La storia di come la nostra civiltà occidentale abbia cancellato l’incanto di ogni Altrove a favore di quello formato dal patto d’acciaio tra la preminenza dell’Individuo, la forma Stato, il dogmatismo scientifico e la predazione coloniale e capitalista, ha un punto di svolta preciso. È quella manciata di anni che esauriscono la Belle Époque e vedono la saldatura definitiva tra progresso scientifico – leggi tecnologico – e operazione di dominio – che significa guerra. La coincidenza di questa cornice temporale ci ha permesso di azzardare un confronto impossibile tra due opere in massima parte differenti: Una Ballata del Mare Salato di Hugo Pratt e Argonauti del Pacifico Occidentale di Bronislaw Malinowski.
Il presente etnografico e l’approccio alla magia degli Argonauti disincantano l’Altrove dei mari del sud, mentre la Ballata, col suo manoscritto ritrovato, la presenza incombente dell’Oceano e quella defilata della magia è piena di oggetti d’incanto.
Ma anche la separazione delle implicazioni coloniali dagli effetti che producono, come nel testo di Malinowski, si rivela un atto di connivenza che funziona da incanto impedendoci di mettere in discussione il colonialismo stesso. Mentre Pratt al contrario disincanta programmaticamente colonizzati e colonizzatori assieme.
A ogni modo entrambi i testi possiedono elementi in grado di farli aprire a molteplici forme di incanto, questo li rende capaci di covare al proprio interno gli anticorpi necessari per resistere a una possibile deriva totalizzante. Ovvero la pretesa superiorità di un incanto a discapito di tutti gli altri, spesso legata all’incapacità di riconoscerlo come tale e sfruttandolo per prendere, difendere o consolidare un potere.
Ma allora perché parlare di reincanto? E quando? Non stiamo forse assistendo solo a successivi e ripetuti momenti di incanto e disincanto? Il punto, credo, è nella finalità dell’incantamento tanto quanto sta nell’oggetto del disincanto.
Corto Maltese non è certo un individualista ma è un personaggio che opera il disincanto verso ogni tipo di incanto, anche nei confronti dei sogni rivoluzionari. Corto non crede nelle ideologie e nelle rivoluzioni perché ne riconosce subito l’incanto, per questo non gli piacciono. Ma il modo in cui tratta Pandora e Cain si rivela molto diverso da quello di Rasputin o del Monaco, perché lui non è affascinato nemmeno dall’incanto del sangue o da quello del mercato. Riconosce il denaro come feticcio per eccellenza del nostro mondo, per questo per lui i Groovesnore non diventano mai merce. Non solo fa di tutto per salvarli ma per tutta la storia continua a vederli e trattarli principalmente come persone, anche quando sono loro stessi a vedersi in altro modo: persino la messa in scena della violenza su Pandora serve a farle prendere consapevolezza della falsità dell’incanto che lei sta recitando. E le affibbia l’appellativo di “romantica bijou” proprio perché lui romantico non lo è affatto. Nostalgico di Altrove sì, ma troppo disincantato verso il mondo che abita. Ha ragione Boris Battaglia quando dice che Corto Maltese è un eroe rassegnato, frustrato dall’impossibilità di appagare il suo desiderio di Altrove, ma questo movimento impossibile risulta ad ogni modo rivelatore.
L’incanto, la magia, le credenze condivise e in parte anche le ideologie sono strumenti potenti per organizzare le comunità umane. Ovviamente, proprio in quanto così potenti, possiedono la vocazione totalizzante a farsi verità. L’abbiamo detto: l’incanto è pericoloso quando non lo percepiamo come tale. Allora se Argonauti del Pacifico Occidentale era perfetto nel disincantare il mondo dei trobriandesi, Una Ballata del Mare Salato non è una narrazione che serve per incantare di nuovo. Pratt fa il giro, disincanta il nostro mondo. Ci permette, in sostanza, di vedere il trucco, di percepire il suo incanto. E questo è il reincanto: questo guardare ai limiti della verità per riconoscerla come costruzione, questa consapevolezza che gli assoluti sono incerti, porosi e transitori.
È reincanto perché non si limita a metterci di fronte a tutto questo nostro disastroso modo di vivere ma perché ci permette di scoprire che è solo una possibilità tra tante.
È reincanto perché ci sorprende con l’idea di poterne provarne altre.
È reincanto perché ci permette, in assenza di una linea della fortuna sulla mano, di tracciarcene una col rasoio, come vogliamo noi.
è scrittore di mezza tacca, disegnatore a tempo perso e suonatore di citofoni (in cui fa le pernacchie prima di scappare) ma nella sua carriera vanta anche esperienze teatrali e cinematografiche poco riuscite, alcune brevi incursioni nel mimo e nel porno ne fanno un artista completo.
In preda ad una crisi di mezza età, senza i soldi per comprarsi la spider e troppo apatico per intraprendere la classica relazione con una ventenne, sceglie di prendersi una laurea in antropologia. Ma siccome a lezione si annoia infila le graphic novel dentro le sovracopertine dei libri di testo e alla fine, facendo confusione tra gli argomenti delle lezioni e quello che legge, inizia a scrivere cose strane che ancor più stranamente vengono pubblicate.