Milano, 6 maggio 2017. Durante il festival AFA, al Leoncavallo di Milano, avviene una reunion storica. I principali esponenti del fumetto underground e della stampa alternativa della Milano anni Settanta si riuniscono per la prima volta dopo quasi trent’anni. L’occasione è quella di celebrare il ritorno in Italia del fumettista Max Capa, il più inafferrabile di tutti, che ci ha concesso una rara intervista sul numero scorso. Sul palco assieme a lui ci sono: l’artista psichedelico Matteo Guarnaccia, il fumettista anarcoide e anticlericale Enzo Jannuzzi, il poeta rock metropolitano Cataldo Dino Meo (del collettivo Gatti Selvaggi) e il fondatore di Stampa Alternativa Marcello Baraghini, che per tutto l’incontro fingerà di aver perso la voce e distribuirà messaggi in codice ai compagni.
A moderare un altro pezzo da novanta: Gianluca Umiliacchi, esperto fanzinotecario e cultore della stampa clandestina.
L’incontro si trasforma ben presto in una performance situazionista, tra saccheggi nei supermercati, eliografie, festival clandestini e presunti sabotaggi a Lou Reed.
Gianluca Umiliacchi: È venuto a farci visita direttamente dalla Francia Max Capa. Max, quando è morto l’underground?
Max Capa: Bisognerebbe chiedermi quando è nato!
Marcello Baraghini ha perso la voce! Mi ha passato qualche messaggio da leggere al posto suo.
Eccoli… (prende un foglio) “Max è un grande e un vero guastatore e lottatore”…
(prende un altro foglio) “polenta, formaggio, più due zucchine trif.. .”
Enzo Jannuzzi (suggerendo) : “Trifolate…”
Max Capa: “Trifolate, così ritorn …” Che dice!? Non riesco a leggere! (passa il microfono a Jannuzzi)
Jannuzzi: “Così ritorna la voce!”
(prende il microfono Matteo Guarnaccia)
Matteo Guarnaccia: Siamo qui per festeggiare il buon Max Capa che ritorna in Italia dopo tanto tempo. Mi spiace venga collegato solo all’underground perché Max Capa è un guastatore dell’arte, un vero artista. E l’underground è stato un periodo fondamentale della sua produzione che spero però non serva a catalogarlo. È stato uno dei primi a porsi il problema di come comunicare la propria rabbia, la propria scoperta a livello creativo.
Max è stato uno dei primissimi esempi di questa stampa alternativa diffusa capillarmente, in quelle che in quel periodo chiamavamo le zone liberate d’Italia: Brera a Milano, Campo dei Fiori a Roma etc…
Puzz era una jam session di artisti, creato principalmente in situazioni di emergenza come sui tavolini dei bar.
Qui al mio fianco c’è Marcello Baraghini, che ha perso la voce ma mi ha dato l’autorizzazione scritta a parlare al posto suo. Come fossi il suo Muppet. Marcello è stato il direttore responsabile di tante nostre testate. E questo per rispondere a una delle tante leggi fasciste che imperava in quel momento in Italia, che imponeva anche a uno stupido foglio fatto in eliografia di avere un direttore responsabile scritto all’albo dei giornalisti. Senza neanche sapere cosa fossero Puzz e altre centinaia di produzioni del genere, Marcello con la sua firma ci ha permesso di pubblicarli.
(Guarnaccia presenta il quinto ospite, il poeta e performer Cataldo Dino Meo)
Cataldo Dino Meo: È una circostanza davvero unica per noi, e per noi intendo noi di Quarto Oggiaro, tanto per intenderci, un numero infinito di persone che ancora prima del Leoncavallo occuparono il centro sociale di Via Val Trompia. Dovete immaginarvi l’epoca: piuttosto rigida, pesante, stalinista, fascista e spranghista… Noi eravamo una realtà al di là di qualsiasi concezione ideologica di partito. Libertari, e molto libertini. E per quell’epoca ingessata e irreggimentata non era accettabile. Non tanto dal sistema, ma dai cosiddetti rivoluzionari, che ci cercavano per volerci sprangare. Da una parte loro, dall’altra i fascisti. Tutti che ci cercavano per la stessa ragione.
