La formidabile catarsi di un vaffanc*lo in Panther’s Quest di McGregor & Colan

Claudio Calia | Affatto |

Sapete? Secondo me, se vi perdete QuasiQuasi, la newsletter settimanale di (Quasi), vi manca qualcosa. Per esempio, tra le ultime carinerie di Paolo per introdurre un mio pezzo ci sono state:

Claudio Calia, il nostro editore, ha finalmente smesso di negare il suo problema. Non parliamo di vizi censurabili (e ce li ha tutti, ma quelli non li nega), ma della sua passione smodata per fumettisti che mostrano un’aderenza ideologica che – nella vita di tutti i giorni – lo allontana. Lo sai, è un appassionato di Dave Sim. Sai anche che – benché dissimuli cercando di sviare il discorso – nutre un certo amore per Frank Miller. Ha deciso di raccontarci come gli è nato, dicendoci (in un numero di puntate che non ci è dato di sapere) tutto (ma proprio tutto) del Daredevil di Miller. L’articolo s’intitola “La fine dell’eroe nel Daredevil di Frank Miller”

e

La crisi di mezza età porta gli umani ad assurdi tentativi di recuperare i fervori adolescenziali. Di solito sono situazioni che corrono lungo i binari del sesso, della droga e del rock’n’roll. Claudio Calia gioca in un altro campionato: per affrontare la seconda metà della sua vita, ritrova l’adolescenza nelle letture. Ha quindi deciso di proseguire, senza soste, la lettura del Daredevil di Frank Miller. Nella settimana appena conclusa, ci ha raccontato “Le quattro vite di Sand Saref, ovvero del maiale non si butta via niente”.

Non ho detto a caso “ultime carinerie di Paolo”, perché… voi ve lo ricordate quando qua attorno era tutto campagna e (Quasi) alla fine di ogni mese finiva in un articolo ordinato con tanto di copertina e… that’s it? La newsletter l’avevamo aperta per quello, ci sembrava carino, che una volta al mese vi arrivasse il numero di (Quasi) concepito da pagina uno fino alla fine. E invece, l’articolo rimane, ma poi spunta fuori quell’arruffapopolo che propone una newsletter settimanale. La propone come fa lui di solito, presentandotela già scritta, tutta in prima persona, e poi ti chiede di aggiungerci cose. Come fossi lui. E così, si è piuttosto assodata nel tempo la dinamica per cui ogni settimana tra il martedì e il mercoledì io e Boris ci becchiamo una mail di insulti con due allegati (stanno diventando sempre più spesso tre, perché ho allentato la mia ferrea policy sulle immagini) e passiamo alla correzione refusi e programmazione della spedizione alle vostre caselle di posta.

(Quasi) è il regno dei preamboli già di suo, figuriamoci con lo spirito vacanziero di questo mese. Ed ebbene sì, vigilante della mezza età altrui sub-direttore Paolo, ti offro pane per i tuoi denti scrivendo con soddisfazione che ho finalmente terminato un’altra lettura a cui ambivo dall’adolescenza. Mi sento quasi colpevole a dirlo soprattutto ora che l’ho finalmente letto, ma io tutti i numeri di “Silver Surfer” edito da Play Press non ce li avevo e così, Panther’s Quest di Don McGregor e Gene Colan (inchiostrato da Tom Palmer) non lo avevo mai letto completo. Complice un annuncio pescato a strascico nei miei abituali momenti di pesca online, sono riuscito in breve tempo a procurarmi i Silver Surfer dall’1 al 15 che raccolgono l’intero ciclo, tra albi e un paio di raccolte. Ne esiste un volume Panini, lo so, ma mi è sembrato più complicato da trovare che questa soluzione.

Una volta ricomposto mi son tuffato immediatamente nella lettura, e che lettura! Panther’s Quest è apparso originariamente a partire dal 1989 sulla rivista Marvel Comics Presents, e credo che ne segni in qualche modo una sorta di record in quanto serial più lungo di tutti ospitato tra le sue pagine, con i suoi ben 25 episodi di cui alcuni anche più lunghi delle canoniche 8 pagine riservate di solito a ogni storia.

Se non lo sai, racconta di Pantera Nera che si introduce in Sud Africa durante l’apartheid per rintracciare la madre scomparsa quando lui aveva tre anni. Probabilmente la parte di storia relativa alla ricerca della madre non è neppure la più riuscita, conclusa frettolosamente seppur con così tanto spazio a disposizione, ma il viaggio è un percorso dolente e straziante attraverso questa nazione ostile. Intanto, se ti sta antipatico Pantera Nera, è un’ottima occasione per vederlo torturato in tantissimi modi. Davvero, dal primo episodio in poi, a partire da una complicata relazione con un intricato filo spinato, il corpo di Pantera Nera è continuamente ferito e martoriato, rischia pure di essere bruciato vivo, un accanimento, anche nelle inquadrature di Colan, sulle ferite e il corpo del protagonista che ho raramente visto in giro.

Nel suo percorso incontrerà diverse tipologie di personaggi, legandosi a alcuni e scontrandosi con altri, approfonditi e dotati di motivazioni convincenti, a volte anche complesse, consistenti. Un McGregor che ho trovato meno prolisso e più incisivo di quello della Pantera Nera serializzata su “Jungle Action” a partire dal 1973, che pure ho sempre molto apprezzato. E un Gene Colan che ho ri-trovato forse più sotto controllo del solito, probabilmente alle prese con una sceneggiatura dettagliata, e non appena accennata con il classico “metodo Marvel”. Diciamo che nella mia intima classifica personale delle opere di Gene Colan si piazza ancora sotto Dracula, ma ho apprezzato la maggiore libertà nel segno espressa in questa Panther’s Quest.

La vicenda si chiude con una serie di cancelletti e asterischi tenuti insieme in una nuvoletta pronunciata dalla madre di T’Challa, finalmente libera, mentre colpisce il suo sequestratore. In questo finale catartico ma non liberatorio in cui tutto va al suo posto alla fine del tortuosissimo e sofferto viaggio di cui siamo stati testimoni per più di 200 pagine, ho pensato che un “vaffanculo” in quel baloon ci sarebbe stato benissimo, così bene che a dirlo ci ho pensato io.

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(Quasi)