Prove tecniche di rubrica

Paolo Interdonato | post-it |

Il sospetto che questa occupazione sia voluta dal potere costituito ormai mi assilla. Da un lato, è un tarlo che rende difficile prendere sonno la sera; dall’altro, mi alleggerisce. Perché, se è vero che le persone che fanno (Quasi) mi hanno incastrato in redazione per tutto agosto perché io possa ritirare i pacchi che si sono fatti spedire qui mentre la portineria è chiusa per ferie, allora posso fare loro un dispetto terribile. Hai notato che, non appena ti siedi a tavola per pranzare, suona il citofono? E sono sempre gli stessi: o è il postino che ti porta una raccomandata (che è sempre latrice di pessime notizie, nella migliore delle ipotesi una multa); o è il corriere.

Siccome, chiuso qua dentro, di multe non ne posso prendere, mi sono messo d’accordo con mio figlio Davide. Mi viene a prendere all’ora di pranzo e proviamo tutti i ristoranti rimasti aperti in questa città di caldo, mezzi scostanti e saracinesche abbassate.

I pochi locali rimasti aperti hanno a pranzo un menù ridotto all’osso (e non è solo una metafora). Se ci vedi comparire un piatto particolarmente articolato, probabilmente è la tattica della proprietà del locale per liberarsi di una qualche “Luisona” che languiva nel surgelatore da troppo tempo. A meno che tu non voglia provare la carne di Mammut o di Dodo, ti suggerisco di evitarlo.

Davide e io siamo disciplinati e metodici. Entriamo nel locale, verifichiamo che ci sia l’aria condizionata in funzione, salutiamo, aspettiamo che ci indichino un tavolo, diamo una scorsa al menù e, poi: io scelgo il solito piatto un po’ triste; lui ordina una sola porzione di tutte le portate presenti sulla carta perché col caldo ha meno appetito.

Mentre cerco di combinare prosciutto e melone con lentezza, al ritmo con cui arrivano i piatti a Davide, iniziamo a chiacchierare. In quei momenti snoccioliamo i nostri progetti migliori. Una volta abbiamo creato la religione più bella del mondo ma ci siamo fermati prima di fondarla, litigando su chi doveva essere il papa.

La nostra religione era basata su un concetto semplice ma potente. La ricerca di un mondo abitato da altre specie con cui venire in contatto. Si sarebbe chiamata “Venite Intelligenze Aliene Garantiamo Resa Incondizionata”. E noi, indossandone con gioia la sigla, saremmo stati i “V.I.A.G.R.I”.

Come detto, abbiamo sprecato questa opportunità di salvare il pianeta per uno schifosissimo disaccordo politico sulla leadership.

Durante il pranzo di ieri ci siamo resi conto che uno dei nostri discorsi preferiti ruota intorno a gente che si mena. Ci piacciono tutte le discipline di combattimento. Siamo capaci di litigare sull’eleganza o l’efficacia di una tecnica per ore, mentre chi l’ha subita magari non è più in grado di allacciarsi le scarpe.

Quanti pranzi a parlare di boxe, karate, ju jitsu, grappling, judo, taekwondo, mma, kyokushinkai, muay thai, savate, viet vo dao, kick boxing, qwan ki do, wushu, capoeira, bare knickle boxe…

E poi parliamo di chi pratica quelle discipline, dei nostri atleti preferiti, di quelli che ci piacciono anche come persone, della fascisteria di certi ambienti, dei casini fatti dai cretini che si picchiano per strada, dei film in cui si vedono belle arti marziali e di quelli che ci fanno schifo…

“Botte” è un titolo bellissimo per una rubrica di (Quasi). Ho un sacco di pacchi in ostaggio. Se non ce la fanno fare, non li vedranno mai più.

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(Quasi)