Eravamo più seguaci di Dioniso che di Mao Tse Tung, che andava molto all’epoca. In questo contesto di assoluta irregolarità e ingovernabilità, abbiamo avuto la fortuna in quegli anni di incrociare Max Capa che era già un disegnatore piuttosto maturo nella sua forma espressiva. Un tocco trasgressivo e insolito, fuori dagli schemi.
Grazie a lui in quel periodo sono sorte varie cose. Come Rumore, un festival alternativo a quello di Re Nudo, che per noi era “l’istituzione”, il lato buono riconosciuto dalla sinistra. Max inventa questo contro-festival sulle rive del Ticino e noi partecipiamo nell’organizzazione.
Lo spirito di Rumore era quello che allora chiamavano situazionista, lontano dalle consuete diatribe politiche. A noi interessava la vita creativa da vivere assieme. Noi, se così possiamo dire, avevamo l’obiettivo di creare situazioni. Questo festival fu l’occasione, senza star musicali, senza servizi d’ordine. Chiunque poteva esibirsi sul palco. Un festival assolutamente aperto, un fatto clamoroso che ricordo ancora.
Con Max avevamo delle afifnità. Lui è un eretico, un non allineato. Ma attenzione, non come si intende oggi. Allora non essere allineati significava essere etichettati malamente, e anche sprangati fisicamente. Non a caso, per esempio, proprio al tempo del festival Rumore, Re nudo fece circolare dei manifestini contro noi di Quarto Oggiaro, accusandoci di essere spacciatori di eroina. Che all’epoca voleva dire, praticamente, fascisti. Da menare, quindi.
Avrei altre mille cose da raccontare, ma giusto per finire voglio ringraziare Max per averci suggerito come muoverci fuori dagli schemi. Essere l’underground dell’underground. Noi eravamo considerati sotterranei rispetto al sotterraneo. Però eravamo vivi, eravamo attivi.
Grazie ancora, Max!
(applausi)
Enzo Jannuzzi: Io e Max avevamo uno stile diversissimo, io ero l’analfabeta, lui era il colto (sorride). Ha inventato un alfabeto nuovo. Vedevo con quanta sofferenza si relazionava con gli editori, mentre io con un colpo di culo feroce ho trovato la rivista Horror che mi prendeva tutte queste storielle che costruivamo assieme, sia con lui che con Matteo.
Per ritornare alla domanda se sia morto o meno l’underground, sarebbe un paradosso se scoprissi che è morto. Noi siamo ancora qui tranquillamente a coltivare il nostro lavoro, e continueremo a farlo. E quando non potremo più farlo noi, ci sarà qualcun altro al posto nostro. C’è un problema da cui non si può prescindere: la necessità di espressione, che era quello che muoveva la poetica di Max o di Matteo, e nel piccolo anche la mia, non può rinunciare a sé solo perchè qualcun altro ha determinato le forme di espressione dominanti. Non può succedere. Io non credo che l’underground sia morto, bisogna semmai vedere adesso che forma abbia l’underground attuale. Non basta autoprodursi, ci vuole un messaggio.
Io ad esempio mi sono tolto la soddisfazione di denunciare il piano Blue Moon. Che era un movente di quelle logiche di cui parlava Cataldo Dino, per cui si sprangavano gli spacciatori di eroina. L’eroina era diventata un problema enorme. In dieci anni abbiamo avuto diecimila compagni morti sotto le panchine dei giardini, e tutti noi ci eravamo cascati dentro, del tutto ignari di cosa fosse.
L’arrivo dell’eroina è un progetto preciso della CIA. Ha devastato la vitalità culturale politica e sociale che animava le strade e le piazze, e che veniva vista come un nemico da abbattere. Per dirvi, in uno spazio come Piazza Vetra si è formato artisticamente uno come Gaetano Liguori. Prendeva il suo cazzo di pianoforte e improvvisava un concerto spontaneo. C’era una vitalità enorme.
(Marcello Baraghini scrive altri messaggi in codice. Max Capa si alza per recuperarli)
Con il piano Blue Moon, la CIA aveva sostituito con l’eroina l’erba che circolava allegramente tra i compagni. Decine di migliaia di ragazzi ci hanno lasciato la pelle, non sapevano cosa stesse succedendo.
