Mostri in salotto

Rosso Foxe | Quasiamore |

Disegni di Titti Demi

Cena noiosa, in un salotto che grida “ricchezza boomer e di sinistra”, con la moquette stile, l’hi-fi, i soprammobili equosolidali, i libri di murgiasavianoscurati sulle mensole, le stampe di Frida Kahlo e Klimt, e le riviste giuste – intonse e mai sfogliate – lasciate in bella vista.
All’inizio della cena, i padroni di casa hanno chiesto a tutte le persone invitate di lasciare una domanda in un vaso all’ingresso, perché avevano in mente un gioco. Il fare ammiccante con cui lo chiedevano e le due domande citate come esempio hanno orientato l’esecuzione del compito. Le troppe persone presenti hanno scritto il loro quesito pruriginoso. Il nostro è sempre lo stesso: «Come metterete a tacere la solitudine stanotte?»
Una cena di ricette dal mondo, vegetariana ma non troppo, con ingredienti che hanno percorso più chilometri della maggior parte dei presenti. Chiacchiere d’ordinanza, sulla situazione politica italiana, sulla sinistra che non c’è, sulla guerra, sul patriarcato, sui diritti delle donne che, nel frattempo, si affrettano a portare i piatti in cucina.

Per fortuna, a tutto c’è fine. Mentre i discorsi oziosi si trascinano tra grappe, amari e limoncelli, iniziano i commiati. Non vogliamo essere le prime persone a uscire dalla stanza e aspettiamo un altro po’: per quanto lo si continui ad affermare, di noia non si muore di certo.
A ogni tentativo di saluto, i padroni di casa infilano una mano nel vaso ed estraggono un bigliettino. Risatina timida, un po’ di rossore sulle guance e via con la domanda idiota.

«Ti piace il sesso orale?»
«Quanti partner hai avuto nella tua vita?»
«Hai mai fatto sesso a tre?»
«Scopi o fai l’amore?»
«Sei fedele?»

A ogni domanda, inizia una tarantella di silenzi imbarazzati e di menzogne più o meno marcate; si capisce che, varcata la soglia, alcune coppie dovranno discutere un bel po’.
Si è fatto tardi. Ci alziamo, prendiamo la giacca e iniziamo a salutare, elargendo baci a distanza, sorrisi e gesti con la mano. La speranza di raggiungere l’uscio senza inconvenienti si infrange contro i padroni di casa davanti alla porta. Hanno già il nostro biglietto in mano e un ghigno stampato sulle labbra. Sorridiamo, ma non siamo un granché nel bluff. Ascoltiamo la domanda.

«Quanto spesso vi masturbate?»

Siamo tentati di mentire, risolvendo la questione in fretta, e infilare la porta con un sorriso.
Le bugie non sono il nostro forte e, forse, abbiamo bevuto troppo. Ci scappa un sermone e, come se la noia fino a quel momento non fosse stata abbastanza, ci tocca ascoltarlo.

«Ci sembra che questo sia il gioco di persone alle soglie della terza età che, vedendo il loro tempo farsi sempre più esiguo, vorrebbero dire quanto hanno vissuto e assaggiare la vita altrui. Un gioco che, condotto in questo modo, vuole solo scatenare riprovazione e invidia. Crediamo che col sesso si giochi e che di sesso si debba parlare e che, si giochi o si parli, si stia facendo sesso. Giocare parlando di sesso, in un territorio in cui non è stato esplicitato il consenso, è solo morbosità. E non c’è niente di male: l’importante è che quella morbosità sia accompagnata da consapevolezza. L’importante è che siano chiare le motivazioni che ci spingono a fare quelle domande a persone con le quali, con ogni probabilità non ci rotoleremo tra le lenzuola, o sul parquet, o dentro il bagno di un locale, o dove si riesce.
Chiedete quante volte ci masturbiamo, ma la domanda, in realtà, è volta a sapere quanto spesso abbiamo orgasmi.
La risposta, per quanto ci riguarda, è abbastanza semplice. Nei giorni tristi una sola. Viviamo una vita abbastanza felice e non abbiamo giorni tristissimi da mesi, forse anni.
Ora, però, abbiamo noi delle domande. Davvero siete in grado di coccolare nella mente questo pensiero con serenità? Non vi si stampa nella testa l’idea dei nostri visi contratti nel piacere più volte al giorno? Il pensiero delle nostre mani che accarezzano, sfiorano, sfregano i nostri cazzi, le nostre fighe? L’agitarsi delle nostre braccia? Il contrarsi dei nostri corpi? I nostri umori che scendono nella doccia? Nella vasca? Nel lavandino? Magari in quello in cui avete lavato le mani dopo cena?
Sappiamo solo che torneremo a casa e penseremo a voi, mentre godete in solitudine, ripensando a noi. E, con ogni probabilità, ci masturberemo. Usando uno dei nostri tanti giocattoli.»

Resistiamo alla tentazione di fare un inchino e salutiamo. Mentre stiamo per uscire, una voce dietro di noi dice: «Un attimo, vengo anche io. Voglio scoprire se riesco a rotolarmi tra le lenzuola con voi stanotte.»
Abbiamo desiderato quel corpo – anche quel corpo – per tutta la sera e, ora, sappiamo come metteremo a tacere la solitudine stanotte.

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(Quasi)