Sono tutte morte: la sindrome de “la donna nel frigorifero”

Claudio Calia | Affatto |

Dalle premesse iniziali, parlarti del Daredevil di Frank Miller in occasione dell’arrivo a casa mia della Frank Miller’s Daredevil Artist Edition di IDW e della lettura del saggio Frank Miller’s Daredevil and the Ends of Heroism di Paul Young (Rutgers University Press, 2016), questa serie di articoli continua a formare cerchi concentrici nell’acqua in un modo apparentemente incontrollabile, ma te lo assicuro: c’è qualcuno alla guida che ti porterà, dove non lo so, ma da qualche parte. Se, in qualche modo, finora ti ho raccontato di come la lettura di certe storie abbia contribuito a fare di me – ne sono convinto- una persona migliore, credo, alla luce di una considerazione nata durante la scrittura di questi pezzi, che sia il tempo per il me adulto di oggi di instaurare un dialogo il più possibile costruttivo con il me giovane di ieri.
Ti ho parlato di Heather Glenn, di Elektra (due volte) e di Jean Grey.

A guardarle così in sequenza, è semplice intuire cos’hanno in comune,


Con l’albo “Amazing Spider-Man” numero 121 del giugno del 1973, apparso per la prima volta in Italia nel giugno del 1975 su  “L’Uomo Ragno” 133 pubblicato da Editoriale Corno , parecchi lettori perderanno l’innocenza di fronte alla morte di Gwen Stacy. La collana “Conan the Barbarian” si caratterizza per essere credo l’unica ad avere festeggiato un numero tondo, il 100 del luglio 1979, apparso con molto meno clamore per la prima volta in Italia nel numero 23 del gennaio 1991 della collana “Conan il Barbaro” di Comic Art, con la morte di uno dei comprimari principali, Bêlit, la regina della costa nera. In “Daredevil” vol. 2 numero 5 del marzo 1999, in Italia “Devil & Hulk” 66 dell’ottobre dello stesso anno, Karen Page viene uccisa da Bullseye nel tentativo di difendere Matt.


La sindrome de “la donna nel frigorifero” viene definita per la prima volta dalla sceneggiatrice di fumetti Gail Simone in occasione dell’uscita di “Green Lantern” vol. 3 n. 54 dell’agosto 1994 (in Italia “Flash” numero 8 delle edizioni Play Press nel giugno 1995), ma è almeno un ventennio che il ruolo più importante dei personaggi femminili nei fumetti è quello di essere morte.


Frank Miller ha approfondito il personaggio di Elektra in tre opere poste fuori dalla linea narrativa principale della serie regolare di Daredevil: Elektra Assassin (1986), con i disegni di Bill Sienkiewicz, Elektra lives again (1990) con i colori di Lynn Varley e Daredevil, the man without fear (1993) con i disegni di John Romita JR. Te l’ho promesso all’inizio di questo lungo discorso che non avrei approfondito le opere tangenti al Daredevil della collana regolare altrimenti non la finiamo più, ma voglio raccontarti del mio rapporto con Elektra lives again.


Esce per la prima volta in italiano, e così la recupero, in “Corto Maltese” (Milano Libri Edizioni) nei numeri 100, 101 e 102, da gennaio a marzo del 1992. A questo punto ho 16 anni e te lo immagini, no? Sto impazzendo. Come tutti i sedicenni vivo le prime relazioni amorose e le prime emozioni devastanti, i primi corteggiamenti e i primi rifiuti. Elektra intanto è morta, ma Matt Murdock continua a vederla nei suoi sogni, perseguitata dai cadaveri di tutte le persone che ha ucciso in vita. Ma Elektra è anche “viva”, cerca di impedire alla setta di ninja de La Mano di recuperare il corpo di Bullseye (che ricordo agli smemorati, è il killer che l’ha uccisa) in obitorio, fallisce e lui viene resuscitato.

I due con Matt Murdock in mezzo (che non si vestirà mai da Daredevil per tutto il volume) si affrontano ancora, Bullseye finisce con la testa mozzata e lei, ancora una volta, muore.

Frank Miller creerà ben altri personaggi femminili, da Martha Washington con Dave Gibbons a Ava e Miho lungo la saga di Sin City, e quel che ti sto scrivendo non è tanto incentrato su di lui quanto su un’epoca che, a strappi e spinte, ci stiamo probabilmente lasciando alle spalle. Ecco, non trovo modo migliore di dirtelo: il me adulto di oggi ritiene che non sia stato un grande affare lasciar crescere il me giovane tra tante opere dell’immaginario in cui il modo più diffuso per concludere la relazione tra due personaggi è la morte di lei.

A volte è come se ti mancasse un pezzo. Una formidabile formazione a elaborare il lutto, tormentati da un monologo interiore in cui costringerti tra te e te (e l’altro smette di esistere), mentre nessuno ti racconta com’è lasciarsi tra persone perbene, o ritrovare la tua ex al bar mentre beve un caffè con i suoi amici dopo che la vostra storia si è conclusa. Un immaginario fatto da maschi, per maschi, che ha creato storie imperdibili, alcune anche fondamentali, ma che per fortuna sta facendo finalmente spazio a altri stimoli, altri spunti, altre visioni del mondo. Sono curioso di vedere l’immaginario che ne verrà.


E sarà un caso, mi chiedo oggi, che il primo personaggio femminile, intelligente e pop, a godere anche di una certa popolarità nel mainstream negli anni ’90… sia stata proprio lei?

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