E dunque Woody si perde nei suoi pensieri, sogna di scappare con due valigie e lasciare tutto: casa, moglie, figlio. La voce fuori campo di Rusty lo richiama all’ordine e lo riporta al presente. La pagina inizia con un primo piano di Woody alla guida, lo sfondo è giallo: lo stesso giallo di pagina 13, quando Rusty si rende conto di aver sviluppato un super-udito: lo sfondo unisce padre e figlio e segnala un momento di sorpresa, quasi di consapevolezza, ma soprattutto un passaggio dalla realtà alla fantasia, e viceversa.
(Lo stesso sfondo giallo apparirà poi solo verso la fine di questa storia, e in altri punti più o meno strategici nel secondo e terzo capitolo.)
Nei primi post di questo delirio si diceva che Chris Ware ragiona per doppie pagine: è un’affermazione che va in parte corretta, per due motivi. Il primo è che talvolta Ware dispone due tavole molto simili sul giro della pagina: si vedano ad esempio le pp. 15-16 (Woody che guarda Rusty fuori dalla finestra), ma anche qui le pp. 19-20; ci ritorniamo tra poco. Il secondo motivo è che ho visitato la mostra presente al PAFF di Pordenone, dall’inequivocabile titolo “Chris Ware. La prospettiva della memoria” (dal 9 marzo al 12 maggio): sindrome di Stendhal a parte (ah! le vertigini! il mozzarsi del fiato! la febbre!), dalla mostra si vede con chiarezza che Ware ha disegnato tutto Rusty Brown (ma anche Jimmy Corrigan) su tavole enormi, ognuna delle quali contiene due pagine della versione pubblicata: questo significa che spesso la doppia pagina, nella tavola originale, si struttura in verticale, prima di essere rimontata in orizzontale. Dico “spesso” perché, per esempio, la parte su Chalky viene disegnata una striscia di seguito all’altra e poi suddivisa nelle varie pagine.
Insomma: bisognerebbe fare un’analisi filologica sul rapporto tra libro e originali per capirci qualcosa (e per capire bene il ragionamento grafico/narrativo di Ware). Ma, intanto, questa consapevolezza ci permette, forse, di illuminare alcune (minuscole) questioni in sospeso. Ad esempio, questa vignetta (che abbiamo visto la volta scorsa):
Se la diagonale della strada e la direzione della macchina dirigono lo sguardo in alto a destra, verso la prima vignetta della pagina successiva, i balloon, invece, portano la lettura verso il basso: perché? Vedere l’originale potrebbe aiutarci a trovare il motivo della scelta, che, forse, ha a che fare con un senso di chiusura della tavola, il balloon come punto fermo: una ragione compositiva, quindi, più che narrativa…
E anche: perché le pagine 19 e 20, che sono molto affini per ambientazione e ritmo, non sono disposte sulla doppia pagina? È possibile che queste due tavole fossero su uno stesso originale e che siano divise dal giropagina anche per motivi di impaginazione? Teniamo la domanda in sospeso; rimarrà certamente senza risposta, ma intanto è lì, a ricordarci che ci sono alcune motivazioni che non potremo sondare del tutto.
Torniamo dunque al libro, e torniamo anche alla domanda di prima: perché le due tavole sono divise dal giro della pagina? In fin dei conti, ripeto, hanno una struttura che le unifica: la prima inquadratura di pagina 19 è isolata (un primo piano), come l’ultima di pagina 20 (potremmo definirlo un campo medio/lungo, in assonometria): queste due vignette in posizione strategica segnalano l’inizio e la fine della sequenza; la sequenza, tra queste due vignette, ha un ritmo ben preciso che potremmo sintetizzare così: 2-3-2-3. Ci sono cioè prima due vignette con la stessa inquadratura (dove si descrive un movimento), seguite da tre vignette uguali (la macchina vista frontalmente con Woody alla guida).
Alcuni dei motivi potrebbero essere questi: 1. intanto, come già, detto, il giro pagina segnala un passaggio di punto di vista: da quello di Woody a quello di Rusty; 2. poi crea un’increspatura nel ritmo, una sospensione che spinge il lettore a girare la pagina – teniamo anche conto che a pagina 19 si chiude la scena di Chalky che abbiamo letto qualche settimana fa: abbiamo quindi una scena che si chiude e una scena che continua: è come se le due narrazioni si rilanciassero l’una con l’altra; 3. infine, queste due pagine se affiancate forse sarebbero apparse un po’ troppo simili, separarle in due doppie pagine diverse rende più movimentata una lettura che a furia di cercare la simmetria rischia di essere monotona.
Tre ultime cose
1.
A differenza di come rappresenta di solito il movimento, mostrando l’attimo prima di uno spostamento e quello dopo – e lasciando al lettore integrare ciò che manca –, qui Ware ci fa vedere due vignette identiche in cui disegna e poi cancella le traiettorie delle macchine. La scelta è dovuta è una questione temporale: Woody si risveglia dal suo sogno quando è già tardi, e va troppo veloce per fermarsi allo stop; le cose accadono senza che lui se ne renda veramente conto (senza che il lettore se ne possa rendere veramente conto): frena di colpo, ma è tutto già accaduto, e il rumore della frenata è come un risalire indietro nel tempo.
2.
Mi sembra interessante, per me che non so nulla di disegno, vedere come Ware manipoli la prospettiva. La macchina del vecchio incazzato sembra di profilo e piatta, ma alcuni elementi – gli specchietti retrovisori, il volante, il parabrezza; i fanalini di coda nella vignetta successiva – ci fanno capire che invece è disegnata di tre quarti.
3.
Mi piace molto questa cosa che gli alberi sullo sfondo sono più o meno nella stessa posizione, ma sono sempre leggermente diversi. Mi fanno pensare che anche Ware sia umano, in fondo.
Tra le altre cose, ha pubblicato “Un diario pressappoco” (con lo pseudonimo brèkane, RGB, 2007), e, insieme con Alberto Talami, i volumi a fumetti “Quasi quasi mi sbattezzo” (Beccogiallo, 2009), Morte ai cavalli di Bladder Town (Autoproduzione, 2010, premio Nuove Strade al Comicon di Napoli, 2011), “Il futuro è un morbo oscuro, dottor Zurich!” (BeccoGiallo, 2018, premio Miglior Sceneggiatura al Comicon di Napoli, 2019) e Jungle Justice (Coconino Press, 2022).