Oggi gli strumenti del potere e del dominio culturale sono molto più potenti di una volta. Allora c’era più la possibilità di una lotta organizzata. Oggi la contraddizione del sistema è più grande ed esplicita.
La conoscenza critica è una necessità che nessun potere può controllare in assoluto, perché sarebbe la fine della vita reale sensibile. Io, ancora oggi, vedo giovani che non sono disposti a fare la fila davanti alla porta dei grandi editori. La necessità di narrare la realtà è incontenibile. Basta guardare manifestazioni come questa, con le loro produzioni.
Io non ho mai raggiunto il successo tale da evitare che le cose mi costino fatica, vivo di una pensione sociale minima e ho rinunciato a tutto quello che non fosse la mia capacità espressiva. Con questo però sono ancora in grado di produrre questa specie di chiamiamolo underground. Non ho trovato l’equazione di Max, però racconto cose che altrimenti non si trovano. E questo vuol dire contribuire a questa voce reale. Attraverso la narrazione collettiva e sociale, puoi farti un quadro della società in cui vivi…
(Gianluca Umiliacchi chiede nuovamente la parola di Max Capa, che torna a leggere i messaggi cifrati di Marcello Baraghini)
Max Capa: Non ho molto da dire, ma comunque lo dico… Marcello Baraghini, il povero, ha perso la voce perché… PARLA TROPPO! Parla continuamente! Questo non si fa… e allora SCRIVE!
Mi manda i bigliettini, mi fa fare lo speaker…
(legge un messaggio di Baraghini) “Ritorno alla macchia, sulla strada…come nella prima vita di Stampa Alternativa…” Cosa vuol dire!? Che adesso Marcello fa dei librettini venduti a un centesimo. Come molti anni fa aveva inventato le Millelire, rivoluzionando l’Editoria.
(prende un altro foglietto. Lo legge) “Mi hanno espulso dall’ordine, etc …”
Marcello Baraghini per decenni è stato direttore responsabile di un’enormità di testate fuori schema, lui dice trecento. Adesso l’ordine dei giornalisti lo ha espulso. Intanto è stato direttore responsabile di Puzz e di tutte le mie pubblicazioni, come di molte altre. Adesso dopo le Millelire si è messo a fare i libretti da un centesimo…che se poi uno vuole gli dà anche dieci euro e lui li prende lo stesso.
(ne legge un altro) “Ho conosciuto Luciano Bianciardi all’inizio degli anni ’70, era uno scrittore ben noto che a un certo punto è passato …” (si interrompe)
(gli passano il quarto messaggio di Baraghini) “Formaggio, insalata… limonate…apparecchi telefonici…niente da nascondere…tutto da mostrare…”
(parte un applauso)
Umiliacchi (cercando di riprendere le fila): Rimanendo in tema con la stampa alternativa e l’autoproduzione, Max a un certo punto decide di entrare nel giro ufficiale degli editori e crea la casa editrice Iguana con cui pubblica riviste come Apocalisse e Flashback. Giusto?
Max Capa: No.
Umiliacchi: Come no… e quale era la casa editrice?
Max Capa: Quale casa editrice?
Umiliacchi: Quella di Apocalisse!
Max Capa (sussurrandogli): Non ce ne frega niente!
Umiliacchi: Apocalisse e anche Flashback prendono corpo verso il finire degli anni ’70. C’è un percorso verso l’ufficialità che nasce dall’underground oppure…Cosa ti ha spinto a diventare ufficiale dopo essere stato per tanti anni autoprodotto?
