Unboxing Boris

Paolo Interdonato | post-it |

Chiuso qui dentro, tutto solo, mi annoio un po’. Perfino io – non proprio un esempio di dedizione al convivio – sento un po’ la mancanza di socialità.
Fino a qualche giorno fa, andava tutto per il meglio. La solitudine era abituale, stavo quasi bene. Poi hanno fatto quella sortita: le persone che fanno (Quasi) hanno varcato la soglia e mi hanno fatto sentire le loro voci, le loro risate, i loro abbracci.
Ho scoperto di essere un tenerone piagnucoloso, come quel cuore di marshmallow di Boris.

È un po’ come quando hai fame:  se non ci pensi, non ti pesa troppo; appena assaggi qualcosa, inizi a sentire crampi e nervosismo.

Adesso, chiuso qui dentro, mi sento solo. Devo rimediare. Vado ad aprire i pacchi che corrieri e spedizionieri hanno lasciato per Boris. Sicuramente non se ne avrà a male.

Se non lo conoscessi e dovessi giudicarlo da quello che riceve per posta, non saremmo così amici: quaderni costosi dalla carta liscissima e sottile, stilografiche, pacchi di matite, bottiglie di vino con le bolle costose e mediocre (lo so perché le ho bevute) e saggi noiosissimi…

Poi c’è un pacco con dentro delle strane scatole. All’inizio non capisco neanche cosa sono: degli oggetti neri, di plastica dura, infilati in astucci di cartone. Non vedevo delle cassette VHS da almeno vent’anni.
Cosa se ne fa? Come le usa? Ha dei reperti di archeologia tecnologica che gli consentono di vedere questa paccottiglia proveniente dal tardo pleistocene? Anche avesse ancora un videoregistratore VHS, dove infila quelle prese SCART?

Ha sicuramente in mente qualcosa. Ti leggo qualcuno dei titoli di questi nastri: Chiamami, La bottega del piacere, Una calda femmina da letto, Sexy Mundial ’90, Le donne di Mandingo, Bocca calda mani di velluto, Visioni orgasmiche, Tocco magico, Belle pazze scatenate: Le ragazze pon pon…

Alcuni mi incuriosiscono proprio. Forse, più tardi, faccio il giro dei rigattieri e delle discariche.

Infine, continuando a scavare tra i pacchi di Boris, emerge una busta con affrancatura francese. La apro e dentro ci sono delle riviste. È proprio un posone: si fa spedire da qualcuno “Les Cahiers du cinéma”, “Les Inrockuptibles” e altri residuati novecenteschi (sui quali, probabilmente, cerca le recensioni delle videocassette). Poi, però, ci sono anche “Métal Hurlant” (lo speciale “Vancances Métalliques”), il numero agostano di “Fluide Glacial” (ma perché si ostina a prenderlo?) e “Le journal de Spirou”.

Prendo in mano il settimanale e mi accorgo che non è un’uscita estiva. È il numero doppio dell’inizio dell’anno: cento pagine (contro la normale cinquantina), con due copertine, da sfogliare da entrambi i lati come un flip book, fino a quando la paginazione non si ricongiunge al centro.

Entrambe le copertine sono dedicate al personaggio che dà il nome alla testata. Te lo ricordo perché forse ti sei un po’ distratto, in questo momento, Spirou è un po’ morto. Questo numero sembra indicare la dedizione del settimanale francofono alla propria storia. Entrambe le copertine riportano sullo sfondo l’Atomium. Quel sarchiapone, che per costruirlo hanno dovuto usare più acciaio che per Jeeg, non è solo una spettacolare attrazione turistica, dentro cui passeggiare per godersi una città dall’alto, è proprio il simbolo di Bruxelles e del Belgio (a detta di un sito del turismo, «una realizzazione unica nella storia dell’architettura e testimone emblematico dell’Esposizione Universale di Bruxelles del 1958»). Mi sembra che mettere l’Atomium su tutte e due le facce della rivista sia un modo molto forte per dichiarare orgoglio nazionale per una pubblicazione che mi sembra essere l’ultima rivista per ragazzi presente nelle poche edicole belga e francesi.
Su uno dei sue lati, un redivivo Spirou è in una capsula sospesa (che sicuramente significa qualcosa per un lettore belga o un conoscitore di Bruxelles): sorride nel suo abitino rosso da concierge, mentre Fantasio e il marsupilami lo abbracciano e baciano. In basso, in mezzo alla folla che si muove nei pressi dell’Atomium, ci sono due tipi a cavallo che, passando, guardano la gabbia: sono Lucky Luke e il suo autore Morris. Una scritta annuncia, senza alcuna ironia macabra: «La morte di Spirou: Il seguito!»

L’altra copertina è, se possibile, anche più interessante. Nel 2024 si celebra il centenario della nascita di Franquin e Morris, due degli autori più importanti per la storia del fumetto belga e del settimanale dedicato a Spirou.  Mentre su un cielo violaceo si staglia la sagoma dell’Atomium, in uno spazio che sente di terre di confine, quattro uomini a cavallo vengono verso chi guarda. Da sinistra verso destra: Spirou, Franquin, Morris e Lucky Luke.

Il disegno non è solo un omaggio all’evento strillato in copertina («I cento anni di Franquin e Morris», appunto), ma fa anche riferimento a un pezzo di storia del fumetto franco-belga non troppo frequentata.

Bertail, il disegnatore della copertina, sembra fare riferimento diretto a Gringos locos, un fumetto uscito nel 2012 (dopo un triste contenzioso con eredi e protettori della sacra memoria) realizzato da Yann e Schwartz (che, per inciso, è il disegnatore dell’altra copertina del settimanale e degli ultimi albi dedicati a spirou, compresa La morte di Spirou). I gringos locos del titolo sono Jijé, Franquin e Morris e il libro racconta una storia molto divertente, molto triste e molto vera. Traduco le note di copertina di quell’albo:

«Le avventure americane di tre monumenti del fumetto franco-belga in questo album storico in più di un modo. Il viaggio di Jijé, Morris e Franquin attraverso gli Stati Uniti e il Messico. Una pagina poco conosciuta della storia del fumetto.

Preoccupato per l’avanzata del comunismo in Europa, Jijé decide di lasciare il vecchio continente con la sua famiglia. Franquin e Morris lo seguono. Gli amici arrivano a New York nel 1948. Dopo aver acquistato una vecchia Ford Hudson, attraversano gli Stati Uniti, dalla costa est a quella ovest, nella speranza di essere assunti dagli studi Disney. Fatica sprecata: i tre scoprono che Disney, in quel periodo, sta licenziando quasi tutti. Vedendo scadere il suo visto turistico, Jijé decide di stabilirsi in Messico per qualche mese con la famiglia e viene presto raggiunta da Franquin e Morris.»

E, a questo punto, c’à la nota editoriale che chiarisce il punto di compromesso con gli eredi.

«La prima tiratura di questo albo è arricchita da un documento di 10 pagine realizzato in collaborazione con le famiglie Gillain e Franquin.
Con il titolo “Diritto di replica e qualche domanda”, Benoît Gillain – il figlio di Jijé – testimonia questo viaggio fatto quando aveva dieci anni. Questo libretto è illustrato con fotografie inedite tratte dall’archivio di famiglia.»

Credo proprio che Boris non saprà mai di aver ricevuto questo numero di “Spirou”. Come dice il poeta: «Finders keepers, loosers weepers».

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(Quasi)