In due per provare a fare un Miller: Daredevil di Chichester e McDaniel

Federico Beghin | post-it |

Allo scadere del mese di maggio, Claudio Calia ha iniziato a raccontare su (Quasi) il Daredevil di Frank Miller. Leggendo il suo primo articolo, oltre alla gestione dell’autore del Maryland, com’è ovvio, mi è venuto in mente anche il Daredevil di D. G. Chichester in uno strano gioco al contrario dato che, quando leggevo il Daredevil di Chichester mi tornava in testa il Daredevil di Miller. Perdona le ripetizioni, ho quasi finito.

Ho conosciuto il Daredevil di Chichester qualche anno fa, nel 2017, quando ho acquistato il cartonato della “Collection” Panini che raccoglie i capitoli #319-325, ossia Caduta dal Paradiso, vincendo la resistenza opposta dalla presenza di Scott McDaniel. Via il dente, via il dolore: lo stile del disegnatore era per me veramente ostico, non lo avevo apprezzato per niente tra le pagine di Nightwing: Anno Uno e ancora meno tra quelle di Freccia Verde. Nei fumetti del Cornetto, però, la sorpresa: nell’arco narrativo succitato, il tratto dell’artista è diverso da quello a cui (non) mi ero abituato. Meno scomposto, meno confusionario, meno schizofrenico, fin dal prologo di Fall from Grace, forse anche per merito delle chine di Collazo e Candelario e dei colori di Max Scheele (che poi passeranno la mano ad altri), appare potente, espressivo ma senza eccessi, evocativo, cupo ma aggraziato. Le sagome dei personaggi richiamano quelle di Miller e la sensazione di continuità con la gestione precedente (ma non direttamente precedente) è acuita dai testi di Chichester. La prosa assomiglia a quella milleriana, anche se con qualche passaggio farraginoso che rende la lettura talvolta pesante e faticosa. Al netto di questi difetti, Caduta dal Paradiso mi è parso un segmento interessante, complesso e stimolante della parabola di Devil, in cui lo sceneggiatore ha tessuto una trama articolata, con tanti personaggi e diverse situazioni da legare tra loro.

Il problema, se così posso definirlo, arriva con il secondo cartonato della “Collection”: L’albero della conoscenza (Daredevil #326-332). Mentre viene esaminato il rapporto tra l’uomo e il web, senza coinvolgermi particolarmente, il racconto offre anche alcuni passaggi interessanti sulla vita di Matt, il suo rapporto con Elektra e la reazione di Karen. In soldoni, quello in cui mi piace imbattermi quando apro un fumetto di supereroi.

Sebbene quella tamarrata del costume-armatura continui a sembrarmi una figata, ho l’impressione che McDaniel perda un po’ di smalto, proprio in concomitanza con una serie di giri a vuoto di Chichester. Infatti, pur mantenendosi sopra il livello di guardia, il #330 oscilla tra il punto di svolta e il più classico degli albi di passaggio. Dopo esserci persi in chiacchiere di carattere tecnologico, già nel capitolo successivo, torniamo ad ascoltare le sensazioni dei personaggi in un contesto bello movimentato. Purtroppo, però, la prosa non raggiunge più l’efficacia del primo volume. Per fare un esempio banale: ci viene ripetuto più volte che il siero nelle vene di Capitan America è un veleno. Vero che repetita iuvant, però forse è meglio passare oltre, alla tavola di fine episodio con un Daredevil sporco e arrabbiato, pronto a distribuire mazzate a destra e a manca. Mazzate che arrivano puntuali nel #332, in cui la storia termina in modo repentino ma almeno emozionante.

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(Quasi)