C’è una cosa di cui sono abbastanza convinto: che la proliferazione cellulare di un macrogenere letterario come il romanzo, cui stiamo assistendo negli ultimi due decenni, sia il sintomo di una malattia esiziale. In fondo è naturale che un’avventura durata più di quattro secoli, come quella – appunto- del romanzo, giunga al termine. Sarà un’estinzione lenta, ma ineluttabile. Da tempo la forma romanzo ha esaurito la sua necessità storica, il che non significa che non abbiamo più bisogno di storie, ma che le nuove generazioni (che nonostante la scuola italiana e il mastrocolismo in cui si è sclerotizzata, si sono liberate dalla centralità della lettura in favore della visione) le trovano in sistemi narrativi diversi (il cinema, le serie TV, i fumetti, la musica, i videogiochi).
Certo. Io non faccio media, perché nella mia generazione (la X) i lettori di romanzi – tra la minoranza che ha commercio con i libri – sono ancora la maggioranza, comunque l’anno scorso forse ne ho finito uno (ma non l’ho considerato propriamente un romanzo) e dall’inizio dell’anno non ne ho letto mezzo. La verità è che mi annoiano o mi fanno provare profondo imbarazzo per chi li ha scritti (tipo l’ultimo Cognetti).
Niente romanzi, quindi. Ma nell’ultimo mese mi è passata per le mani almeno una decina di volumi di carattere saggistico, di cui solo mi è sembrato una vera cazzata (non a caso pubblicato da Einaudi Stile Libero): La crisi della narrazione, di Byung-Chul Han.
Gli altri invece, pur avendo quasi tutti i loro – anche gravi – difetti, sono state letture importanti, problematiche.
Dice il mio socio direttore che abbiamo dato vita a “(Quasi), la rivista che non legge nessunә” per raccontarti i buoni motivi per stare al mondo. Che, quando intravediamo una briciola di bellezza nell’obbrobrio quotidiano che il sistema che ci siamo costruiti per vivere ci stende attorno, ce lo appuntiamo su un post-it e lo attacchiamo qui, sul frigorifero redazionale, così quando lo apri per prenderti una birra puoi leggerlo e tenerne conto. Non che ci sia particolare bellezza (forse solo in due) nei saggi che ho letto, ma c’è molto di utile per affrontare il mondo. Allora lascia che te li elenchi sommariamente, poi decidi tu se buttarci un occhio oppure no.
Il più forte del mondo, di Claudio Kulesko è una gradevole lettura filosofica, che pone anche interrogativi interessanti, sull’universo di DragonBall.
Tutto deve brillare di Francesca Pellas raccoglie ricordi e riflessioni (alcune molto utili) su Moana Pozzi. Una lettura consigliata in vista dei trent’anni dalla morte, che scadranno a settembre.
Riscrivere la mascolinità, di J.M.Armengol analizza il fatto che nei secoli si sia fatta corrispondere l’esperienza maschile integralmente all’esperienza umana, cosa che non ha influito solo sulla percezione che gli uomini hanno delle donne, a cui le donne rispondono con il femminismo, ma anche su quella che gli uomini hanno di sé stessi e a cui o si attengono con il machismo o non sanno rispondere. Mascolinità Vs maschilismo, ma detta in soldoni proprio. Interessantissimo.
Neil Postman era uno stronzo apocalittico e classista, ma l’analisi che, in Divertirsi da morire, fa di come funziona la TV generalista, e di come il vero pericolo per la nostra intelligenza siano non le idiozie televisive ma i programmi colti, è a tutt’oggi convincentissimo.
Mostri di Claire Dederer l’ho proprio amato e divorato. Non trova soluzioni, ma pone la questione del rapporto tra chi fruisce l’opera di un autore che si è macchiato di nefandezze e l’opera stessa con un’onesta intellettuale e con una capacità argomentativa che ti incollano.
In La vita fuori di sé, Pietro Del Soldà tenta, con alcune – per me imperdonabili – cadute new age, un approccio originale alla filosofia dell’avventura. Non ci riesce appieno, ma Il solo fatto che ti faccia venire voglia di trornare ai testi di Georg Simmel, vale la lettura.
L’aventure politique du livre jeunesse, in cui Christian Bruel porta alla luce le istanze politiche e ideologiche di qualsiasi libro, anche quello meno sospetto, dedicato all’infanzia, è una lettura illuminante. È uscito tre anni fa e non ne esiste edizione italiana. Ci fosse qualche editore che volesse rimediare…
Il rincosantone Alejandro Jodorowski e Isabelle Giraud (vedova di Jean e direttrice editoriale di Moebius Production) hanno odiato e criticato ferocemente Jean Giraud alias Moebius di Christophe Quillein, il che di per sé è già una garanzia della validità del volume. Io te lo assicuro, è l’opera definitiva sul gigante Moebius. Anche qui, ci fosse un editore interessato…
Stefano Nazzi conduce uno dei pochi podcast che ascolto sempre con estremo interesse. In questo volume, Canti di Guerra, racconta con quella sua secchezza che amo, la Milano di Vallanzasca e Turatello. Non puoi non leggerlo.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.