(Max Capa si rifiuta di rispondere)
Guarnaccia: Sembra di stare dentro al film Helzapoppin’, quando quello che va in giro con la pianta continua a ripetere “Signora Jones! Signora Jones!”. Siamo a quel punto (ride). Cerchiamo di riportare un minimo di senso in una serata totalmente situazionista. Guy Debord e il signor Godot sarebbero molto contenti di essere qui tra noi…
La questione è semplice. La creatività, quella che a noi piaceva, totalmente dionisiaca e fuori da qualsiasi ideologia, può nascere solo ed esclusivamente da un momento di innamoramento in cui non si ha nessun tipo di preclusione e di progetti. E anche grazie a luoghi in cui tutto questo possa avvenire. Noi li abbiamo avuti, questi luoghi che ci hanno protetto. Come Quarto Oggiaro, un posto veramente dannato negli anni ’60 e ‘70. E come Brera, un luogo risparmiato sia dai bombardamenti americani che dalla speculazione edilizia. In quelle viuzze si creava continuamente. Solitamente per strada, o nei bar, o nelle case-comune. Enzo Jannuzzi, qui a fianco a me, era l’unico ad avere una professione vera di illustratore e disegnatore di fumetti. Ed era quello che forse aveva la casa più disponibile (ride). In quei tempi la maggiore età era ventun anni, e la polizia veniva a cercare gli scappati di casa che affollavano appunto la casa di Enzo.
Ho conosciuto Max in una di queste case. E Max è sempre stato quello che considero l’ideale di artista rivoluzionario, che come tutti i rivoluzionari ha avuto un amore sfrenato per la carta stampata. Non so perché, ma quando si pensa alla rivoluzione si pensa sempre alla carta stampata. Gutenberg sarebbe molto contento di frequentarci, siamo tutti quanti malati di carta stampata.
Max preparava i suoi giornali con la stessa attenzione con cui i vecchi anarchici preparavano i loro ordigni. Quando usava l’inchiostro, vedevo negli occhi di Max la stessa attitudine di guastatore. E questo mi ha sempre affascinato, perché aveva un modo di inchiostrare, un modo di usare la grafica, assolutamente devastante.
Tutta la gente attorno a questo tavolo bene o male ha visto come funzionava la stampa underground e come Max montava le sue riviste. Tutti volevamo trovare un mezzo per condividere un’idea, un gusto, un piacere. Disegnare, per tutti noi, era esattamente come fare l’amore. Non c’era nessuna idealizzazione, nessun volerci creare una professione, nessuna voglia di monetizzare. Era il puro e semplice gusto di creare. Ed era proprio questo, a unirci tutti quanti.
Volevano inquadrarci come underground, ma noi facevamo di tutto per non essere catalogati. Già in uno dei primi numeri di Puzz, pubblicato in tempi non sospetti, c’era l’idea che l’underground fosse morto e sepolto, un cadavere divorato dai vermi.
Perché noi eravamo assolutamente oltre ogni tipo di etichettatura. E penso che ancora oggi guardando Puzz, Fallo, insekten Sekte e altre testate simili si possa realmente capire quanto questi foglietti fossero fatti da persone che volevano semplicemente vivere quell’attimo. Punto.
Jannuzzi: Max Capa ha raccontato la trasformazione del mondo del lavoro come pochi. Col suo stile secco e super sintetico, senza concedere un cazzo alla ricerca formale. Ricordo una sua storia in cui, al comando del padrone, il sole sorgeva o tramontava, magari anche una ventina di volte nelle 24 ore.
La poetica di Matteo faceva una critica simile attraverso la messa in evidenza delle contraddizioni all’interno del movimento. Tutti noi facevamo così. Io ad esempio realizzai questa storia per Horror, “L’omicidio telefonico”, dove una figlia uccide il padre indirettamente, subissandolo di telefonate tutte le ore, fino a quando lui si impicca.
Il movimento cosiddetto underground non è altro che un modo per sviluppare una visione critica più lucida, scappando dalle sacche di un sistema che ti induce al pensiero unico.
Il movimento adesso ha la stessa necessità di allora. Max Capa ha precorso i tempi.
Dino Meo: Non seguivamo modelli. Non pensavamo di contemplare dei capolavori, noi volevamo ESSERE ogni giorno capolavori. Max a quel tempo ci ha dato una dritta: ognuno di noi poteva essere creatività. Ognuno ha qualcosa dentro, deve solo trovare il sistema e l’occasione per tirarlo fuori. Perché in effetti c’è in ognuno di noi una opportunità creativa, una possibilità di espressione. Noi lo facevamo coi nostri piccoli giornali. A Quarto Oggiaro avevamo un giornale chiamato I Gatti Selvaggi, o Poesia Metropolitana.
