Le figurine del Giro d’Italia 2024: Seconda parte

Mabel Morri | Play du jour |

Tappa 12: Martinsicuro – Fano, giovedì 16 maggio.

La giornata è fredda rispetto alle ultime nelle quali un sole frizzante ed estivo bagnava la riviera di Senigallia. Proprio da Senigallia, nella tappa che arriva a Fano e che passa dalle colline senigalliesi toccando, tra le altre, le frazioni di Ostra e Trecastelli, parte il Giro. E, con l’allestimento della partenza nella Piazza del Duomo che qui tutti chiamano Piazza Garibaldi.
È una bella piazza, tanta gente in mattinata dovuta anche al mercato cittadino e non mancano le autorità, il Vicesindaco e un Assessore, complici nell‘essere sorridenti quando ci sono questi eventi e farsi belli della città che incredibilmente “tiene” anche nonostante la loro amministrazione. Un’amministrazione fatale perché, andrebbe ricordato, dato che si fanno belli per il Giro, è la loro gestione quella che ha riportato nel centro storico le auto; è la loro gestione che rende la ciclabile sul lungomare pericolosa perché hanno ripristinato in un tratto il doppio senso; è la loro gestione che ha lasciato 13 morti per l’alluvione del 2022 e la loro pulizia del fiume, confermata incredibilmente dal Sindaco, rende ancora più devastante la situazione nel caso ci fosse un’altra alluvione, perché hanno di fatto allargato l’alveo del fiume tagliando anche alberi secolari, cosa che toglie alla discesa dell’acquagli argini e gli ostacoli naturali, rischiando di far arrivare a valle il fiume gonfio a una velocità indicibile. Per cui, vederli sul palco come se le loro politiche siano improntate sulla sicurezza del ciclista e del territorio fa un po’ arrabbiare. Da dove passa il Giro in questa tappa, io lo chiederei ai ciclisti che sorpasso a 2 metri di distanza e rallentando, se non avvertono costantemente il pericolo.
Ma suppongo mi si potrebbe dire che “è la politica, baby, piuttosto non andare a votare che non ne vale la pena”. Peccato che quel diritto di voto c’è gente che è morta per darcelo, che ha fatto proteste e manifestazioni, guerre persino e vorrei che andassero sulle loro tombe a dirglielo che non vanno a votare, sulle tombe di quei ventenni che hanno scelto di dare la vita per i diritti di cui oggi tutti godiamo. Perché, per altro, è proprio con il voto che questa gente incompetente e dalle politiche inquinanti (di cultura, di territorio, di anima) finalmente la si manda a casa.
Un timido sole prova a scostarsi dalle nuvole.
Gli esperti raccontano di questa tappa interamente nelle Marche come quella dei “muri” marchigiani: è la prima volta che sento il termine in riferimento ai saliscendi di queste parti: spaccagambe a piedi figuriamoci in bicicletta, ma forse chi vive qui è talmente abituato a queste strade che non ci si ragiona troppo sulle difficoltà effettive che queste salite corte e ripide, continue e costanti, provocano ai forestieri. 
Jacques Anquetil è stato un ciclista francese, ha vinto 5 Tour de France ed è uno della strettissima cerchia di quei corridori che hanno fatto il doblete (vittoria nello stesso anno del Giro e del Tour). Nel 1961, nel Giro che passava dalle Marche dalle stesse zone di questa tappa, il francese perse il Giro perché andò “fuori giri” e andò in crisi proprio su queste colline. Quando si allenò per rincorrere il doblete, nel 1964 si trasferì a Fano e percorse quelle strade che, qualche anno prima, gli avevano fatto perdere il Giro. Strade le cui salite e discese continue, i cui strappi micidiali e altrettante tecniche chine, lui definì “maligne e infami”, ma che gli permisero una condizione tale per la quale, proprio quell’anno, realizzò il doblete.
Quando il Giro passa da Osimo, che prima della Seconda guerra mondiale era il capoluogo delle Marche, penso a quella colazione da Frolla, un biscottificio che ha le stesse caratteristiche di Pizza Aut Aut, e al suo centro storico, come tantissimi altri, incantevole. Quando il Giro attraversa Ostra e Casine (di Ostra) penso all’alluvione, a tutte quelle zone che erano sotto l’acqua. Quando il Giro passa a Monsano, quella salita la conosco: ai lati un albergo, il distributore, dall’altro il rigattiere e il negozio di scarpe, andando su verso Borghetto, tutte stradine interne che non so quante volte ho percorso. Quando il Giro passa da Ripe e da Monterado, che sono le frazioni più vicine a Senigallia, se penso alla mia seconda vita qui, nelle Marche, inizio ad avere tantissimi ricordi. Quando la testa della corsa, il francese Julian Alaphilippe e l’italiano Mirco Maestri, passano da Ponte Rio so che lì c’è il bar taverna dove ho partecipato alla presentazione di un libro. Quando arrivano a Mondolfo, sai che a Marotta c’è l’uscita dell’autostrada e a Monte Giove è stata l’ultima giornata di rilassamento che sono riuscita a concedermi e quel giorno, in auto, prendemmo un acquazzone straordinario prima di decidere di pranzare a Fossombrone. Quando il Giro arriva a Fano, che dire?, un elenco lunghissimo di “quella che”.
È la tappa di zone che, nel tempo, sono diventate anche le mie.
La figurina di oggi è Mirco Maestri: prende la fuga e, ciclista dopo ciclista, rimane con Julian Alaphilippe per almeno 100 chilometri a darsi un cambio regolare, a passare per primo in tutte le zone che sono diventate le mie, a prendersi tutti i traguardi volanti, a pensare per primi di poter arrivare al traguardo di Fano. Maestri lo vidi sul palco a Jesi, vestirsi della maglia arancione quando, nella Tirreno-Adriatico del 2019, correva per la Bardiani. In quella Tirreno-Adriatico, per uno di quei curiosi incastri della vita, quella tappa a Jesi la vince lo stesso Alaphilippe che con Maestri, chiamato “Paperino” per via di un peluche con cui, a scuola i bambini si baloccavano e che Maestri riusciva a prendere sempre per sé per giocarci, si gioca la vittoria e che stacca nel primo strappo del Monte Giove. E finalmente, finalmente, la vince Julian Alaphilippe. Che poi però dopo il traguardo, aspetta Maestri, lo raggiunge, e sorridono insieme per la bella gara di entrambi.

