Restart

Mabel Morri | Play du jour |


Mi ha seguito fino al secolo nuovo, un televisore col tubo catodico Thomson.
Piccolo, 19 pollici, di quelli che c’erano nella cucina della nonna, nella camera del figlio maschio, nello studio del padre in casa.
Ci ho collegato tutto il collegabile, dal videoregistratore quando c’erano ancora le VHS al lettore DVD quando i film erano davvero di proprietà, fino al decoder, il primo col digitale terrestre verso la fine del primo decennio del 2000.
Non so quante prese scart, quanti cavi dagli spinotti colorati, quanti telecomandi abbia appoggiato ogni notte sul mobiletto della tv che poi era il mobiletto degli amari della nonna, nella casa al mare, dove ho scritto e disegnato Le Mele, Io e te su Naboo, Cinquecento milioni di stelle, praticamente quasi tutta la mia produzione giovanile: tutti oggetti di plastica ormai desueti, dai tasti grossi, dalle pile scariche.   
Un giorno di inizio primavera nella prima casa a Senigallia, con internet saltato, decido di tornare ad usare la tv e guardare una serie di film in DVD degli anni ‘90 e che mi mancano un sacco.
Quando l’accendo, l’aria si riempie di odore di bruciato e un filo bianco sottile sale dal tubo catodico. Stacco la corrente, prendo il televisore tra le mani, lo porto in giardino e aspetto che si raffreddi.
Muore così, il mio Thomson, in un giorno di sole di inizio primavera.
Con quell’oggetto comunque ingombrante, un oggetto novecentesco che ha visto un‘evoluzione a ventaglio arrivando a essere così sottile da essere anche fragilissimo (un’intera cultura e scene nei film di cugini che tenevano le antenne e le puntavano dove prendeva la linea o le manate continue sperando che l’immagine sullo schermo si schiarisse), hanno per me chiuso definitivamente il secolo breve e, come un velocista che fora ai meno 10 dal traguardo perdendo il treno veloce dovendo rincorrere la preparazione al finale e capendo di averlo definitivamente perso, arriva sul rettilineo pedalando da crociera, godendosi lo scenario invece che ombre sfumate, guardandosi intorno salutando piano la gente che lo applaude comunque, così come quel velocista che fora taglia lentamente il traguardo a 5 minuti da chi ha vinto sprintando, io supero il mio traguardo ed entro nel secolo nuovo, il secolo nuovo degli schermi che si aprono e si chiudono, delle app di streaming, senza più telecomandi, senza più mobiletto della nonna a supporto.
Lo schermo è touch, le funzioni sono tutte negli angoli e appaiono solo quando li si sfiora. Una dicitura in particolare è quella novità da secolo velocissimo, una diretta che puoi mandare indietro se si sono persi i minuti iniziali: in sovraimpressione, in grassetto, appare Restart.
Di solito lo uso per l’anticipo della Serie A della domenica delle 12:30, per qualche film in diretta che è la cosa più vicina al vecchissimo zapping di novecentesca memoria, per qualche programma che penso indispensabile. E, romanticamente, per tornare su queste pagine a scrivere di sport. 

