C’è un cambio di passo, nella serie Netflix The Queen of the Villains, che fotografa la schiusa dell’uovo del mostro. Si trova verso la fine del terzo episodio. Kaoru Matsumoto, aspirante wrestler professionista non abbastanza bella e non abbastanza aggressiva per sfondare, si trova nel cassone del camion di suo padre, un dumper che trasporta rottami, e il suo cuore ha appena terminato di spezzarsi. Kaoru è sporca, zuppa di pioggia, con gli occhi spiritati e regge in mano una catena che sarà la sua weapon of choice, l’oggetto illegale che avvolgerà attorno alla gola di innumerevoli avversarie dopo averle ridotte a maschere di sangue con il pubblico che urla terrorizzato e la guarda scandalizzato dagli spalti. Ma forse non è nemmeno corretto usare il nome Kaoru, perché quella personalità è sepolta dal peso di troppe umiliazioni, di troppi fallimenti, di troppa prepotenza e, dulcis in fundo, dalla famiglia che per troppa indulgenza verso quel fallito ubriacone del padre e per raggranellare due soldi la truffa costandole quasi la carriera. La spallata finale alla psiche di Kaoru è stata la sorella che l’ha cacciata via spingendola attraverso il cartongesso, e nel cassone del camion, dopo che l’aspirante lottatrice ha cercato di far valere le sue ragioni. Lì è venuto giù tutto e, dalle macerie, si è alzata Dump Matsumoto, il terrore dei ring giapponesi, vera e propria monster heel che non si ferma davanti a niente e nessuno.
Ma che cos’è un monster heel? Nel gergo del wrestling, un heel è un cattivo, uno che sale sul ring per essere fischiato. Bene, da qui al resto ci si arriva facile. Un monster heel è un malvagio inarrestabile, fortissimo, quasi imbattibile e destinato a cadere solo per mano di un grande campione in rampa di lancio. Un heel lo fischi, un monster heel ti fa paura. Prendiamo Andrè The Giant. Di lottatori di dimensioni gargantuesche ce ne sono stati, ma un gigante acromegalico in grado di afferrare una testa umana con una mano sola che raggiungeva il ring con incedere ursino e apparentemente impossibile da schienare ce n’era solo uno. E chi è stato il San Giorgio che ha sconfitto cotanto drago? Hulk Hogan, sollevandolo e schiantandolo a terra al Madison Square Garden in quel momento che ha dato il via all’era più conosciuta e apprezzata del wrestling. Mica cazzi. Un altro esempio è Undertaker, benedetto da una salute e da una mobilità migliori di quelle del gigante di Grenoble, nonché da un personaggio oscuro che ha interpretato magistralmente con quei suoi gesti lenti e studiati, con gli occhi girati all’indietro e un materasso di lingua à la Gene Simmons cacciato fuori per intero a ogni schienamento. Quando un monster heel cammina verso il quadrato, tu sai che sta per succedere un casino.
Ecco, Dump Matsumoto era esattamente questo. Capelli ossigenati, trucco pesantissimo e cupo, giubbotti di pelle e un disprezzo maniacale per le regole. Ora, The Queen of the Villains è romanzato, non è un documentario ma una fiction e delle libertà se le prende. Eppure, se dovessi indicare una reference a qualcuno che volesse capire il wrestling sceglierei a occhi chiusi questa serie che, forse più di ogni altra, ne coglie l’essenza. L’interpretazione di Dump Matsumoto è fe-no-me-na-le, una macchina movimento terra con le gambe che gira per il ring con le movenze sgraziate di un T-Rex a molla pugnalando le avversarie con una forchetta, strangolandole con la sua inseparabile catena o percuotendole fino allo sfinimento con il suo bastone da kendo, aiutata dalla fedele Bull Nakano e dalle altre sue compagne di malefatte. Dump Matsumoto è un mostro che si muove in uno scenario epico dove tutto è over the top, larger than life, un film di kaiju sotto steroidi con il volume tirato su a cinquemila. La serie parte anche in sordina, per un momento sembra addirittura fin troppo smielata, ma quando ingrana la marcia prende prima un twist horror e poi una virata epica con gli scontri che fanno esattamente quello che deve fare uno match di wrestling. Gasarti a bomba.
Tutto è elettrico, tutto è adrenalina. Il pubblico è on fire, a momenti viene giù il palazzetto, intorno al ring le aiutanti delle lottatrici sono una fossa di leonesse pronte a intervenire mentre sul ring è tutto sangue, sudore, occhi sbarrati e urla grattate dal fondo della gola. E Dump Matsumoto, con quel suo fisico chiatto e quel suo outfit da metallara maledetta è un demonio che semina il caos mentre la colonna sonora spara tutto in orbita pompando all’inverosimile ogni grido, ogni sedia spaccata in testa, ogni volto inondato di emoglobina. Il wresting, signore e signori. L’epica definitiva che ti esplode nella pancia. Un racconto atavico di eroi e di mostri.
Stefano Tevin e l’Onorevole Beniamino Malacarne sono un reboot del classico Dottor Jekyll e Mister Hyde ma, invece di seguire il trend contemporaneo dell’inclusività, deviano dal canone nel fatto di essere ambedue dei fetenti. Nati entrambi nel 1981, uno è una specie di scrittore (romanzi, fumetti, articoli, quella roba lì), l’altro è un lottatore di wrestling. Tevini ti parlerà di fumetti, fantastico e simili, Malacarne di Wrestling (oltre a occuparsi della gestione operativa dei reclami e soprattutto di chi li esprime).
Una risposta su “La schiusa dell’uovo del mostro”
Samildanach
E se qualcuno pensasse che la serie esagera quello che succedeva sul ring in quei match, si vada a cercare su Youtube le riprese originali