Tappa 13: Riccione – Cento, venerdì 17 maggio.

Altra tappa dei luoghi del cuore: dalla Romagna all’Emilia. E non c’è un angolo che non riconosca, che non sia motivo di ricordo, che non mi commuova perché quelle sono le strade su cui sono cresciuta.
Tappa piattissima e in teoria facilissima, vento permettendo, è anche la tappa che tocca le zone dell’alluvione del 2023: le strade di un colore scuro e dalle indicazioni bianchissime, quasi catarifrangenti, fanno capire quanto la riqualificazione sia stata importante da quelle parti. In una giornata di sole, ma che giovedì a Bagnacavallo ha allagato qualche cantina e ha fatto una grandinata tale da sembrare neve. 
C’è un unico momento nel quale, a guardare la tattica, l’accelerata della INEOS Grenadier dopo una curva, prima di un rettilineo fulminante, è assomigliato a un attacco alla UAE di Pogacar, la quale non si è fatta sorprendere e ha ricucito subito l’allungo ma che ha lasciato indietro altri corridori, tra cui Jonathan Milan – che poi è andato a vincere -, a mettere quel pepe alla tappa. Rimanendo così sorpresi, si è creato un buco che a ricucirlo sono serviti solo i rallentamenti dentro i paesi che smorzavano il vento e permettevano il recupero, grazie anche a un lavoro pazzesco della LIDL – Trek che non poteva certo perdere l’occasione di portare Milan al tentativo della vittoria.
Velocità da crociera, corridori che scherzano in gruppo, Julian Alaphilippe sempre un po’ fumettistico e teatrale che saluta alla telecamera, la figurina la meriterebbe Elisa Balsamo che nella prima tappa della Vuelta a Burgos, in volata, viene toccata da un’altra atleta, Sofia Bertizzolo, ed entrambe finiscono a una velocità spaventosa contro le transenne. Balsamo, sempre cosciente, portata via in ambulanza, riporterà la frattura del naso, della mano e una commozione cerebrale, Bertizzolo la frattura del radio di un braccio.
La figurina della tappa emiliano romagnola, la 13, è però il faentino della VF Group Bardiani – CSF Faizanè, Manuele Tarozzi – faccia da schiaffi romagnolo, bonariamente parlando, quel modo di essere romagnolo un po’ patacca, romagnolo puro, purissimo, e la ripetizione, la sottolineatura, romagnolo ha un suo preciso perché -, che nel tratto da velocità da crociera, inquadrato dalla telecamera, dice: “Speriamo che nel rifornimento ci sia la piadina al posto dei panini”. Andrà a vincere il traguardo dell’InterGiro, andando in fuga e salendo sul palco a Cento. La battuta gli vale la figurina.

Tappa 14: Castiglione delle Stiviere – Desenzano del Garda TUDOR ITT, sabato 18 maggio.

