Da La verità a Storie di Soldati

Francesco Barilli | C'era una volta il west |

Se vuoi sapere di cosa sto parlando sarà meglio che recuperi le puntate precedenti.


Arriva l’8 maggio 1982, data a cui ho già accennato altre volte. Durante le prove per il Gran Premio del Belgio, sul circuito di Zolder, muore Gilles Villeneuve. Dopo aver urtato con la sua Ferrari la March di Jochen Mass, il pilota è proiettato fuori dall’abitacolo verso le reti di recinzione a bordo pista. Immagini di una morte che mi segna e segna tanta gente, non solo ferraristi o appassionati del mondo automobilistico. Pure su (Quasi) ne abbiamo parlato (qui e qui, per esempio).
La stagione 1982 di Formula 1 proseguirà tragicamente. Il 13 giugno in Canada muore anche Riccardo Paletti, schiantandosi in partenza contro la vettura di Didier Pironi. L’incidente avviene sul circuito che, per tragica ironia, sarà intitolato proprio a Villeneuve pochi anni dopo. Non sarà l’ultimo dramma di quel 1982, per lo sport automobilistico. Te ne parlerò alla fine, ora andiamo in edicola. Dove, vedrai, il tema del mese (“Mostri”) si è insinuato nelle pagine di Lungo Fucile e rende difficile rinfrancarci lo spirito come vorremmo.


Dopo due storie indimenticabili (La donna di Cochito e Adah) la serie ne presenta alcune di minore intensità.
Il ritrovamento del corpo senza vita di un cercatore d’oro da parte di Ken è l’innesco de La verità, scritto da Giancarlo Berardi e Maurizio Mantero per i disegni di Bruno Marraffa. Ken riporta il corpo in città, dove il giovane sceriffo locale, Arthur Comb, organizza prima la spedizione alla ricerca del socio della vittima e, successivamente, le indagini. Queste vengono però pesantemente influenzate dal suocero dello sceriffo, il signor Tavernier, presenza ingombrante per Comb in ragione della parentela, ma pure per vincoli di gratitudine. Peccato però che Tavernier faccia di tutto per instillare nei cittadini la propria certezza.

Insomma, poche indagini da fare ad avviso di Tavernier. Come sempre nella serie, c’è una spiegazione, o almeno un’attenuante, anche per i crimini. Così scopriamo che l’odio dell’anziano uomo verso i Navajo non è privo di motivazioni.

Non esiste alcun indizio ad accusare gli indiani, ma questo poco conta per la sete di vendetta di Tavernier, contagiosa per la popolazione, ansiosa di ritrovare la tranquillità individuando un colpevole qualsiasi. Brava gente o mostri assetati di sangue? Guarda, se differenza c’è, di sicuro basta una piccola variabile a provocare lo switch…

Solo Comb e Parker si ribellano alla facile condanna di un capro espiatorio, preferendo cercare, in ossequio al titolo, la verità. Sì, ma la verità quale è? E, prima ancora, COSA è? La domanda è affascinante già dai tempi di Pilato. E se ci pensi viene lasciata senza risposta anche nel Vangelo.
Pure nell’episodio di Lungo Fucile un’attenta regia degli autori ti mostra l’omicidio, ma senza che si possa capire il colpevole. La scena che vedi è reale, certo, è «vera» (certo), ma della «verità» è solo un frammento. E un frammento del reale non costituisce mai il quadro completo, e non sempre è sufficiente a ricostruirlo e conoscerlo.
Ma la cosa più atroce nella storia è un’altra. Mentre il paese festeggia l’impiccagione di un vecchio indiano (colpevole o capro espiatorio che sia) Ken e l’ormai ex sceriffo Arthur Comb se ne vanno, quando ormai anche a loro è chiaro che, in fondo, conoscere la verità è diventato irrilevante.

Razza selvaggia, episodio successivo, scritto da Berardi, vede l’esordio ai disegni di Renato Polese.
La storia è assai leggera, ben scritta ma dimenticabile. Ken Parker, accompagnato dall’amico Nick, è impelagato nella ricerca di un selvaggio cavallo nero che molti vorrebbero catturare. Sullo sfondo, pene d’amore fra il giovane indiano Otomi e l’amata Fiore di Luna (il cui padre è a dir poco riluttante a cederla in sposa) e pure fra due altrettanto giovani compagni di viaggio di Lungo Fucile.
In forte contrasto col pessimismo dell’episodio precedente (in cui anche «i buoni», come ti ho detto, rinunciano a sapere la verità e non riescono a salvare dall’impiccagione un vecchio indiano) qui la storia è ricca di battute e di personaggi stereotipati – il vecchietto bonario e beone, il mezzosangue, i giovani amanti, timidi e ingenui.
Anche l’elemento drammatico, la tragica morte dello sfortunato Nick, si stempera in un volemose bene che culmina nel finale con la liberazione del bellissimo stallone in una tavola, a dirla tutta, un po’ troppo romance per come ci aveva abituato la serie.