A questo punto devo fare una parentesi, dopo oltre quarant’anni posso finalmente ringraziare il nostro direttore responsabile Marcello Baraghini
(applausi)
La cosa notevole, per l’epoca per niente scontata perché c’era molta rigidità ideologica, era che Marcello accettava questa responsabilità senza selezioni o distinzioni. Dava la disponibilità a tutti.
E se è arrivato a darla anche a noi, è proprio la dimostrazione di questa apertura!
Quindi, creatività. Tu sei creativo in prima persona. Basta contemplare, ascoltare quello che gli altri esprimono, cantano e ballano. Intervieni! Diventa tu in qualche modo la creatività che vorresti essere. Erano idee che all’epoca venivano etichettate come situazioniste. Abbiamo fatto tante cose divertenti, anche delle follie che sono rimaste un po’ nella storia di quegli anni. Abbiamo saccheggiato il supermercato di Quarto Oggiaro, siamo entrati dentro e l’abbiamo completamente ripulito. Abbiamo portato a casa tutto quel cazzo che c’era dentro, riempito le macchine, i carrelli, le case degli amici. A quel punto non sapevamo a chi cazzo dare tutto quello che avevamo raccolto e abbiamo cominciato a regalarlo a quelli che passavano. Da lì subito dopo è venuta fuori tutta la diatriba ideologica dell’esproprio proletario, ma a noi la cosa non andava a genio. Noi lo abbiamo fatto solo per divertimento. Per noi è stato solo un ballo lisergico.
Abbiamo fatto anche altre cose per prendere in mano la creatività e non essere passivi. Come rompere i coglioni al Palalido con il concerto di Lou Reed. Sì, siamo stati noi a interromperlo. Non per Lou Reed, non sapevamo neanche chi fosse. Volevamo dire a un pubblico così numeroso che non si può più vivere in maniera statica e passiva: cercate di smuovervi e diventare protagonisti anche nei momenti creativi! Naturalmente il giorno dopo ci cercavano sia i comunisti che i fascisti. Per sprangarci, perché a quanto pare erano tutti appassionati di Lou Reed…
Poi ci fu l’interruzione ridicola del concerto di Francesco De Gregori. Ma là non c’entravamo niente. L’iniziativa fu presa dalla sinistra extraparlamentare e diventò una critica contro l’artista borghese eccetera. Cose che a noi non interessavano.
Noi non volevamo il contropotere. Quello lo hanno creato gli altri, quelli che poi sono entrati in tutte le situazioni di potere della società: economia, arte, informazione e compagnia bella. Sono entrati dappertutto, hanno sostituito i loro padri e hanno fatto il casino che vedete voi.
Perché, vedete, se il mondo che vedete ora non vi piace tanto dovete ringraziare la gente della nostra età. Che voleva spaccare il mondo e invece si è fatta spaccare il culo dal potere.
Noi abbiamo fatto altre scelte, che abbiamo mantenuto. Non so se siano underground o no, ma sono comunque vita.
Guarnaccia: Se avete domande ovviamente siamo contenti di rispondervi. Ricordo solo, per passione personale, uno dei disegni di Max Capa che preferisco: un orangotango con una spranga in mano che dice “Decolonizziamo l’Occidente”. Penso che sia uno dei disegni che amo di più della sua produzione, ancora valido oggi.
Umiliacchi: Avete parlato di oggi… e domani!?
(Baraghini indica le sue produzioni da 1 centesimo, la collana dei Bianciardini)
Guarnaccia: Il domani è ancora innamorarsi.
Jannuzzi: Non posso avere un orizzonte così proiettato nel futuro, ho settantun anni! Quello che sto facendo adesso permetterà alle mie cose di sopravvivere tranquillamente. Si può prevedere che il lavoro sarà sempre meno, e peggio pagato. Ma anche questo non si può estendere all’infinito.
Seguono le illustrazioni di Enzo Jannuzzi, realizzate per il numero di “Linus” dell’agosto 2017 (che pubblicò il testo dell’intera conferenza)