Sono in uno dei miei periodi full immersion dei film dei supereroi. Intorno libri e saggi sull’antifascismo, sul Perù, sugli anni ‘80 e ‘90, sull’Iran, tutti i fumetti di cui dovrò scrivere e disegnare, sapendone un po’ di più del semplice uso della matita, e complice il primo film su Wonder Woman mi tuffo in ogni fotogramma che sia DC o Marvel con mantelli volanti o martelli di un altro mondo.
Ritengo che Henry Cavill sia stato un buon Superman, tanto quanto il compianto Christopher Reeve, nonostante la parentesi di Superman Returns che a me non è dispiaciuto ma nell’economia di una dinastia di film più o meno consequenziali non c’entra gran che. Aggiungo: ovviamente mi è piaciuto pure quello, ma semplicemente perché sottolinea la nostalgia, ha quella fotografia un po’ retro che sembrano le pellicole di quando si era piccoli, poi lui sparisce e, tornato, si rende conto che la vita va avanti. Vale la frase che Brad Pitt “Achille” dice in Troy a Briseide, sua schiava e poi amante: «Ti dirò un segreto, una cosa che non insegnano nei templi. Gli dei ci invidiano. Ci invidiano perché siamo mortali. Perché ogni momento può essere l’ultimo per noi. Ogni cosa è più bella per i condannati a morte. E tu non sarai mai più bella di quanto sei ora. Questo momento non tornerà.» Che un po’ è quello che Kate Bosworth, nelle vesti di Lois, cerca di dire a Superman Brandon Routh. Puoi anche essere Superman, bello, ma se tu vai via per una tua (ennesima) crisi d’identità, la vita va avanti lo stesso: saremo mortali, ma a maggior ragione, ogni momento può essere l’ultimo per noi e tu sei immortale, quindi puoi rinunciare a quello che per noi è l’ultima occasione.
Alcune delle massime più belle ascoltate in vita, le dicono nei film dei supereroi. Per esempio: quando in Batman v Superman: Dawn of Justice, Superman sparisce (di nuovo) nell’ennesima crisi d’identità e appartenenza a quale mondo, va dalla madre, la madre di Clark Kent, interpretata da Diane Lane, che gli dice: «Tu non devi nulla a questo mondo».
Quante volte, chissà, ognuno di noi avrebbe voluto davvero non appartenere a questo mondo e ai suoi orrori.
Oppure: il dialogo finale di Kill Bill di Quentin Tarantino, quando Bill spiega alla Sposa la filosofia dei fumetti e poi quel monologo bellissimo su come Superman vede gli umani.

Le scarpe giallo evidenziatore spiccano ancora di più sul cemento grigio e bagnato.
Le calze sono quelle alte, lasciate però a mezza altezza, come quando giocavo a pallone, gli schizzi dell’acqua quando si cammina capita finiscano sui polpacci, una sensazione orribile.
Lo scrupolo dell’essersi portati un pantalone lungo c’è sempre, certo di tessuto leggero e poco ingombrante in valigia, ma a indossarlo con due gocce di pioggia fa tanto inverno e invece è ancora estate; così, i pantaloncini corti, quelli con le tascone laterali e i risvolti vincono.
E siccome si va al ristorante, per di più con la suocera e per quanto sdoganate le maglie da calcio, ho un attimo di incertezza: meglio una maglietta a righe oppure la mia nuova fiammante maglia dello Sporting Lisbona?
Il tutto chiaramente senza trovare un accordo con gli abbinamenti cromatici: il K – way è blu, lo zaino amaranto, le scarpe giallo evidenziatore, i pantaloncini un grigio sbiadito da troppo sole, sopra a quell’attimo di incertezza sparito velocemente appena le mani prendono la maglia da calcio.
Intorno le colline liguri, i campi a terrazza e le nuvole basse che sfiorano le punte degli alberi.
Per arrivarci Waze ci fa passare in mezzo a colate di asfalto piene di curve nel verde rigoglioso del cielo grigio e sembra di stare nella giungla o di entrare in una proprietà privata. Poi tre cartelli avvolti nelle fronde indicano due B&B e la frazione di Comeglio. Moneglia ci apparirà poco dopo altre diverse curve a u e incrociando un motorino sbuffante una scia lunga di fumo dalla marmitta: un cartello ancora più piccolo dei precedenti ci dà il benvenuto.
Il ristorante si affaccia su uno scorcio mozzafiato: un’insenatura a v e una lingua di spiaggia laggiù, case arroccate una sopra l’altra dalla prospettiva della collina. La veranda è coperta da intrecci di vite di uva bianca e nera e da kiwi che penzolano ispidi. Sedie di plastica bianca e tavoli in pietra tondi, senza tovaglia, ancora bagnati dalla pioggia di un’ora prima.
Il vermentino viene servito in caraffa. È un’abitudine di questi ultimi anni bere e imparare a conoscere il vino ligure, non sempre era presente nelle carte dei vini delle taverne e delle osterie romagnole, si era piuttosto campanilisti (e lo si è ancora) ma il vino è molto cambiato in trent’anni o, quantomeno, è cambiata la ristorazione e l’offerta: oggi si vuole una scelta ampia e quando si ha troppa scelta si perde di vista il gusto che si vuole sentire nel palato. E poi, ci sono vini che anche solo nella memoria caratterizzeranno un luogo rispetto all’altro. Io ho ricordi di vini in determinati momenti, come una colonna sonora, perfetti per il momento, forse perché inusuali nella quotidianità, come la sera sotto la Colonia Fara a guardare il tramonto, mentre gruppi di giovani e famiglie si facevano portare in spiaggia cartoni di pizza e focaccia al formaggio e noi avevamo mezza bottiglia di Bianchetta. Quella Bianchetta rimarrà per sempre in un istante dell’ultima luce del giorno, nella mia memoria, due bicchieri di carta bianchi con strisce verde chiaro, seduti uno accanto all’altro guardando laggiù Portofino che iniziava a farsi bella per la notte.
L’aria è fresca e il vino picchia.
La crostata con la marmellata di ciliegie fatte in casa ha già un che di memorabile, appena portate al tavolo a fianco, nel quale, sedute due signore con le collane di perle al collo e un signore con la chierica evidente intorno a capelli bianchissimi, se le centellinano con cura.
Finirà con me stesa nel letto a sonnecchiare e di come ero vestita in vacanza in un giorno di pioggia, stropicciata e cromaticamente sbagliata, non rimarrà che poche righe in questo articolo, mentre nei miei ricordi un pranzo con un vino squisito in quella finestra di giorni in cui il campionato è finito, non ci sono Coppe internazionali, si è appena concluso il Giro d’Italia aspettando l’inizio del Tour de France.

