Ma il cielo è sempre più blu
Al quinto piano del Beaubourg c’è la collezione permanente: il Centre national d’art et de culture Georges – Pompidou. Nel periodo che frequentavo Parigi assiduamente, ci passavo appena potevo per fermarmi almeno un quarto d’ora davanti a quello che è, in assoluto, il mio dipinto preferito: Bleu de ciel di Vasilij Kandinskij. Sarà sicuramente stato l’imprinting (per colpa di Feltrinelli che nel 1986 lo usò per la copertina di quello che è stato, forse, il primo vero testo della mia formazione intellettuale: Comici Spaventati Guerrieri di Stefano Benni) ma nessuno mi convincerà mai che esista da qualche parte al mondo un olio su tela più bello di questo.
Quindi mostre o non mostre, al quinto piano ci sarei passato lo stesso. Avere l’occasione di vedermi La bande dessinée au Musée (la seconda parte imprescindibile di La BD à tous les ètages) aumenta solo il mio piacere di girarmi quelle sale.
Sai sicuramente come è strutturato il percorso dell’esposizione permanente: una serie di 11 blocchi centrali, quasi tutti da tre sale, separati ognuno da una traversa.
La mostra è strutturata così: lungo le traverse puoi ammirare le monografie (ricche di originali sbalorditivi) di sei padri fondatori del fumetto: Georges McManus, Winsor McCay, George Herriman, Edmond-François Calvo, Herge e Will Eisner.
Nelle varie sale invece ti vengono proposti i lavori di alcuni autori contemporanei (probabilmente selezionati solo in base alle proprietà del fondo Leclerc, altrimenti non si spiegherebbero alcune presenze irrilevanti e alcune assenze frastornanti… no, non te lo dico quali, trovatele da solә) in contrapposizione agli artisti con cui si sono confrontati:
Philippe Dupuy vs Henri Matisse
Joann Sfar vs Jules Pascin
Brecht Evens vs Paul Klee
Gabriella Giandelli vs Christian Schad
Anna Sommer vs Francis Picabia
David B. vs Andrè Breton
Emmanuel Guibert vs Robert Doisneau
Blutch vs Balthus
Lorenzo Mattotti vs Francis Bacon
Edmond Baudoin vs Antonin Artaud
Dominique Goblet vs Geer Van Velde
Chaterine Meurisse vs Mark Rothko
Benoit Jacques vs Jean Dubuffet
contrappunti divertenti, ma per niente stimolanti e non così audaci o inediti – cazzo son tutti fumettari e fumettare che, con diversi risultati, hanno preso gli artisti con cui vengono confrontati come fonti ispiratrici se non addirittura come numi tutelari, dedicandogli lavori quasi didascalici – come li descrivono nel catalogo, direi anzi banalotti e accademici, tranne forse uno, quello tra Chris Ware e Theo Van Doesburg.
Vie traverse
Come sempre sono le strade secondarie quelle più interessanti. I sei giganti infilati nelle traverse di questa mostra hanno prodotto le loro cose più importanti tra il 1905 e il 1952, e con l’eccezione di Calvo e Herge, si rivolgevano, dalle tavole domenicali dei quotidiani americani a un pubblico adulto e analfabeta. Un pubblico incolto che guardava e non leggeva. Vere vie traverse rispetto alla “controcultura” tutto sommato molto alfabetizzata e, per quanto si voglia far finta di no, borghese (devi avercela una cultura per andarci contro) così cara ai curatori di queste mostre.
In questo quinto piano, dedicato in modo permanente all’ufficialità della cultura e dell’arte, le tavole di artisti giganteschi che parlavano a un pubblico adulto ma senza nessuna cultura – in senso scolastico, l’unica a cui si riferiscono tutti i Groensteen del mondo- si crea il vero cortocircuito che svela l’ambiguità dell’assunto che sta alla base di questo costrutto culturale su tre piani.
Cosa cazzo è veramente il fumetto?
Sono convinto che i curatori di queste mostre non si siano nemmeno lontanamente resi conto del paradosso che hanno messo in piedi. Ma sono altresì convinto che sia un paradosso inevitabile, e che già porlo, anche se inconsapevolmente, sia un punto di partenza ineludibile.
Con questa convinzione scendo al secondo piano, dove – all’interno della bellissima e funzionalissima Bibliothèque publique d’information è stata allestita la mostra dedicata a Corto Maltese.
Il piano inutile
Una visita che tiro via in cinque minuti. Corto Maltese, une vie romanesque è un momento avulso dalle questioni fondamentali poste negli altri due piani. Quattro sezioni, con le solite tavole e i soliti acquerelli, che ribadiscono tutte le banalità trite e ritrite sull’eroe romantico, sul suo rapporto con la letteratura e con la storia, sul sogno, le leggende e tutte quelle cazzate lì. Certo, guardo sul catalogo i crediti e il comitato scientifico della mostra riporta un solo nome: ti lascio immaginare quale. Va però riconosciuto a chi si è occupato della scenografia e della parte grafica di questa mostra di aver fatto un lavoro quanto meno gradevole.
Se sei lì per le altre due, facci un giro, ma se l’unica cosa che ti interessa dei fumetti (ce n’è di gente strana) è Corto Maltese non andarci apposta, anche se è gratuita. Non aggiungerà niente a ciò che sai e che già hai visto.
Sortie
Esco. Tutto sommato, a parte la roba di Corto su cui, conoscendo chi gestisce l’eredità prattiana non nutrivo nessuna aspettativa, soddisfatto. Nonostante le sue ambiguità e gli errori teorici questa mostra pone un punto di partenza fondamentale per la riflessione sulla natura del fumetto. Guardo che ore sono. Pomeriggio inoltrato. Non piove più e non mi ero accorto del tempo che passava. Ho fame, ma nessuna persona sensata mangia da queste parti. Lascio il Marais ai turisti che lo affollano e torno nel XIII. Quando arrivo alla brasserie che mi piace, Le Debonnaire in rue du Chevaleret sono quasi le tre e mezza. Ordino una salade cristy-Chevre e un mezzo di beaujolais rosato. Poi mi attacco al telefonino per postare qualche foto su Facebook. Scorro un po’ di notifiche e mi trovo in mezzo a un dibattito (ridicolo) sul Tex di Palumbo. Da un dialogo sui massimi sistemi precipito nel nulla critico delle discussioni italiche sul fumetto. Non so ancora quanto è brutto il texone di Palumbo, lo scoprirò quando lo prenderò all’edicola di Malpensa appena atterrato di ritorno da questa tre giorni, ma per considerarne l’irrilevanza non ho bisogno, non dico di leggerlo, nemmeno di sfogliarlo. Ed è in questo momento che mi accorgo di una cosa che non avevo notato durante la visita alla mostra. C’è un’assenza che, penso, guardata dal punto di vista di chi dibatte sul texone potrebbe essere fondamentale: tutto il fumetto popolare italiano.
Ti giuro. Invece vista da qui, da 650 kilometri da via Buonarroti, camminando in mezzo alla storia del fumetto mondiale, di quell’assenza non se ne accorge nessuno.
Quando finisco di pranzare (l’ho fatto con estrema lentezza) sono da poco passate le cinque. Ho una trentina di ore prima di dover prendere l’aereo per Milano. Ottimo, ho due o tre idee su come passarle. Mi godrò Parigi e la pace che abbiamo appena fatto.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.