Previuously on “(Quasi) un’okkupazione”: La redazione di (Quasi), la rivista che non legge nessunə, è andata in vacanza. Si sono allontanati anche il co-direttore Boris Battaglia e l’editore Claudio Calia. Soprattutto quest’ultimo, prima di partire, mi ha fatto la sua solita manfrina sul turismo responsabile e impegnato da muovere facendo ricorso a una guida a suo dire fondamentale, il Piccolo Atlante Storico Geografico dei Centri Sociali. Proprio per fare dispetto a Claudio, che continua a puntare il dito sulla mia distanza dalla pratica dell’occupazione sociale, mi sono impossessato dei locali di (Quasi).
Ora sono chiuso qua dentro da giorni, sopravvivo esaurendo la scorta di birre nel frigo e mangiando le merendine che trovo scassinando gli armadietti e le cassettiere di chi abitualmente frequenta questi spazi. Viziose e viziosi che mi costringono a una dieta a base di brioche vegane alla carota e patatine a basso contenuto di sodio. La birra me l’ero comprata da solo e, almeno quella, non è “alcol free.” Ancora non ho scoperto la combinazione del lucchetto dell’armadio in cui Boris tiene il vino. L’occupazione continua!
C’è una cosa che non vogliono farci sapere. Non ce lo dicono!
Le occupazioni sono belle, permettono di rivitalizzare spazi che non erano usati, dando loro nuove funzioni e prospettive, consentono scambi e contaminazioni, fanno nascere idee… però, quando non sta succedendo niente, ci si annoia un casino. Devi rimanere lì e non puoi allontanarti, sennò chi detiene documentazione che attesta la proprietà dello spazio che hai occupato perché inutilizzato (e senza prospettive) se lo riprende.
Non è che devi fare la guardia, mentre occupi. Basta che tu stia lì. Agosto, mi dicono, è il mese in cui si effettuano gli sgomberi. Nei centri sociali c’è poca gente: la si caccia facilmente.
Chiuso qui dentro, tra una birra e l’altra, tra un sacchetto di salatini macrobiotici e una confezione di mela essiccata, guardo tutte le serie che mi sono perso durante l’anno.
Ho iniziato con Wolf Like Me, una serie australiana scritta e diretta da Abe Forsythe e interpretata da Isla Fisher, Josh Gad, Ariel Donoghue. Fino a ora ne sono uscite due stagioni da sei o sette episodi l’una. Lo so che la durata della serie non è quasi mai una buona ragione per prestarle attenzione, ma gli episodi di Wolf Like Me durano poco più di venti minuti ciascuno. Questo significa che, con un investimento di appena due ore, esaurisci una stagione. E in ognuno di quegli episodi succede un sacco di roba. Un amalgama di commedia sentimentale, dramma familiare, orrore ed equivoci. La trovo divertentissima e non vedo l’ora che sia resa disponibile la terza stagione. Purtroppo pare che non ci stia lavorando nessuno. E allora dobbiamo farci andare bene quel finale aperto con cliffhanger.
Fallout è basata su una serie di videogiochi che piace molto a mio figlio Davide. Quello ha ventun anni ed è disciplinato: si diverte un sacco con cose con cui io non posso giocare perché ho un problema di dipendenze. Se prendo in mano un joypad, c’è il rischio che non riesca a smettere fino al collasso. Allora, ho deciso che – in seguito ai miei evidenti limiti – devo stare alla larga da quel modo bellissimo di godere delle storie. A Davide la serie (solo una stagione al momento) è piaciuta molto, anche per la fedeltà al materiale narrativo originario. CI ho provato, sperando di godere di un gioco di rimbalzo, e mi sono annoiato a morte.
Non avevo mai visto The Boys. No, non è preciso. A un certo punto l’ho iniziata ma non era il momento e mi sono addormentato due o tre volte mentre cercavo di finire la prima puntata. Hai presente quando il tonfo del PC ti sveglia nel cuore della notte? Non trovi più un auricolare (dovrai estrarlo dalla nicchia che si è scavato tra due costole ore dopo). A quel punto controlli che il PC funzioni ancora e, così facendo, ti fai uno spoiler da solo perché, mentre dormivi, la serie è andata avanti di un paio di puntate per i fatti suoi.
Approfittando del troppo tempo libero, ho visto le quattro stagioni di The Boys finora uscite. Caruccetto. Va detto che, per chi legge fumetti di supereroi da troppi anni, è tutto già visto. Pezzi di Bratpack, di Marshall Law, di X-Statix, di Authority, di Ultimates, di Winter Soldier, di Civil War… Tutta insieme, questa roba, a volte bella, a volte meno, sta definendo un sottogenere. The Boys ne codifica con consapevolezza le regole e i vincoli. A scapito della sorpresa.
GenV, lo spin-off di The Boys, invece, è proprio noioso. Il primo e il secondo episodio sono scogli insormontabile, per quanto sono grandi: due scoglioni!
Adesso cerco di capire che altre serie vedere, mentre l’estate mi scorre attorno.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).