«A Soverato», ci dice il testimone dello sposo nonché referente del B&B in cui siamo ospiti, «siete stati fortunati. Sono giornate ventilate».
Anche se il sole e l’afa picchiano duro quaggiù.
È stato talmente caldo alcuni giorni che sono stata costretta a mettere il vino rosso in frigo: un’onta, per me che durante il Cammino di Santiago trasecolavo quando gli spagnoli a cena portavano le caraffe di rosso fredde. 
In Calabria scopro un paio di vini rossi strepitosi, vedo gli effetti catastrofici del cambiamento climatico, capisco cosa si intende quando si parla del divario tra nord e sud. 
È luglio, un luglio che farà registrare temperature terribili.

Brandelli d’estate.
Molto, molto, molto sudaticci.

In tutto questo mi sovviene che questa è una rubrica di sport e che dovrei in effetti scrivere di qualcosa di sport: ma se gli insegnanti sono Paolo Interdonato e Boris Battaglia – il primo che okkupa la sede, consapevolmente e indisciplinatamente, il secondo nella sua migliore versione quando va a Marsiglia nonostante sia inutile che gli spieghi che l’omonima squadra di calcio è, da sempre, una banda di scappati di casa, tutti giocatori che in altre squadre sono sopra le righe e che invece al Velodrome non vedono l’ora di entrate assassine nei garretti -, è naturale che apra parentesi o mi perda in pensieri altri.

A Senigallia dallo studio nuovo si vede il mare.
Ci sono giornate nelle quali il colore del mare e del cielo è lo stesso e solo una linea orizzontale più scura permette di coglierne la differenza.
Un giorno di inizio settembre finalmente un po’ più fresco, nelle serate che avvicinano alle fiaccolate, ricorrenze e dibattiti per commemorare l’alluvione del settembre 2022, riparte la Champions con la nuova formula che stanno continuando a ripetere perché è decisamente ostica.
Il campionato si gioca già da metà agosto, in mezzo la pausa della Nazionale all’inizio di settembre. 
Un campionato che vede già nei commenti, negli “scandali”, nelle infinite discussioni dei giornalisti e dei titoli della Gazzetta l’ennesima stagione nella discesa agli inferi di uno sport, il calcio, che dovrebbe divertire e far sognare.
Nell’anno nel quale, per la prima volta, nella lista dei candidati al Pallone d’Oro mancano dopo 21 anni, Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, e, in quella femminile, una prima volta al contrario, l’italiana Manuela Giugliano tra le migliori giocatrici del mondo, vediamola questa Serie A, in una specie di piccola guida.

Inter

Gli esperti dicono che, avendo ora l’allenatore Simone Inzaghi superato lo scoglio dello scudetto vinto, dovrebbe essere una stagione giocata sul velluto, nel senso che possono solo migliorarsi o quantomeno confermare il livello al quale sono.
Si spera solo che i suoi migliori giocatori abbiano ancora “fame” e su quel velluto non ci scivolino piuttosto.

