alta della vignetta vediamo il rumore continuo del motore; l’onomatopea è pensata in modo che nessuna lettera sia tagliata o si sovrapponga allo spazio bianco: la scritta sembra infatti sempre dentro le vignette, tranne alla fine, dove il rumore della porta che arriva al termine del suo percorso sborda verso il margine interno); appare Rusty con la pala in mano. L’inquadratura è più o meno quella della pagina precedente: Rusty è a figura intera, visto leggermente più da vicino rispetto a prima (quindi un poco più grande).
Dopo la terza vignetta lo sguardo di chi legge può fare due cose: o seguire Rusty e andare a capo, come normale; o procedere con la prima vignetta nella pagina a fianco in cui vediamo Woody, di quinta a sinistra, che guarda il figlio attraverso la finestra (e il telaio della finestra inquadra Rusty come se Woody lo vedesse dentro a una vignetta). Se la prima lettura è probabilmente quella corretta, per via della pala – e per la coerenza narrativa delle due pagine, una incentrata su Rusty, l’altra su Woody –, il secondo ordine di lettura non dà comunque problemi di comprensibilità al lettore.
Nelle tre vignette successive Rusty mette a posto la pala, ma la sua attenzione è tutta rivolta verso i nuovi superpoteri: niente di ciò che pensa è veramente suo, si tratta, come abbiamo già visto, di cliché fumettistici (l’origine dei poteri, la responsabilità che ne deriva…) declinati nel modo in cui li declinerebbe un bambino di otto anni (“Magari è stato quello che mi ha fatto mamma per cena, mischiato tipo con quel nuovo shampoo…”). Ma c’è anche in gioco l’ironia dell’autore: Rusty vuole usare i superpoteri per proteggere gli indifesi (ed è molto serio quando lo pensa), ma il più indifeso di tutti è proprio lui stesso.
Torniamo a Woody
Dalla pagina 15 cambia la focalizzazione; per un po’ il lettore si dovrà concentrare su Woody: spariscono i pensieri di Rusty, che vengono sostituiti da quelli del padre. Se non ho guardato male, Ware permette solo a un personaggio alla volta di esprimere i propri pensieri – almeno fino all’ultimo, bellissimo, capitolo su Joanna Cole, dove viene del tutto eliminata la verbalizzazione dell’interiorità.
Siamo in cucina, Woody ha una tazza rossa in mano; guarda il figlio dalla finestra, sfoglia alcuni libri sul tavolo: probabilmente si tratta di materiale preparatorio per le lezioni (non è specificato e non è importante). Se fanno colazione, i Brown, la fanno in tempi diversi, forse Rusty ha mangiato qualcosa prima di spalare la neve (i due fratelli White, invece, si siederanno a tavola assieme, mentre la nonna prepara qualcosa ai fornelli).
Woody non se ne rende conto – si può dire: così come la gran parte dei padri? – ma lui e Rusty sono molto simili: anche Woody è insoddisfatto dalla realtà e anche per lui l’immaginazione è, letteralmente, una via di fuga (anche se poi questa fuga gli provoca sensi di colpa). Lo vedremo più avanti, ma intanto possiamo notare come qui i due personaggi si rispecchiano: dalla vignetta 4 alla 6 e dalla vignetta 10 alla 12 sono simmetrici rispetto al centro pagina (Rusty guarda a destra verso Woody, Woody è rivolto verso sinistra in direzione di Rusty). Il corpo di Rusty, con addosso la giacca, ha le stesse forme, in piccolo, di quello di Woody: le spalle cadenti (vignette 7-8) e la linea del petto e della pancia; ma anche posture simili (due vignette con le braccia accanto al corpo; una vignetta con un braccio steso). Nella nona vignetta Woody pensa “Ossignore, ma che cos’ha quel ragazzino? Se ne sta immobile là sotto…”, ma lo fa dopo altre due vignette in cui ha osservato, lui stesso immobile, Rusty dalla finestra.
Nelle ultima striscia Woody ha uno scambio con la moglie, che, dal piano di sopra, gli ricorda che è ora di uscire. Lei lo fa con gentilezza (dice “Non credi che sia il caso…”, e non “Dovete uscire!” o “È tardi! Muovetevi!”). Anche qui il lettering dà l’idea di un tono medio; ma Woody è di cattivo umore, interrompe la discussione (il suo balloon si sovrappone a quello della moglie, cancellandone le parole) e risponde bruscamente (“Lo so che cavolo di ore sono”).