Seconda cronometro del Giro 2024.
Gli esperti raccontano che sembrerebbe, data la mancata intervista non concessa al giornalista RAI Umberto Martini da parte di Filippo Ganna della INEOS Grenadier – di solito sempre disponibile in queste circostanze -, una specie di polemica muta nei confronti della squadra e della tattica della tappa. Quando si crea il buco nella tappa 13 che mette in difficoltà la LIDL – Trek di Jonathan Milan fallendo il vero obiettivo, Tadej Pogacar e la UAE, l’accelerata la dà proprio Filippo Ganna che tira nel vento, stancandosi. Ci sono due aspetti/problemi: il primo riguarda una precedente intervista di Ganna alla RAI a fine di una tappa della settimana scorsa, nella quale si lamentava apertamente della tattica tenuta; il secondo è che, in quell’accelerata, Ganna ha sprecato energie per la tappa 14, la seconda cronometro, nella quale, non avendo avuto buone sensazioni, è riuscito a rimanere secondo, e comunque vincente, fino alla crono pazzesca di Pogacar che lo ha battuto di appena 17 secondi. Si capisce che Ganna, in una tappa piatta e liscia come quella da Riccone a Cento, avrebbe preferito risparmiare più forze possibili invece di “tirare”; a maggior ragione, è tornato utile non concedere l’intervista perché si sarebbe potuto nuovamente lamentare.
In tutto questo, gli esperti sperano che il pistolero Antonio Tiberi possa sgranocchiare più tempo possibile scavallando nella classifica generale gli avversari e sperare, oltre alla conquista della maglia bianca, anche il suo primo podio al Giro d’Italia. Lo precedono, in classifica, tra gli altri, Dani Martinez della Bora e Mister G (Geraint Thomas) della INEOS che al momento hanno fatto un buon Giro: il primo controllando sempre e senza assumersi mai rischi, il secondo provandoci un po’ di più.
In effetti Ganna fa una crono notevole. Tiberi un po’ meno: tanto conclamato e in realtà una mezza delusione.
Meno inquadrati e meno commentati i primi due corridori dopo Pogacar in classifica generale, quei Dani Martinez e Mister G di cui sopra e tuttavia lo sloveno riesce a rispondere a Ganna con un’altrettanta crono notevole, sebbene i maligni bisbiglino che si sia “tenuto” per il tappone di domani, la tappa numero 15 che segna l’inizio delle Alpi. Alpi che hanno segnato spesso il crollo dei leader.
Per quanto Pogacar “tenuto” abbia comunque dato minuti a Martinez e Thomas, è proprio quest’ultimo la figurina della tappa 14. Mister G è sempre stato uno di quei corridori britannici (è gallese) compatti: passista, tiene in salita, cronoman, sa fare tutto bene, spesso anche con squadre costruite intorno a lui. E’ da Bradley Wiggins che prima la Sky oggi la INEOS, passando per Chris Froome, ha in batteria questi ciclisti: Mister G è sempre stato una garanzia. Anche in una crono che lo ha visto persino migliorare rispetto alla precedente.
Ci ha provato e riprovato, Thomas, al Giro. Ci sta provando ancora. Anche solo per la dedizione e la tigna merita il podio: nel 2017 sul Blockhaus, una montagna dell’Abruzzo ripida e bellissima, finisce il suo Giro in una maxi caduta dovuta a una moto della Polizia contro la quale molti ciclisti sbattono e, a domino, cadono tutti; nel 2020 si ritira a causa di una borraccia rimbalzata sull’asfalto che lo fa cadere nel tratto di trasferimento della tappa, quel tratto cioè, non calcolato ma necessario, che conduce i corridori dal palco e dal foglio firma fino alla linea di partenza che non è mai in zona palco.
E’ presumibile pensare che dalla tappa 15 terrà in montagna, certo non dà l’idea di ribaltare il Giro. Ma è lì, sempre tra i migliori. 

Tappa 15: Manerba del Garda – Livigno (Mottolino), domenica 19 maggio.

Le Alpi.
Iniziano le Alpi e, dicono gli esperti, da questa tappa inizia anche un altro Giro.
Dicono. Perché quello che vedo io è un lento staccarsi di gruppi e gruppetti di ciclisti che a un certo punto, nelle ascese più dure, arrancano. Quando arrivano al traguardo, i volti sono devastati. Nairo Quintana, scalatore colombiano dal volto imperturbabile, della Movistar, per la prima volta in questo Giro (e a dire il vero nell’ultimo anno, essendo rimasto senza squadra dopo i due anni in Arkea), dimostra le sue potenzialità e, se non ci fosse stato Pogacar, al traguardo ci arrivava lui, con anche una bella, dura, appesantita pedalata.
Invece c’è questo sloveno di 25 anni, la cui figurina conservavo per la tappa finale, un puntino rosa in spazi incantevoli, bianchi e nevosi, questa freccia rosa che riprende tutti, salta tutti, saluta tutti. Da solo, su questi tornanti di montagna, di rosa vestito, con questa pedalata regolare e apparentemente senza fatica, va a vincere la tappa che doveva dimostrare che iniziava un altro Giro.
Francamente, se alla fine della seconda settimana Pogacar ha vinto così, consolidando la maglia rosa e, piuttosto, prendendo pure secondi preziosi sugli altri che sono crollati, è difficile pensare che anche nella terza settimana accada qualcosa che non veda Tadej Pogacar alzare a Roma la Coppa a vortice dell’Amore Infinito.
Questo sloveno è un fenomeno puro, cristallino, vederlo è una gioia per gli occhi.
Questo sloveno è uno di quelli che fa davvero innamorare di questo sport.

