Daredevil di Miller e X-Men di Claremont e Byrne: storia di un crossover emozionale

Claudio Calia | Affatto |

Dai, andiamo, non lo troveresti almeno un po’ eccentrico se, chiedendo «quali sono i fumetti più importanti, per te?» a un tizio che ti pare averne letti ben più di un paio, e pure avere dei gusti non male, costui ti rispondesse, con fare sicuro, “Uncanny X-Men” numero 137 di Chris Claremont e John Byrne, uscito nel settembre del 1980 negli Stati Uniti, e “Daredevil 181” di Frank Miller dell’aprile del 1982? Ecco, non farlo. Perché hai ragione, sarebbe eccentrico e non è la risposta che ti darei. Ma qui è di loro che devo parlarti.


Dopo averti raccontato che per me il mito del supereroe muore nello scoprire che Matt Murdock è uno stronzo, prima di Miracle Man, Watchmen, Il ritorno del cavaliere oscuro e compagnia bella, del “first impact” di Frank Miller alle prese con Daredevil e del forte debito del suo ciclo di storie nei confronti di Will Eisner, ora mi serve ricordarti dove siamo rimasti nelle memorie del lettore da piccolo: ne “L’Uomo Ragno” numero 17 dell’ottobre 1988 muore Jean Grey degli X-Men, e appena un anno dopo ne “I Fantastici Quattro” numero 15 del dicembre 1989, Elektra viene uccisa da Bullseye. Al tempo le storie degli X-Men ne “L’Uomo Ragno” erano spezzettate, per cui nel numero 17 cade la seconda metà dell’episodio, quella in cui effettivamente Jean Grey muore. Ora, io non potrei mai dirti «leggiti queste due storie», e qua sta il problema: sono importantissime in un contesto fatto di mille premesse e poco comprensibili a qualcuno di totalmente estraneo ai personaggi. Per la cronaca gli X-Men nascono nel 1963 creati da Stan Lee e Jack Kirby, Daredevil nel 1964 a opera di Stan Lee e Bill Everett.

Parliamo di personaggi seriali e di un bambino tra i 12 e ì 13 anni, che segue le avventure di questi tipi in calzamaglia da mesi. Sia “L’Uomo Ragno” che “I Fantastici Quattro” diventano ben presto quindicinali, per cui le loro storie mi entravano in casa almeno quattro volte al mese, pubblicazioni speciali escluse. Probabilmente passavo più tempo con loro che, per dire, con i miei fratelli.


“L’Uomo Ragno” della Star Comics lo acchiappo la prima volta con il numero 11 del marzo 1988, il primo con gli XMen come comprimari. Di loro conosco abbastanza poco, e i personaggi sono tutti nuovi: quelli che ricordavo io sembravano più giovani di questi, più “studenti”. Del cast, conoscevo solo Ciclope e Marvel Girl, e probabilmente avevo già incontrato da qualche parte Banshee. Devil invece lo conoscevo già per aver letto una manciata di albi dell’Editoriale Corno, e dopo tanti anni ne conservo ancora gelosamente il numero 50. Diciamo che il mio ricordo degli X-Men e di Devil in questo periodo, prima di incrociare gli albi Star Comics, potrebbe esser stato circa così.

Mentre dentro “L’Uomo Ragno” e “I Fantastici Quattro”, quando apro le prime pagine delle loro storie me li mostrano così.

Ricordo benissimo. Negli X-Men, quell’inizio con quell’inquadratura dall’alto e i personaggi che si salutano dopo aver evidentemente condiviso qualcosa di importante e coinvolgente (La saga di Proteus, raccolta solo qualche mese dopo nel primo speciale delle Edizioni Star Comics), fu fortissima la sensazione di essere arrivato a metà di qualcosa. In Devil invece era chiaro che qualcosa di nuovo stesse cominciando. La differenza sostanziale è che mentre la storia degli X-Men (la prima metà di “Uncanny X-Men” 129, Marvel Comics, gennaio 1980) proviene da un ciclo già cominciato, partito dal lontano “Giant-Size X-Men” 1 e “Uncanny X-Men” 94 (agosto 1975), che ha visto Chris Claremont saldamente alla scrittura e alternarsi ai disegni Dave Cokrum e John Byrne, quello di Devil è proprio una sorta di “nuovo inizio” nelle mani di un nuovo autore. Se Frank Miller deve ufficialmente presentarsi ai suoi lettori, gli X-Men proseguono quella che al tempo veniva definita una vera e propria soap opera a fumetti.


I modi del racconto delle due storie sono diversissimi. Claremont è noto per la sua verbosità, i suoi X-Men non riescono a concentrarsi su quel che fanno neppure durante un combattimento: sono sempre a pensare un sacco. Mentre in Miller i combattimenti sono contraddistinti solo dal rumore dei colpi e i rapidi movimenti degli antagonisti.


Ma perché allora, se mi sono piaciuti tanto questi due albi, nel caso mi chiedessi «quali sono i fumetti più importanti, per te?» non potrei risponderti “Uncanny X-Men” numero 137 di Chris Claremont e John Byrne e “Daredevil” 181 di Frank Miller?

Perché la loro potenza sta nell’essere inseriti in quelle saghe nel momento preciso in cui lo sono. Mentre presa singolarmente la morte di Fenice è un racconto tutto sommato molto verboso e non così coinvolgente, inserita nel contesto da soap opera degli X-Men in modo inaspettato, dopo la lettura degli albi precedenti, ecco… è come se ti morisse qualcuno che conosci. Elektra poi, lei è vero che l’ho incontrata dal numero 2 dei “Fantastici Quattro”, ma ho presto recuperato il primo e insomma, Elektra è nata con me. L’ho seguita dalla prima apparizione. Quelle storie sono importanti per me in un modo che non so spiegarti: perché arrivano nella mia vita in quell’ordine, in quel momento e a quell’età. Condizioni irripetibili per te, se mi stai chiedendo un consiglio su cosa leggerti stasera mentre stiamo bevendo un aperitivo.


Ecco, il segreto di “Uncanny X-Men” numero 137 di Chris Claremont e John Byrne e “Daredevil” 181 di Frank Miller sta qui. Perché in quel passaggio dai 12 ai 13 anni di questo bambino appassionato di fumetti, l’aver già vissuto il lutto per delle persone – seppur immaginarie – importanti nella sua vita, lo ha aiutato solo pochi mesi dopo ad affrontare quando l’amico di infanzia si è incamminato verso il mare e non è più tornato indietro, o la compagna di partito così gentile con i nuovi arrivati si è suicidata. Del suo funerale in municipio continua a ricordare tutte quelle bandiere rosse che sventolavano pensando – in un loop temporale che solo nei fumetti è concesso – che sarebbe stato bello se lei fosse stata là, a vederle. Le sarebbe piaciuto. Al di là delle intenzioni dei loro autori, le storie diventano importanti anche solo per il momento in cui la loro lettura accade nella vita del lettore. Diventano un bene privato, intimo.

Nella scomparsa di Jean Grey e Elektra quel ragazzino in una età delicata – attraverso i protagonisti del suo immaginario – ha ricevuto una prima dose di anticorpi alla consapevolezza della morte, e, guardandosi indietro una volta adulto, non sa come avrebbe fatto senza.

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