Nell’ultima vignetta Woody continua il discorso con la moglie (“E comunque non c’è bisongo di urlarmi le cose!”), ma lo fa solo nel pensiero. Mettere questa battuta in una nuvoletta del pensiero trasforma un normale battibecco in una descrizione del personaggio. Perché Ware non gli fa dire a voce alta quello che pensa? Woody rimugina continuamente, è convinto di vivere una vita che non è la sua; il pensiero che ha in questa vignetta è ingiusto, perché la moglie non ha urlato, anzi: e Woody lo sa, ma allo stesso tempo non può fare a meno di rivendicare e di descriversi come un personaggio che non è capito dagli altri.
Alla fine, fa esattamente ciò che gli viene contestato, e si rivolge a Rusty urlando (neretto, sottolineatura a ondina), non solo per la distanza che lo separa dal figlio.
Chalky, invece
La prossima settimana vedremo più nel dettaglio come Ware struttura la striscia di Chalky (7 vignette a pagina) per farla coincidere con la parte di Rusty (6 vignette). Qui basti intanto dire che la vignetta centrale ha spesso un rilievo particolare, tematico o grafico. In queste pagine, le vignette centrali hanno inquadrature molto simili: Chalky visto da dietro che guarda la sorella attraverso uno spiraglio della porta. Anche qui, come in altri casi, Ware gioca con la simmetria della gabbia e usa la vignetta centrale per spezzare un’impostazione che rischierebbe di sembrare molto rigida.
Se provassimo, per gioco, a indicare ogni inquadratura con una lettera, come se dovessimo descrivere lo schema rimico di una poesia (incidentalmente le vignette delle due strisce sono 14, come i 14 versi di un sonetto…), credo che potremmo descrivere le due strisce così: AAB C AAB / BCA C DEE. Lo so, sembra il delirio di un matto: eppure a me pare evidente che queste strisce siano costruite su un modulo a tre vignette, con due vignette dalla stessa inquadratura in sequenza + un’inquadratura diversa, che spesso però si ripete in un altro modulo. Questa costruzione si vede bene nelle due pagine precedenti e nelle due successive, se si copre la vignetta centrale. Andando avanti con il fumetto, Ware varierà di più l’impostazione, ma sempre a partire dal modulo a tre.
Infine
Inizia per Chalky una scena che durerà tre pagine doppie (inizio, sviluppo, conclusione; o anche, grossolanamente, tesi, antitesi, sintesi). Mentre la sorella si prepara per uscire, Chalky prende coraggio e va a parlarle. Si ferma sulla porta a guardarla mentre è in reggiseno. È titubante, come lo era prima, a letto, e non spiattella subito il suo problema; ma forse è anche curioso, attratto dalla sorella che in questo momento sostituisce la figura materna. Nella prima vignetta di pagina 15 Chalky dice “Non ci voglio andare”. Un narratore meno sicuro dei suoi mezzi avrebbe specificato “a scuola”, ma qui non è necessario e sarebbe stato didascalico. Alison fa entrare il fratello in camera (vediamo la stanza dall’alto con un’assonometria che ci permette di apprezzare il casino della ragazza e la capacità compositiva di Ware) e si prende il suo tempo prima di parlargli – è chiaro che non sa bene cosa dirgli e che sta pensando ad una risposta efficace –, creando un’attesa anche per il lettore.
Tra le altre cose, ha pubblicato “Un diario pressappoco” (con lo pseudonimo brèkane, RGB, 2007), e, insieme con Alberto Talami, i volumi a fumetti “Quasi quasi mi sbattezzo” (Beccogiallo, 2009), Morte ai cavalli di Bladder Town (Autoproduzione, 2010, premio Nuove Strade al Comicon di Napoli, 2011), “Il futuro è un morbo oscuro, dottor Zurich!” (BeccoGiallo, 2018, premio Miglior Sceneggiatura al Comicon di Napoli, 2019) e Jungle Justice (Coconino Press, 2022).