Tappa 16: Livigno – Santa Cristina Val Gardena/St. Christina in Gröden (Monte Pana), martedì 21 maggio, poi Prato allo Stelvio – S.Cristina Val Gardena.

Doveva essere il tappone della Cima Coppi, la cima designata come la più alta del Giro.
Doveva essere la tappa dello Stelvio, la montagna storica della corsa rosa.
Doveva essere l’inizio della terza settimana che rimescolava le carte della classifica generale.
E invece il Giro inizia e già si dice che lo Stelvio è impraticabile: le piogge in pianura del periodo hanno creato metri di neve che non hanno permesso il passaggio. Metri e metri di neve, gli organizzatori hanno anche provato a rendere la strada percorribile ma il cambiamento climatico, anche qualora ci fosse stato bel tempo e le condizioni necessarie, non permette la sicurezza totale: troppo alto il pericolo di slavine per cui niente, si cambia, non si passa più dallo Stelvio.
Martedì ci si sveglia e a Livigno nevica. Nevica di brutto. Persino le auto delle ammiraglie non hanno gomme adatte alla neve e devono passare per l’unica galleria sicura per arrivare quindi all’inizio della tappa, che viene spostata, non è più a Livigno ma a 80 chilometri oltre. La tappa dunque viene tagliata: da 206 chilometri diventa di 140.
Ci sono tre piani che vengono discussi: uno, il più sicuro, quello che hanno preso, un altro (folle) che prevedeva una sfilata di 20 chilometri nel ghiaccio e nella neve per poi entrare in ammiraglia, asciugarsi e cambiarsi e ripartire 20 chilometri dopo, e un ultimo che non ricordo ma improponibile anch’esso.
Alle 12:32, quando Rai Sport avrebbe dovuto commentare la Prima Diretta del Giro di una tappa indimenticabile, sulla Rai sono costretti a mandare in onda gli ultimi 25 chilometri della tappa 15, in replica, cosa che accade anche su Eurosport, di solito ligia alla diretta costante nonostante slot continui di pubblicità, su cui le voci dei commentatori, il giornalista Luca Gregorio e l’ex ciclista Riccardo Magrini, sono anche le loro in replica.
Non è una situazione mai vista nel ciclismo: capitò a un Tour de France, una tappa che avrebbe potuto essere decisiva viene interrotta per una frana, fango e pioggia che si riversa in strada. Quando le ammiraglie con già a bordo i ciclisti, che a quel punto avevano lasciato la gara, passarono da quel tratto non era poi così apparentemente impercorribile. La polemica scattò perché in gara si era creata una situazione di attacco e possibile ribaltamento della classifica: Egan Bernal era già in maglia gialla, Julian Alaphilippe stava attaccando e in corsa si stava apparecchiando al sorpasso del francese sul colombiano, ma interrompendo la tappa e non recuperandola più, anche i tempi furono poi quelli dell’interruzione e, di fatto, fu uno dei più grandi se e ma di quel Tour. Senza interruzione, Alaphilippe avrebbe superato Bernal e vestito la maglia gialla? Non lo abbiamo mai saputo. Abbiamo solo visto il colombiano sul palco con lo splendido sfondo dell’Arc de Triomphe sugli Champs Elysées sorridere in maglia gialla vincendo il Tour.
E’ capitato e continuerà a capitare, soprattutto se le gare hanno tappe così belle ma in luoghi dove è prevedibile un intoppo climatico, oltre a un altro tipo di cambiamento, l’atteggiamento dei ciclisti che non vuole essere arrogante, sono i primi a dare spettacolo ma sono anche i primi a chiedere sicurezza e giuste condizioni per starci, in bicicletta. Il pericolo zero non esiste, ma fare in modo che la soglia si assottigli è un buon compromesso.
“La tappa del maltempo.
La tappa delle polemiche e della confusione.
La tappa del taglio definitivo dello Stelvio.”
Sono le 16:32 quando Francesco Pancani, giornalista della Rai, prende la linea dopo la pubblicità. Una tappa che viene totalmente ribaltata nelle tattiche, nelle intenzioni, nei protagonisti.
Ma alla fine vince ancora la maglia rosa, Tadej Pogacar che, sorride, inizia a contare con la mano quante tappe ha vinto e alza la mano a cinque superando il traguardo.
“E’ stato costretto a vincere” dicono Pancani e Davide Cassani, ex ciclista ed ex commissario tecnico della Nazionale su strada (negli anni ‘80 faceva parte della squadra della Ariostea, ceramiche faentine e che, per gli appassionati di Strangers Things, è il berrettino che indossa Lucas nella stagione 3), perché a un certo punto si stacca Giulio Pellizzari, il più giovane del Giro, appena 20 anni, e prova ad andare a vincere, ma Pogacar è lì, col suo ritmo, che lo supera. E qui si vede la professionalità: avrebbe potuto farlo vincere, il secondo in classifica è a 7 minuti, è assoluto padrone del Giro, ma proprio per questo, per rispetto degli avversari, non può far vincere il primo che ci prova, a maggior ragione se comunque gli è superiore. A Pellizzari, che arriva secondo, gli regala occhiali e maglia, cimeli che valgono la storia e il ricordo di una tappa stramba, oggetti che vanno incorniciati. Pellizzari che, dicono gli esperti, massimo un paio d’anni e diventa un bel corridore.