Juventus

Ha fatto una campagna acquisti a dir poco strepitosa, ha preso Thiago Motta come allenatore, ha composto una rosa tra mix di nuovi e giovani che fa davvero sperare ai tifosi juventini l’apertura di un nuovo ciclo vincente. Va anche spezzata una lancia per quell’antipatico di Massimiliano Allegri, odiatissimo e poi amatissimo, salvatore della patria in anni di confino: in anni di multe, ha composto l’ossatura dei giovani che in questa stagione Thiago Motta si trova decisamente più maturi. Mai sottovalutare la storia e ciò che si concepisce anche in annate non proprio ai massimi.
Inutile aggiungere che già alla terza giornata (la quarta si gioca il fine settimana del 14-15 settembre) la Serie A è una faccenda tra Inter e Juve.

Torino

Paolo Vanoli quando giocava nel Parma della Parmalat, quello che vinceva Coppa delle Coppe e Coppa Uefa in una serie incredibile di annate superlative e con una maglia a righe verticali che ha fatto la Storia, aveva questi capelli lunghi molto di moda a metà anni ‘90. Brad Pitt, per dirne uno, in questo 2024 60enne invidiabile, in quegli stessi anni era nel suo periodo selvaggio e grunge, alla Vento di passioni che molte di noi, oscillanti tra lui e Dicaprio, ci ritroviamo 50enni che li guardiamo oggi come allora, incantate.
Di Vanoli, difensore modernissimo, in un contesto come quello dei ‘90, l’era d’oro del calcio italiano e di calciomercato esorbitante, che fosse un titolare per di più italiano non era certo scontato: voleva dire che era un giocatore forte, molto forte. E che oggi sia, alla sua prima esperienza da primo allenatore sulla panchina di una squadra di Serie A, nello specifico del Torino, nelle prime tre partite si rivede quella modernità del giocatore. Capitano che alcuni ex giocatori, forti ma non da prima pagina diciamo, diventino allenatori straordinari. Vanoli sembra andare in questa direzione. Per altro, di nuovo: mai dimenticare l’eredità del Torino di Ivan Juric, che nelle ultime stagioni ha regalato un gran bel Toro, indigeribile e ostico per gli avversari.

Milan 

È piuttosto sorprendente come l’addio di Stefano Pioli, il cui hashtag #PioliOut era tra i più usati dai tifosi milanisti continuamente critici, abbia creato la condizione per cui quegli stessi tifosi oggi probabilmente si asfalterebbero da soli per riaverlo in panchina. 
Non è solo il fatto che il portoghese Fonseca, il nuovo allenatore, non piace per quei modi morbidi che a volte passano da troppo lascivi, come se non avesse il pugno della situazione – e presumibilmente è vero -, è che, di nuovo e di nuovo ancora, Stefano Pioli, criticatissimo, invece di ringraziarlo lo si insulta anche perché è andato via per un ciclo evidentemente finito. 
Restart, appunto: Pioli prende in mano il Milan a ottobre 2019, in un Milan pieno di problemi e di difficile equilibrio a causa dei continui passaggi di società. Certo, ne prende 5 dall’Atalanta in una delle prime partite, ma poi, cosa fa? Dopo anni, quasi un lustro, riporta il Milan in Europa, nella vecchia Coppa Uefa, gli fa vincere uno scudetto incredibile, lo riporta in Champions e in semifinale della competizione, prende giocatori come Theo Hernandez e Leao, che oggi piagnucolano, e li fa valutare come fossero grandi campioni. Giusto per capire: esattamente un allenatore cosa deve fare per essere riconosciuto per la qualità e i meriti di aver trasformato una banda di inetti in una squadra che è riuscita a vincere pure uno scudetto?
A me sembra tutto molto ingiusto. Stefano Pioli merita un grazie immenso, appoggiato da un maldini e un Boban che di milanesità trasudano. Ed è molto triste che i tifosi non abbiano capito che avventura straordinaria è stato il Milan di questi anni. Anche perché adesso si vede il fondo del mare. 
Questo Milan, e non dipende da Fonseca allenatore o meno, quest’anno è tanto se arriva ai preliminari di Conference League.

