In una casa di villeggiatura trovo una bilancia. È uno strumento infernale e spaventoso perché dice sempre la verità: non ne frequento una da decenni. Sono certo che il sistema di manie che mi accompagna sempre andrebbe a nozze con la noncuranza con cui quel manufatto produce un’evidenza. Non ho proprio bisogno di un nuovo indicatore che possa qualificarmi. È solo una quantità: se faccio finta di non pesare, posso non pensare agli impatti che alcol, fritti, grassi, granite al caffè con la panna, brioche, arancini e cucina siciliana possono produrmi. Mi considero formosetto e burroso e tanto mi basta.
Non mi piacciono le quantità oggettive che possono dire come sono fatto. Per questo stesso motivo sono stato alla larga dagli esami medici per un sacco di tempo. Il mio amico Emanuele, un figlio di Partenope, mi dice sempre che a Milano siamo tutti malati perché facciamo gli esami. Un po’ come quando Totò dava del sozzone a quel tipo che si lavava.
«E lei perché si lava?»
«Perché sono sporco.»
«Vede che è uno zozzone?»
«Ma come si permette?»
«Mi permetto, eccome. Io… non mi lavo. Sono pulito!»
Poi a un certo punto è arrivato un disagio che mi ha costretto a fare batterie infinite di esami. Una distesa di provette colme dei miei umori, fiale di sangue, taniche in cui custodire litri di urina prodotti nel corso di 24 ore… La nemesi medica ci salva la vita, ma fa veramente schifo.
Consegno tutto con un certo timore. E aspetto che mi trovino qualcosa, magari cronica ma gestibile con farmaci da assumere quotidianamente, sempre alla stessa ora. Saprei farlo benissimo: sono cintura nera di ocd.
Quando mi riconsegnano la risma di carta su cui hanno stampato gli esiti laboratoriali, ci resto quasi male. Sono sano come un pesce sano: tutte le misure sono esattamente nel punto medio tra i due estremi posti come soglie di attenzioni per il valore. È un’ottima notizia, perché questo corpo su cui opero abusi da oltre undici lustri è nuovo come se fosse appena stato estratto dall’involucro di cellophane. È una pessima notizia, perché non c’è nulla che possa essere preso di mira per mettere a tacere quel disagio (che riduce sensibilmente la vista, dio poco!).
Siccome gli indicatori non mi fanno più paura, monto su quella dannata bilancia. E, così facendo, commetto un drammatico errore: scopro che dal mio peso forma sono trascorsi trent’anni e quindici chili.
Altro che formosetto e burroso: sono improvvisamente ciccione. E, dannazione!, sono in terra di arancini, granite, fritti e intingoli.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).