Tappa 17: Selva di Val Gardena/Wolkenstein in Gröden – Passo del Brocon, mercoledì 22 maggio.

Dicono che lo abbia fatto vincere, Tadej Pogacar al giovane Georg Steinhauser, 21 anni e figlio di cotanto padre, quel massiccio di Tobias che sembra corridore d’altri tempi, lo è, ma scopro che ha appena 3 anni più di me, sigh!
A guardare la gara però ha fatto quello che ha sempre fatto, lo sloveno e la UAE. Non a caso quando Dani Martinez prova a scattare, non solo la benzina gli finisce subito, non solo Pogacar lo riprende con un amen, ma lo stacca e va su del suo passo, tant’è che se al giovane Georg il gruppo dei migliori non lo avesse lasciato andare a 3 minuti, Pogacar riprendeva pure lui, sul quale col suo passo aveva recuperato ben 2 minuti.
A guardare la gara, ci stava che Pogacar controllasse, ci stava che se la prendesse anche comoda perché ormai la tattica si è risolta a chi salirà sul palco con lui, ormai il Giro è interessante dal secondo posto in giù e sui corridori che conquisteranno le varie maglie.
La tappa era nel mirino del giovane Pellizzari, su cui tutti gli esperti si sono scatenati entusiasti, cercandolo, intervistandolo, riproponendo le sue lacrime dopo che Pogacar, alla sua richiesta del regalo degli occhiali rosa, gli ha anche regalato la maglia rosa. Pensare che il giovane marchigiano stava pure per lasciarlo, il Giro, invece ha tenuto e poi ha iniziato la terza temibile settimana in sufficienti forze per provarci anche nella tappa 17, per pochi chilometri, poi ha lasciato. E allora in un’altra fuga, sempre sotto la pioggia, Steinhauser della EF Education First e l’eritreo della LIDL – Trek, Amanuel Gebreigzabhier, prendono coraggio e vanno: il secondo si stacca dopo aver retto per diverse decine di chilometri, il primo invece va, va fino a mettersi le mani sul volto, zuppo d’acqua, incredulo della sua prima vittoria da professionista.

Tappa 18: Fiera di Primiero – Padova, giovedì 23 maggio.