Como 

Cesc Fabregas era uno di quei giocatori geometrici del tiki taka spagnolo che quando lo si vedeva giocare quasi che non ci si faceva caso, tanti intorno erano bravi tanto quanto lui: un mostro tra i mostri, è ovvio che quando si hanno solo campioni le differenze sono nei dettagli. In un giorno di gelido inverno (non è proprio andata così ma lo stereotipo del Lago di Como nebbioso e freddo aiuta molto nella narrazione), viene scelto come allenatore del Como. Un Como che, anche grazie alla nuova proprietà, si dà una radanata anche esteticamente (la maglia della stagione 203-24 era bellissima). Raccoglie giocatori medi, dà loro un verso e la squadra inizia a girare, talmente bene e tanto che conquistano la promozione in Serie A.
Poco da dire: se rimangono in A è tantissimo.

Udinese

Cambia allenatore – dopo una stagione che ha visto alternarsi Andrea Sottil, Gabriele Cioffi e Fabio Cannavaro -, ma anche con il tedesco Kosta Runjaic l’obiettivo rimane sempre oscillare nella parte destra della classifica, possibilmente tra la zona retrocessione e quella appena sotto le coppe. Se poi il calciomercato porta calciatori che possono esprimersi in tranquillità crescendo sia in prestazioni sia in valutazioni, venderli sarà ancora più piacevole. Società che esiste solo per essere incubatore di giocatori da girare, far crescere, vendere, rivalutare. Ma d’altronde dai Pozzo non si può pretendere molto di più.

Genoa

Quando nel dicembre 2022 andai a vedere Ascoli-Genoa di Serie B, Alberto Gilardino aveva da poco preso in mano la squadra. Fu uno 0-0 micidiale ma sorprendentemente viatico di un Genoa che ha iniziato a granellare risultati e gioco. Complice anche una campagna acquisti di giocatori da svezzare e altri che dalle “grandi” scendevano in ambienti più a misura d’uomo, il Genoa dello scorso anno era diventato, nella sua prima stagione di ritorno nella massima serie, una squadra incantevole da vedere e tifare. 
Avrebbe iniziato allo stesso modo anche questa stagione, ma la vendita di qualche pezzo pregiato avrà inevitabilmente qualche ripercussione. Vedremo.

Napoli

Il Napoli ha, negli ultimi anni, la capacità di ridimensionare allenatori formidabili e di rendere sopravvalutati altri che poi, per una fortuita circostanza di variabili favorevoli, entrano nella leggenda di un club. Carlo Ancelotti e il nuovo allenatore della stagione 2024-25 Antonio Conte sono due ottimi allenatori. Il primo è proprio un fenomeno, il secondo ha reso una Nazionale mediocre in una squadra nella quale anche Mattia De Sciglio, buonissimo ragazzo ma terzino da Serie B (e il fatto che abbia vissuto e giocato quasi tutta la carriera tra Milan e Juventus è solo un dato da wikipedia) in un giocatore incredibile durante l’Euro 2016. Luciano Spalletti sono anni che cerca la rivalsa: sempre sottovalutato, sempre non considerato, sempre criticato. La rivalsa è arrivata confluendo in un Napoli che in due stagioni ha forgiato e fatto vincere uno storico scudetto dopo 33 anni da Maradona. I meriti sono evidenti, ma lo sono anche una rosa formata nel tempo e la capacità di rendere speciali giocatori sconosciuti. Dopo di che, arrivato in Nazionale, ecco lo Spalletti che si conosce meglio.
Napoli che dopo l’anno orribile post scudetto nel quale i festeggiamenti dello scudetto sono durati tutta la stagione ‘23-’24, deve prima di tutto trovare l’equilibrio, deve inevitabilmente ridimensionarsi e deve trovare l’umiltà per fare un buon campionato. I risultati arriveranno.

Parma

Sono totalmente impreparata sul nuovo Parma di questa stagione. Era agosto e andavo ancora al mare e quando trasmettevano le sue partite, confesso candidamente che ero in spiaggia a fare aperitivo. Rimedierò.

Venezia

Idem come sopra.

Cagliari

Idem come sopra del sopra.

