Moana

Boris Battaglia | QUASI |

«Quelli che studiano tanto non mi sono mai piaciuti»

Anna Moana Rosa Pozzi
Disegno di Alessio Spataro

L’ho scoperto recentemente. E devo dire che un po’ ci sono rimasto male. Ma solo un po’ (in qualche modo, e per motivi che ti dirò, lo sospettavo). Comunque: quando nel 2016 venne distribuito il film Moana, i Disney Studios scelsero, per alcuni paesi europei (Francia, Spagna e Italia) di intitolarlo diversamente, perché non volevano incorrere in problemi legali con la casa cosmetica franco-belga Baija, che ha tra i suoi marchi registrati un profumo chiamato “Moana” distribuito in tutti i punti vendita della catena Sephora.
Giornalistucoli di testate screditate mi avevano fatto credere, e ci ero caduto perché volevo auto-ingannarmi, che nel nostro paese non avessero voluto lasciargli il titolo originale perché una pornostar come Moana Pozzi aveva talmente pervaso l’immaginario degli italiani da rendere impossibile che, a ventidue anni dalla sua morte, Disney potesse distribuire nelle sale un film che richiamasse il suo nome.
Vero niente.
Moana Pozzi non c’entrava un cazzo. E se ci pensi sarebbe pure stato assurdo il contrario.
Oceania esce nel 2016. Moana è morta il 15 settembre 1994 per un carcinoma epatocellulare. Erano passati 22 anni. I millenial, quando lei è morta, erano troppo piccoli per averne subito il fascino e sicuramente quando hanno cominciato a fruire pornografia gli standard dettati da Youporn e da Pornhub erano molto diversi. La generazione Z, i bambini che andavano al cinema a vedere Oceania, invece nel 1994 nemmeno era nata.
Certo, a portare al cinema i figli a vedere le avventure della formosa Vaiana (questo il nome dato dalla Disney in Europa a Moana) erano i genitori come me. Vecchia generazione X cresciuta con i porno in vhs, ma già da tempo riconvertiti alle piattaforme streaming. Moana, a parte Manlio Gomarasca e Davide Pulici che un anno prima, nel 2015, le avevano dedicato un dossier su due numeri di “Nocturno” (il 150 e il 152 – il dossier sarà poi raccolto nel 2022 in un libro impresentabile e illeggibile per qualità grafica e di stampa, intitolato Cicciolina vs Moana, la grande sfida), non se la ricordava nessuno. Se il suo nome non lo avesse tirato in ballo qualche vecchio giornalista in libro paga a “Repubblica” o al “Giornale”, nessuno se ne sarebbe accorto.

Moana non è mai stata l’icona che, in qualche modo, si è voluto far credere che fosse. Raccontare questa storiella (a oltre vent’anni dalla sua morte) dell’impossibilità per un film Disney di usare il suo nome come titolo, le dava un peso centralissimo nella cultura italiana. Descriverla come donna colta e intelligente (lo era, per carità, ma non al punto da farla diventare un’intellettuale di riferimento: leggiti il suo La filosofia di Moana – e poi confrontalo, chessò con Philosphy, pussycats & porn di Stoya, per renderti conto della banalità del suo pensiero) ma soprattutto autodeterminata nella pratica del porno come scelta di vita e non di sopravvivenza (cosa su cui, per esempio, è costruito il bruttissimo Tutto deve brillare, vita e sogni di Moana Pozzi di Francesca Pellas), dimenticandosi quali meccanismi coercitivi l’industria del porno mette in campo per la propri realizzazione, ha disarmato la complessa contraddittorietà della pornografia e dei suoi attori, normalizzandone il ruolo nel nostro sistema capitalistico.

A rivedersi i film girati da un cialtrone come Riccardo Schicchi (qualche titolo a caso Fantastica Moana, Cicciolina e Moana Mondiali, Moana la bella di giorno) si resta profondamente delusi dalla sciatteria della messa in scena, dall’uso completamente sbagliato delle luci e dalla piattezza performativa dell’interprete principale.
Insomma. Moana non era una raffinata intellettuale ma una persona mediamente intelligente; non era una “piratessa” che rincorreva il desiderio di libertà attraverso il sesso ma una persona ambiziosa che si era costruita una professionalità nell’industria pornografica; non era una strabiliante performer, era anzi abbastanza mediocre. Soprattutto a mio avviso, non è mai diventata un vero mito del nostro immaginario: in questo senso ha funzionato molto meglio Ilona Staller: una prova del suo peso (iconico ma anche politico) rispetto a quello di Moana è sicuramente il fatto che Cicciolina nel 1987, quando si candidò con il Partito Radicale, fu eletta in Parlamento, mentre quando ci provò Moana con il Partito dell’Amore fu una debacle completa.

La cosa più interessante di Moana personaggio è proprio questa: l’avere convinto tutte e tutti di essere esattamente il contrario di quello che era, fino al punto che non ha più alcuna importanza sapere chi fosse veramente. Probabilmente non è nemmeno possibile.
Al di là delle intenzioni di ogni esegeta di Moana (da Michele Giordano e il suo Moana e le altre, passando per Moana, tutta la verità di Simone Pozzi e Francesca Parravicini fino al recente – già citato- libro di Francesca Pellas), il punto di assoluta fascinazione credo sia proprio questo. L’impossibilità di conoscerla. Impossibilità manifestata dall’ambiguità del suo sguardo.

Hai sicuramente letto Considera l’aragosta di David Foster Wallace. Ricorderai quindi il saggio che apre il volume (Il figlio grosso e rosso) in cui l’autore fa una spietata analisi dell’industria del porno americano. Il saggio si conclude (vado a memoria) con un’affermazione per me rivoluzionaria. Quando guardiamo i porno quello che ci interessa veramente non sono i dettagli anatomici che occupano il 95% delle inquadrature, ma quegli sprazzi in cui il nostro sguardo incrocia quello degli attori e delle attrici.
Ecco. Credo che guardare un film con e su Moana (ogni film con Moana è soprattutto un film su Moana) sia la dimostrazione scientifica di questa teoria wallaciana. Quando il suo sguardo, sempre accompagnato da un sorriso indecifrabile, ti aggancia non puoi più sottrarti. Resti a guardare persino una negazione dell’arte cinematografica come i film di Schicchi.
Fino alla fine.

Se c’è un mito che può spiegare la forza (forse anche politica, sì) dello sguardo e del sorriso di Moana è quello di Medusa. Non quello raccontato da Ovidio, ovviamente, ma quello della lettura – tuttora attualissima – che ne fece nel 1975 Hélène Cixous (non credo esista un’edizione italiana del suo Le Rire de la Méduse, so per certo che ne esistono una inglese, una spagnola e una portoghese).

Moana è morta trent’anni fa. Medusa, per nostra fortuna, è ancora tra noi.

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(Quasi)