E poi piove, governo ladro.
Piove ancora, dopo le montagne una tappa per velocisti che inizia nel e sul bagnato.
Se non che dopo pochi chilometri scappa fuori un sole caldo che fa tanto primavera.
Tappa talmente piana che sulla Rai, passando da zone turistiche e culturali pazzesche, i momenti in cui lo scrittore Fabio Genovesi parla, sono tantissimi, di solito relegato a poche finestre dovute al paesaggio. Nella tappa 18 invece spiega tutto ciò che può spiegare, dall’origine del radicchio trevigiano alle ville venete. Il tutto nel mentre di una fuga che non viene mai lasciata andare via, il gruppo controlla da molto vicino, anche perché i passaggi nei centri abitati sono numericamente alti e il giornalista Stefano Rizzato che segue il Giro dalla moto, si sorprende di quanta gente ci sia a bordo strada per essere un giorno feriale.
Nel giorno dopo della storica vittoria dell’Atalanta nella finale di Europa League a Dublino contro il Bayer Leverkusen, battendolo e asfaltandolo per 3 – 0, a Padova un timido sole permette ai corridori di arrivare prima della pioggia perché il sole si nasconde subito dietro le nubi nere e lascia fare.
“Arrivo pericoloso” dice Jonathan Milan, maglia ciclamino del Giro, che arriva secondo riuscendo a recuperare la posizione dopo averla persa e macinando rullate sui pedali che però non gli permettono di vincere: ammetterà anche la colpa di essersi perso i compagni e di non essere riuscito a seguirli, semplicemente.
Da questa tappa però, considerato il primo in classifica, la voglio dedicare a tutti quei ciclisti che sono venuti al Giro, chi per trovare la gamba, chi la forma, chi aveva ambizioni di classifica, chi si è trovato impreparato di fronte all’enormità di Pogacar, chi prova a fare questo lavoro di ciclista, chi si è perso per ritrovarsi.
Lo si è visto nelle fughe, le due squadre italiane, la VF Group – Bardiani CSF – Faizanè e la Polti Kometa hanno corso un Giro eccezionale, facendo scoprire ai telespettatori tanti giovani che chissà, forse riusciranno a trovare il loro spazio e la loro carriera, e tutti avrebbero meritato una figurina. Per la prima, qualche figurina l’hanno avuta, Filippo Fiorelli, Manuele Tarozzi e Giulio Pellizzari, ma c’erano anche Domenico Pozzovivo, al suo ultimo Giro d’Italia, Enrico Zanoncello o Martin Marcellusi così come Luca Covili. Per la seconda, Mirco Maestri come figurina, ma erano da ritrarre anche i due Bais, Mattia e Davide, Davide Piganzolo e Andrea Pietrobon tra gli altri, ma ho scelto Davide Fabbro che si è visto solo in un momento, rarissimo, ha tirato su una salita e poi poco altro. Fabbro è uno di quei giovani che è dovuto andare in una squadra straniera, la tedesca Bora Hansgrohe, per cercare di crescere: naturale pensare che in quella squadra, nella quale gareggiavano ancora Peter Sagan e Daniel Oss, il suo ruolo fosse quello di gregario. Con due possibili risultati: farsi le ossa e specializzarsi, oppure perdersi. Cosa che sembra essergli accaduto. Ecco perché la chiamata della Polti è un toccasana, perché gli permette di ritrovarsi in un ambiente sano, una specie di famiglia che può ridargli il sorriso e il tempo, quel tempo che nello squadrone Bora non ha avuto.

Tappa 19:  Mortegliano – Sappada, venerdì 24 maggio.

E’ nelle lacrime di Andrea Vendrame, ciclista trevigiano della francese Decathlon AG2R La Mondiale, sceso e sedutosi sull’asfalto dopo la vittoria di tappa, volto con ancora le cicatrici visibili del grave incidente del 2016 chino tra le ginocchia, che il ciclismo, la magia di questo sport, la sua grandezza, racconta le sue storie migliori. 
Corridore che faticava a diventare professionista, quando ci riesce in allenamento lo asfaltano, gli hanno messo 60 punti in faccia e 50 dentro, un dente è ancora scheggiato, lo si vede mentre ride, ride e ride sul palco aprendo la bottiglia e annaffiando di prosecco ciò che è davanti. Gli avevano anche consigliato di smettere, ma il ciclismo è anche questo, la tigna di chi ha carattere, di chi altro non può fare, di chi ci crede sempre in se stesso contro chi invece non lo fa.
La storia di Vendrame, vittorioso a Bagno di Romagna nel Giro 2021 e tornato a vincere nella tappa 19, fa emozionare: le sue pedalate furiose nell’acqua della tappa, chilometri macinati che avrebbero potuto essere pesanti e che diventano leggeri vedendo i cartelli dei meno 40, meno 30, meno 20, l’attacco in discesa in un modo matto (non a caso il suo soprannome è “Joker” perché appassionato di fumetti di Batman e, a maggior ragione, per le cicatrici in volto) lungo la strada gonfia di pioggia, la felicità di vederlo arrivare.
I migliori arrivano a quasi 15 minuti dal vincitore.
Vendrame sorride felice quando sale sul palco: è una bolla nella bolla. C’è la felicità tutta personale di Vendrame e poi “il circo” del Giro, le varie maglie assegnate ai vari ciclisti che le indossano da giorni, la rosa a Pogacar, la ciclamino a Milan, la bianca al pistolero Tiberi, la blu sempre a Pogacar ma che in gara non ha mai indossato e quindi sempre sulle spalle del secondo di turno. Una curiosità, come le vittorie della Decathlon AG2R La Mondiale alla corsa rosa: per la prima volta due vittorie al Giro, prima con Valentin Paire-Pentre e, nella tappa 19, appunto, Andrea Vendrame.

Tappa 20: Alpago – Bassano del Grappa, sabato 25 maggio.