Verona

Ad ascoltare le presentazioni del libro del giornalista Paolo Berizzi, È gradita la camicia nera, anche solo parlare del Verona calcio fuori dalla sua curva, fa scendere la catena. Ormai la suggestione che siano più fascisti che calciatori è così enorme che ovviamente i giocatori c’entrano poco, ma rallegrarsi delle sue vittorie o magari del fatto che tutto sommato è una buona squadra, pensare che si può gioire insieme ai fascisti della sua curva, non rende il Verona empatico, diciamo.

Lecce

Come Parma, Venezia e Lecce: paro paro.

Lazio

È l’anno successivo alla chiusura di un ciclo: Felipe Anderson e Luis Alberto hanno detto addio, altri giocatori della rosa sono andati via. Sembra che si sia inceppato il meccanismo lotitiano del “grande resa, piccola spesa”. Persino Maurizio Sarri ha dato le dimissioni, caso più unico che raro. Ora la squadra è in mano a Marco Baroni, altro ex calciatore che ha avuto una carriera di allenatore senza mai particolari alti e bassi, uno di mestiere si direbbe, uno che mastica calcio da sempre e sa come ci si sbuccia le ginocchia sulla ghiaia: il che non vuol dire che possa far vincere lo scudetto alla Lazio. Sicuramente è ancora un’officina aperta. Ma per me, tra le prime 10, senza emozionare.

Fiorentina

Un giorno dell’estate 2009 il mio amico Vanni viene in spiaggia con dei pantaloncini della Fiorentina. Targati Lotto, anno indicativamente tra il 2004 e il 2008. Gli chiedo dove li abbia trovati, e lui risponde alzando le spalle come se la cosa non avesse alcuna importanza: in una cesta delle occasioni in un grande magazzino da qualche parte nel mondo. Praticamente una bestemmia per una come me che va alla ricerca sistematica di maglie e pantaloncini da calcio. Quel disinteresse mi ferisce, ma ognuno dà importanza alle cose più strane. Quei pantaloncini sono così belli, sono così viola che inizio a desiderarli. Poi la vita, il mutuo, altri desideri, fanno slittare l’acquisto. Per anni.
Decido che i pantaloncini della Fiorentina saranno il prossimo acquisto del 2025. Potevo già prenderli quest’anno, cioè quelli del 2023-24, ma provando quelli del Genoa della stessa stagione targati Kappa, decido che no, quell’alettina più lunga dietro e la cucitura davanti mi danno fastidio. E poi non mi piace la striscia bianca: li voglio tutti viola. Infatti quelli di questa stagione, la ‘24-’25, sono bellissimi. 
I viola vengono da stagioni di costruzione: dopo l’arrivo del Presidente italo-americano Rocco Commisso che ha portato la Fiorentina nel calcio moderno (ma è da Vittorio Cecchi Gori che si tenta, finito disastrosamente, sono stati i Della Valle a ridare una caratura nuova), le stagioni allenate da Vincenzo Italiano sono state sublimi. Finali di Coppa Italia e Conference League a parte, quest’ultima persino due di fila perse.
Ma ha dato concretezza a un progetto che deve proseguire.
Col nuovo allenatore Raffaele Palladino la squadra ha faticato nel preliminare di Conference ma è passata; come sopra per la Lazio: officina aperta.

Atalanta

Gian Piero Gasperini ha toccato l’apice della sua carriera, al momento, vincendo la UEFA Europa League della stagione 2023-24 con l’Atalanta. Una stagione pazzesca sotto tutti i punti di vista, cavalcando la competizione e senza mai perdere una partita: semplicemente trionfale. Per un rosicone come l’allenatore piemontese, uno che le qualità le ha davvero (tutti i tifosi del Genoa ancora lo ricordano in annate incredibili e con il Presidente Spinelli che ogni anno gli vendeva la squadra) ma l’uomo è quello che è (e non sempre la grandezza nel lavoro implica la grandezza dell’uomo e qui apriremmo parentesi su parentesi quindi meglio lasciar correre questo discorso). Antropologicamente è curioso come certe persone debbano prima passare dai gironi dell’inferno per poi arrivare in paradiso: Gasperini è uno di questi, è uno che ha impiegato 9 anni per costruire un progetto, finalizzandolo. E poi però non va nell’olimpo, torna nella provincia e sembra sparito tutto.
L’Atalanta ha iniziato malissimo, molti suoi giocatori importanti hanno fatto le prime donne e rovinato l’atmosfera. Ora bisogna capire che percorso farà questa Atalanta: è ancora gorda?, gioca in Champions ma nelle vecchie edizioni ha dato spettacolo senza riuscire a emergere, che obiettivi ci sono?, rimangono quelli da squadra di provincia o ci si è montati la testa come le primedonne di cui sopra?

