Devo ammettere che nelle mie memorie di lettore da piccolo, Jacovitti non c’è poi tanto. Ricordo che alle elementari di sicuro ho usato qualcuno dei suoi diari, il suo stile non mi è mai stato estraneo e l’ho sempre ritrovato tra pubblicazioni sparse, ma è solo da adulto che ho cominciato a prenderne qualche libro e capirlo meglio, non è uno di quegli autori che “cercavo” da piccino, per quanto ne potessi cogliere anche solo empiricamente l’importanza.
Giovedì 6 giugno verso le cinque di pomeriggio mi sono finalmente deciso, ho preso la macchina, mi sono messo in autostrada – genio!, alle 17.00 da Padova in direzione Venezia, un percorso per pochi intimi – e dopo essermi districato nel traffico che mi avviluppava come edera sono arrivato al Paff! Museo del fumetto di Pordenone – che te l’ho già raccontato, è un posto che mi fa stare bene – alla mostra “Jacovitti come non lo avete mai visto!” a pochi minuti dalla fine della cerimonia di inaugurazione, giusto in tempo per entrare a visitarla.
Il titolo della mostra è efficace. Effettivamente c’è molto Jacovitti “come non l’avete mai visto!” esposto, in una selezione antologica che comprende estratti da tutta la sua, lunghissima, carriera. Ho trovato particolarmente interessante la scelta dei curatori di mostrarci più selezioni di tavole “scomposte”, per andare di volta in volta a sottolineare l’uso di alcuni dettagli tra cui le linee cinetiche, le onomatopee o i corpi nelle pagine dell’autore.
L’allestimento della mostra è un continuo alternarsi di tavole e cartelli esplicativi in doppia lingua che vanno a fondo e offrono spunti interessanti nel guardare le opere esposte.
Vedere gli originali mi ha reso evidente che quello che ho sempre interpretato distrattamente come un segno morbido in realtà è tutto il contrario: ogni linea è il frutto di un insieme di segni numerosissimi, un po’ come quello di Crepax. C’è un tratteggio per ogni cosa, dalla curatissima ombra del biglietto che si staglia sulla pagina nel primo esempio qua sotto, fino all’insieme di minuscoli tratti che costituiscono tutti i segni nel secondo. Per la prima volta ho realizzato l’intensità di un lavoro che definirei carsico – scompare, per poi manifestarsi – che c’è su queste tavole: Jacovitti, imparo, realizzava a matita solo un rapidissimo schizzo della pagina, per passare direttamente a inchiostrare. Probabilmente per questo le sue chine sono un accumulo stratificato di segni che, progressivamente, porta al risultato finale, a quell’illusione ottica di “morbidezza” composta da un insieme frastagliato di piccoli tratti.
Solo perché sono i lavori che ho visto di meno, quelli che ho apprezzato di più sono i fumetti realizzati in giovane età, disegnati in piccolissimo ma con una cura pazzesca, con continui rimandi a Segar e al fumetto statunitense. Oreste il guastafeste che ti mostro qui sotto è una sola tavola, ma quante idee per così poco spazio! Come al solito, quella piccola parte di me che nel cervelletto batte e spinge cercando di ricordarmi “sei un’autore anche tu!”, sorride soddisfatta trovando un piccolo refuso in tutto questo testo scritto rigorosamente a mano: era umano anche lui, allora!
Mi ha fatto tenerezza, uscendo, scorgere questo piccolo e involontario crossover tra Chris Ware e Jacovitti (in realtà qui in un disegno di Luca Salvagno), in un confronto che forse, a fine mostra, non mi pare neppure così azzardato. E quella frase, quel “cessate il fuoco!”, l’ho trovata bellissima a concludere l’esposizione delle opere di un’autore che ha vissuto la guerra e l’ha detestata per tutta la vita.
La mostra “Jacovitti come non l’avete mai visto” al PAFF! International Museum of Comic Art di Pordenone è aperta fino al 13 ottobre. Tutte le informazioni del caso le trovate qui.