Le ultime due, vertiginose, salite (e altrettante discese) sul Monte Grappa.
In teoria la tappa delle tappe, tra le altre. Con un Pogacar così, in questa forma smagliante e questa potenza inequivocabile, che per altro annuncia quando avrebbe attaccato (e così fa), era difficile immaginare che qualcuno degli inseguitori avrebbe ribaltato i 7 minuti dal secondo e i 10 dal quinto in classifica. 
C’è un gran sole primaverile, qui da dove guardo la tappa, poi sfociata in una pioggia fastidiosa che rovina le passeggiate sul lungomare o i pranzi nei ristoranti del porto con gli amici, tutto il contrario di come parte la tappa 20: pioggia alla partenza, bel sole all’arrivo.
Di Daniel Martinez, colombiano della Bora Hansgrohe, specie dopo i primi giorni che era sempre lì, oscillando tra secondo e terzo posto, ci si aspettava qualche pedalata in più. Per quanto i giornalisti dicano che ha fatto il suo, per quello che ho visto io, mi è parso un Giro molto grigio per Martinez. Mai una fiammata, mai una presa di iniziativa – qualche scatto ma nulla che potesse davvero scuotere la corsa -, mai anche solo una tattica di squadra che facesse capire se e quali erano i piani. 
Una squadra con pochi corridori adatti al Giro, solo uno o due riuscivano a tenere il passo di Martinez che non ha mai emozionato in questa gara ma che comunque ha corso un buon Giro, nella misura in cui Pogacar ha dato spettacolo dall’inizio alla fine, Martinez, come Mister G, reggevano, correvano sciapi, senza grandi fiammate. Forse per quell’aspettativa per cui ogni corridore deve dare spettacolo, deve entusiasmare, come se il ciclismo abbia questo compito, sempre.
Martinez a un certo punto parte sulla salita, Pogacar è già lontano, ha già raggiunto Giulio Pellizzari che affianca e gli dice: andiamo insieme?, e per Giulio è un sogno a occhi aperti, nell’accelerata dello sloveno, il giovane marchigiano gli sta dietro per un po’, poi crolla, ma l’azione di Martinez non è per raggiungere il primo, cioè Pogacar, è per sgrullare la classifica, dal secondo in giù. Ce la fa. Scuote la classifica e arriva secondo a 8 minuti, secondo più secondo meno, Mister G Geraint Thomas finisce terzo.
Tre momenti belli di questa tappa. La percezione che nessuno, nessuno, davvero avesse gambe e/o testa (talento?, eppure è una parola sbagliata, perché Pogacar è puro talento, gli altri sono “solo” ciclisti normali), per cui quando Tadej, da dichiarazione, prende e va dopo che Majka si sposta, ci sono tre corse in una. La prima. il sogno di Pellizzari che in quel momento ha già vinto il Gran Premio della Montagna arrivando secondo nella classifica della maglia azzurra dei scalatori, pedala fino a che ne ha e fa un pezzettino con lui, con Pogacar.
Il secondo. Pogacar che a quel punto è su un altro pianeta, sta correndo un’altra corsa, non era nemmeno necessaria quella accelerazione, non era necessario che vincesse e che vincesse così enormemente, asfaltando tutto e tutti, arriva al traguardo e inizia a salutare il pubblico, fino all’inchino sulla linea bianca, e al ringraziamento all’Italia, che ha (anche) tifato per lui. Il terzo. Lo spettacolo, lo spettacolo incondizionato che ha regalato questo ragazzo di 25 anni che sa di essere uno dei migliori, se non il migliore, e che quando sta bene fa impazzire gli spettatori. Il bambino, su una salita che gli chiede il cinque, e lui glielo dà; l’altro bambino, che lo segue parallelo correndogli a fianco e chiedendogli la borraccia, dall’altro lato c’è uno dello staff della UAE che passa una borraccia a Pogacar che, di rimando, la passa direttamente al bambino: gli occhi del bambino e la sua incredulità che a memoria d’uomo rimarrà nella storia di questo Giro.
La figurina è, nonostante tutto, Dani Martinez. Non esalta (lo dice persino Fabretti al Processo alla tappa), ma arriva secondo a quasi 10 minuti da Pogacar che si porta a casa anche uno dei record più elevati di distacco: nel 1965 il vincitore del Giro arrivò a quasi 12 minuti sul secondo in classifica.

Tappa 21: Roma – Roma, domenica 26 maggio.