In Rosso sangue i testi di Berardi e Mantero accompagnano i disegni di un Sergio Tarquinio più convincente rispetto alle prove precedenti. L’episodio non è però indimenticabile né originale. La solita storia di furti d’armi, favoriti dalla presenza di una «talpa» nell’esercito, con conseguenti indagini, inseguimenti e scazzottate.
Interessante, semmai, è seguire la macrotrama della vita del protagonista, che sappiamo essere in un lungo viaggio verso Boston per rivedere il figliastro Theba, e l’ennesimo accenno alla letteratura.

Facci caso: Berardi sfrutta il comandante del battello per dirti l’evoluzione di Ken – non ancora un letterato, okay, ma il suo linguaggio non è più quello di un montanaro. E Ken riconosce di essere lettore appassionato, tanto da giustificare una domanda del comandante che fra qualche episodio si rivelerà profetica.

A sottolineare ancora maggiormente l’importanza della letteratura nell’evoluzione del personaggio arriva l’episodio successivo. Storie di soldati peraltro è il cinquantesimo numero della serie regolare. È quindi particolarmente significativo che in un numero celebrativo Berardi faccia incontrare al proprio personaggio uno scrittore in carne e ossa. Anche se fra i due il primo approccio non è dei migliori…

Lo scrittore è Ambrose Bierce, molto amato da Berardi, autore crudo e cupo nel descrivere il mostro più schifoso di tutti, la guerra. Nello specifico, quella civile americana, che segna i quattro racconti qui adattati da altrettanti disegnatori, a enfatizzare la natura commemorativa dell’albo. Insieme a Renato Polese e Carlo Ambrosini trovi un Giorgio Trevisan mostruosamente efficace…

… e il solito Milazzo che non si stanca di sperimentare. Qui lo vedi alle prese, come osserva Gianni Di Pietro nei redazionali di “Ken Parker Collection” n. 25, con «un misto di spugnetta e di pennello a punta secca [che] rende straordinariamente raccolta e simbolica l’atmosfera di Parker Adderson, filosofo». E, aggiungo io, ti ricorda la verità su un mostro ancora più terribile, che ama la compagnia di Guerra e a cui, comunque vada, nessuno sfugge.

Se non ti ho ancora convinto dell’importanza dell’episodio, almeno nella sua natura di festa per il traguardo della cinquantesima uscita, ti dirò pure che Storie di soldati è una sorta di compendio teorico di cosa intende Berardi per scrittura e creatività. Non è casuale che questa teorizzazione emerga da un dialogo fra il proprio personaggio e uno scrittore come Bierce.

Il riepilogo cronologico stavolta è più complicato e più necessario. Se ricordi, a proposito di Adah ti avevo detto che c’erano dubbi nel collocarla fra il 1878 e il 1877. Viene in aiuto, come già accaduto in altre occasioni, Gianni Di Pietro sulle pagine di “Ken Parker Collection” (Panini Comics) n. 24: «La successione degli eventi [ndr: in La Verità] se consideriamo Adah sembra dunque non rispettata. Però, siccome quest’ultima era una vicenda raccontata in flashback dalla protagonista, a rigore potrebbe non inserirsi nella cronologia lineare in progress delle storie precedenti. È peraltro probabile che l’incongruenza cronologica dipenda dal fatto che per una pubblicazione seriale a cadenza mensile, con ambizioni di qualità, a volte si debbano compiere scelte di emergenza a fronte di piani che per qualche ragione possono non essere rispettati».

È possibile, dunque, che la cronologia degli episodi non sia perfettamente aderente a quella della vita, seppure diegetica, di Ken, e che alcuni vengano presentati senza seguire una linea temporale lineare e progressiva… E poi (diciamolo vivaddio!) ti sto parlando di un lavoro narrativo su un personaggio immaginario, non fare il nerd che cerca di far quagliare il ritrovamento di Capitan America, ripescato ghiacciolo dagli Avengers, con la nostra linea temporale e si chiede come faccia a essere così arzillo. Alimentazione e sane abitudini di vita, dai! Dunque diciamo che La Verità e Razza Selvaggia sono ambientate nel 1877/1878 e bene così.


Ti dicevo all’inizio che le morti di Villeneuve e Paletti non sono gli ultimi drammi di quel 1982, per lo sport automobilistico. Il 7 agosto in Germania il ferrarista Didier Pironi ha un incidente durante le prove del Gran Premio. Ne uscirà con le gambe distrutte. Gli saranno salvate solo a seguito di una trentina di operazioni, ma la sua carriera di pilota termina qui. La sua vita si concluderà pochi anni dopo, il 23 agosto 1987, durante una gara di motonautica, passione a cui si era avvicinato dopo l’incidente in Germania. Per la cronaca, il mondiale di Formula 1 del 1982 lo vince Keke Rosberg.
Però, diciamolo, l’estate 1982 la ricordi per altro: l’11 luglio l’Italia vince il proprio terzo titolo mondiale di calcio, battendo la Germania Ovest per 3-1, nel campionato più bello che io ricordi (te ne ho parlato
qui, e (Quasi) ci ha dedicato tutto un numero e un mese). Perché i mostri li puoi sconfiggere, anche se per poco, facendo festa.

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(Quasi)