Empoli

Non ha ancora perso una partita ed è riuscito a vincere anche con la Roma, nel giorno del “Ci vediamo all’Olimpico” di dybaliana memoria, la squadra toscana ha iniziato bene. Il campionato è lungo e la nuova maglia, quantomeno la tonalità dell’azzurro, proprio non mi piace.

Monza

Il Monza arriva in Serie A per la prima volta nel campionato 2022-23. È al terzo anno nella massima serie e da quando lo ha preso il fu Silvio Berlusconi, nel 2018, rimanda continuamente a un piccolo Milan, quello a conduzione familiare, quello che fece sognare generazioni di tifosi. Senza averne le possibilità economiche e senza più Berlusconi e il suo «pullman di troie». Tre stagioni a salvarsi e tre stagioni dove un Maldini si sente a casa: Daniel, di professione attaccante, in quella famiglia da vecchio Milan che sembra un salotto della nonna illuminato da un camino caldo e sicuro. Daniel Maldini è rifiorito in quel contesto e intorno ha una squadra che ha trovato un suo equilibrio e giocatori che possono crescere dimostrando il loro valore. Per dire, De Gregorio è diventato il portiere titolare della Juventus.
Il campionato è lungo. Come per molte altre squadre: l’obiettivo è la salvezza.

Bologna

Che Bologna clamoroso quello dei due anni di Thiago Motta. Il primo in felpa e barba lunga, il secondo alternando la tuta al vestito casual, forse in preparazione Juve, sbarbato e il cui volto magro ben visibile e squadrato. Ha dato anima a un Bologna che un’anima l’ha sempre avuta aggiungendo un gas che prima andava e veniva. L’allenatore brasiliano naturalizzato italiano ha dato continuità e motivazioni, e, soprattutto, ha portato il Bologna a una clamorosa qualificazione in Champions che mancava da 60 anni.
Bologna è un’altra città (e i suoi colori rossoblù) ai cui sono affezionata, c’è una vita che mi ha legato alla città, amici, cultura, il libro di Enrico Brizzi Jack Frusciante è uscito dal gruppo, un movimento fumettistico da raccontare, il lavoro del giornalista Matteo Marani, il Guerin Sportivo (la redazione è da sempre stata a San Lazzaro di Savena), tante, tantissime esperienze e ricordi. Il calcio, il suo basket, ne hanno fatto parte.
La squadra ora è allenata da Vincenzo Italiano, l’ex Fiorentina ha un carattere diverso e un modo diverso di far giocare. Come per altre squadre: il potenziale c’è, l’officina è aperta, sperando che il motore parta.

Roma

I giallorossi sono Roma. Ho sempre pensato che Roma fosse giallorossa, anche se ormai in quasi tutte le tifoserie ci sono gruppi ultrà fascisti e anche nella curva della Capitale purtroppo ce ne sono. Roma e i romani, vittorie e tragedie, grandi epopee e grandi vuoti, grandi campioni (da Di Bartolomei a Totti), un mondo a parte, ogni partita un pezzo di cuore.
Nell’estate del presunto addio di Dybala ai colori giallorossi, la cui cessione agli arabi è stato rifiutato dal diniego di moglie e madre dell’argentino con un netto no, scordati caro che andiamo in Arabia a metterci l’hijab (hanno proprio sottolineato la condizione della donna reclusa) e la cui notizia ha scatenato i tifosi urlando al romanticismo della faccenda, la Roma di De Rossi a calciomercato finito deve ancora avere tutti i giocatori della rosa disponibili e capire come giocare. 
Dallo studio vista mare, un frecciarossa attraversa veloce la ferrovia tra i palazzi bassi, il cielo nuvoloso sul mare, quello del dopo pioggia, scarica lampi nell’Adriatico, le luci accese di qualche camera d’albergo fa pensare ancora all’estate, le giornate si sono inarrestabilmente abbreviate e la notte arriva.
Direi popcorn.

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