Roma anche nella domenica del Festival di fumetti Arf!, alla sua decima edizione.
Roma nel sole di primavera.
Roma in rosa per Tadej Pogacar, Imperatore del Giro d’Italia 2024.
Atmosfera rilassata e ammiraglie che bevono, persino quella della UAE ha gli inserti rosa, i corridori stessi hanno calzini e maniche rosa, andando oltre il bianconero e strisce verde e rosso (i colori degli Emirati Arabi Uniti) classico della divisa, Pogacar stesso, come il giorno prima, ha anche la bicicletta completamente rosa.
E’ tutto un salutare, un ringraziare, la bolla sta per scoppiare. Il Giro, un’avventura lunga tre settimane, sta per finire. Sta per finire anche l’ultimo Giro di Domenico Pozzovivo, 18 Giri in carriera, classe 1982 e 2 lauree, il corridore lucano della VF Group – Bardiani CSF – Faizanè è caduto tantissime volte in questo Giro, ma si è sempre rialzato. Si rialzò anche nel 2019, quando in allenamento cadde e un’auto, che aveva invaso la sua corsia, lo colpì frontalmente. La racconta, ma a vederlo in bicicletta, un po’ storto, è conseguenza diretta di quell’incidente.
E allora il gruppo lo lascia andare, gli dà 200, 500 metri di vantaggio, lo fa passare per primo sotto quello che sarà il traguardo, per una passerella di applausi, di commozione, di mani che salutano un corridore che in bici, e per la bici, ha dato tutto.
Non abbiamo contezza del fatto che Antonio Tiberi sarebbe riuscito a conquistare la maglia bianca senza il ritiro di Cian Uijtdebroeks. Il pistolero Tiberi che, secondo gli esperti, è cresciuto come corridore, anche superando sue paure: a sentire loro sembra quasi un ragazzo sensibile, magari lo è anche ma ha pur sempre sparato con un fucile a un gatto uccidendolo. Per cui il pistolero, sensibile o meno, ha fatto il suo Giro, a dire di Pogacar è stato “l’unico con le palle” che ci ha davvero provato, e fino alla fine la narrazione era che da Tiberi ci si aspettasse un qualche colpo, prima o poi. Non evidentemente di pallottole ma di pedale, peccato che il Giro stia andando a concludersi e di queste “sparate” se ne sia vista una sola, inconcludente. E’ comunque il primo degli italiani nella classifica generale. E allora si guardi davvero il bicchiere mezzo pieno, per una volta: Tiberi ha potenziale, stia solo lontano dalle armi. Ed è maglia bianca del miglior giovane al Giro d’Italia 2024.
C’è anche la politica, in questa ultima tappa, sul palco, e che lascia un sapore amaro.
Se Tiberi deve stringere la mano di Lollobrigida, “illuminato” Ministro italico dell’Agricoltura, Pogacar viene premiato dalla Presidente del Consiglio Meloni, in un siparietto che la Rai ha opportunamente nascosto. Terminate consegne di maglie e trofei “minori”, Pogacar è da solo sul palco, aspetta che gli venga consegnata la Coppa ma rimane lì qualche minuto, guardando da basso per vedere se si danno una mossa: è a braccia conserte e la Rai fa in modo di non far vedere le sue spallucce e la sua irritazione nel gesto che dice “E quindi?” rivolto verso il pubblico che rumoreggia, perché questo ritardo è dovuto a Meloni che arriva in quel momento, scimmiottando Macron al Tour. Volendo leggere tra le righe ci sono molteplici significati della presenza di Meloni su quel palco. E’ ormai entrata nel ruolo del premierato conquistato (perché, va da sé, evidentemente inizia con lei, senza possibilità di alternativa democratica)?, Pogacar essendo sloveno e la Slovenia essendo di destra deve avere maggiore attenzione per eventuali future collaborazioni alla Rama?, è grazie a Fratelli d’Italia che hanno concesso permessi e imposto che le strade fossero tutte rifatte coi soldi del PNR (anche in previsione elettorale per le comunali) che il Giro è stato così bello?: congetture. Ma la destra non fa mai le cose senza un fine altro. Pogacar in tutto questo circo istituzionale, nonostante un sorriso di circostanza, si apre in un sorriso davvero sincero solo quando Vincenzo Nibali gli è vicino e gli fa i complimenti. Appare commosso, quando per un attimo rimane solo sul palco ad alzare la Coppa, poi il circo torna e lui preferisce scendere a festeggiare con la fidanzata, i compagni, lo staff.
Il resto, sono festeggiamenti, ciclisti che finalmente possono bersi una birra, ognuno ha la sua storia che è iniziata 21 tappe fa e ognuna a modo suo termina in questa domenica di sole primaverile.
Anche la nostra.
Finito.
Il Giro d’Italia è finito.
Che avventura, queste 21 figurine.
E’ stato il mio primo Giro raccontato così e come progetto, questo delle figurine – che si concluderà nel 2025 -, non penso avrà più spazio la corsa rosa.
Nella domenica che vede lo sloveno Tadej Pogacar vincere la Coppa dell’Amore Infinito, nella domenica che vede terminare il campionato di calcio con l’Inter Campione dello scudetto della seconda stella, nella domenica che vede Stefano Pioli, Olivier Giroud e Simon Kjaer lasciare il Milan e chiudere un ciclo che per i rossoneri ha significato uno scudetto insperatissimo e il ritorno in Europa, prima in Europa League e poi in Champions, nella domenica che guarda a giugno e all’estate, cosa si può aggiungere se non che inizia il conto alla rovescia per l’inizio dell’Europeo di calcio e del Tour de France?
Si può aggiungere che, nell’oggi della pubblicazione, è già luglio e l’Italia è uscita male, male, malissimo dall’Europeo.

Ma questa è un’altra storia.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)