Che gli americani siano americanocentrici è pacifico. Tutta la loro narrazione, anche quando critica, è a base di stars and stripes. Cinema, letteratura, fumetti: sono decine le occasioni in cui i loro presidenti, veri o fittizi, sono apparsi come protagonisti o comprimari.
Su questo assunto uno più paziente potrebbe costruirci un articolone, ma non sono paziente, proprio per niente. Se vuoi una disamina approfondita di “presidenti nella narrazione” googla e ti sarà data. Se ne vuoi una limitata ai comics… pure! Io al massimo ti propongo una carrellata, limitata al mondo supereroistico Marvel e, di striscio, DC, peraltro veloce e incompleta. Perché di tutta la faccenda “presidents in comics” m’interessa un punto soltanto: molto spesso in questi fumetti l’uomo più potente d’America è un coglione o un criminale.
Pensa a Vic Newman in The Boys (intendo il fumetto; la serie televisiva la escludo per non allungare troppo il discorso). Succube della Vought, multinazionale che controlla i Sette per conto del governo (e che vorrebbe rendere ancora più capillare la propria influenza) è anche un idiota patentato, seppure con chiare aspirazioni a breve termine…
E lascia stare l’apparizione di Barack Obama in “Amazing Spider-Man” (vera marchetta Marvel per le elezioni del 2008)…
… persino Lex Luthor è arrivato alla Casa Bianca!
In effetti, la convinzione che alla massima carica finiscano spesso soggetti poco raccomandabili sembra essere radicata in molti autori di fumetti. Per dire, Donald Trump è apparso nei comics tante volte che nemmeno immagini, da Doonesbury in poi.
La striscia non è una profezia della sua vittoria del 2016. Risale al 1999, quando Trump stava valutando se candidarsi per le elezioni del 2000. Garry Trudeau ha preso di mira il discusso imprenditore/politico talmente tante volte da raccogliere poi tutte le strisce che lo vedevano protagonista.
Proseguiamo la carrellata. Ronald Reagan non viene nominato esplicitamente da Frank Miller ne Il ritorno del Cavaliere Oscuro, ma ti sfido a non riconoscerlo nell’uomo cinico e grottesco che guida gli States e usa Superman come un utile idiota contro Batman.
In Elektra Assassin, assieme a Bill Sienkiewicz, Miller non usa guanti di velluto neppure con i democratici, anche se stavolta il personaggio è fittizio ed è “solo” candidato alla presidenza. Non t’inganni l’aspetto rassicurante ed eternamente sorridente. Pure Ken Wind, che molti dicono ispirato a Dan Quayle (a me, sbaglierò, ricorda John Kennedy) è un vero stronzo che vorrebbe scatenare una guerra atomica.
Anche Alan Moore, altro mostro sacro del revisionismo dei super eroi di metà anni Ottanta, non è tenero con l’inquilino della Casa Bianca. In Watchmen usa un Richard Nixon reale solo a metà, che sta gestendo il proprio terzo mandato dopo essere uscito vittorioso dal conflitto in Vietnam. Nixon appare poco, ma quanto basta per connotarsi, nei disegni di Dave Gibbons, come un politicante cinico e senza scrupoli.
Il presidente, travolto nella realtà dal Watergate, era stato già protagonista negativo anche della saga L’impero segreto, in “Captain America” nn. 169/176 del 1974. Come Reagan per Miller, anche qui Steve Englehart e Sal Buscema non lo menzionano mai e, anzi, non ne mostrano neppure il volto. Però i riferimenti al Watergate sono evidenti. Meglio: è evidente il clima di sfiducia verso le istituzioni, la consapevolezza della loro corruzione fino al massimo vertice. Capitan America nel corso della saga toccherà con mano quanto la realtà politica sia lontana dall’American Dream che lui vorrebbe incarnare e difendere. E il suicidio di “questo” Nixon lo porterà ad abbandonare per qualche tempo i panni del supereroe a stelle e strisce.
Steve Rogers appare spesso in questo elenco retrospettivo. Non deve sorprenderti. Il personaggio nasce come simbolo dell’America democratica, del mondo libero minacciato dalla follia liberticida del nazismo. Ripescato (letteralmente…) nel 1964, perde la connotazione puramente nazionalista, e diventa, ti dicevo, incarnazione della parte più pulita del Sogno Americano. Infatti, quasi a compensare diffidenza e scoramento mostrati ne L’Impero segreto, in “Captain America” n. 250 l’eroe sarà sul punto di correre per la presidenza, ma alla fine rifiuterà la candidatura.
Stesso destino, sempre limitato alla candidatura, è riservato a Wonder Woman, personaggio che, per purezza ideale, in casa DC incarna l’ideale americano quanto Superman e come Steve Rogers presso Marvel.
Insomma, se nell’attualità lo sguardo si fa cupo anche verso gli eroi, giungendo al parossismo di The Boys, nel passato i presidenti “buoni” sono personaggi fittizi, due supereroi, neppure eletti… Anzi no! Capitan America addirittura arriva alla massima carica, seppure in una realtà alternativa!
Questo approccio si tinge di toni ironici e grotteschi nel 1976, quando la campagna elettorale che contrappone Jimmy Carter e Gerald Ford diventa, nella narrazione Marvel, una corsa a tre. I due candidati devono infatti fare i conti addirittura con Howard the Duck, in storie di quel mattacchione sottovalutato di Steve Gerber disegnate da Gene Colan. E la corsa del buffo papero sarà fermata solo… da uno scandalo sessuale! Quindi: due candidati trovano in un papero antropomorfo l’avversario che li potrebbe battere, a cui solo le circostanze chiudono la porta. Serve altro per corroborare la teoria sulla scarsa fiducia nei presidenti USA?
Sarai già annoiato. E vorrei evitare che questa carrellata diventi un elenco di immagini lungo e didascalico, per cui fidati. Ci sono altre apparizioni, ma non le dettaglio tutte. Solo qualche accenno su questi numerosi cameo. George Bush approva il “Superhuman Registration Act” in Civil War, Reagan viene trasformato in serpente da Viper, Capitan America viene esiliato da Clinton (non temere, poi ne riconoscerà l’innocenza) nella propria testata, mentre nella collana “The Invaders”, ambientata negli anni del secondo conflitto mondiale, appare Harry Truman. Ed è doveroso ricordare che è stato Franklin Delano Roosevelt in persona a consegnare al buon Capitano il celebre scudo, dipinto con i colori ancora attuali, in “Captain America”n. 255 di Roger Stern e John Byrne.
Mentre scrivo non conosco l’esito delle elezioni di quest’anno. Non so se Trump sarà di nuovo inquilino della Casa Bianca o se vedremo un volto nuovo. Ho voluto giocare con te tralasciando questa incertezza per non essere, anche solo inconsciamente, influenzato dal risultato e dal presente. Perché nulla, comunque, scalfisce un quadro consolidato in decenni di narrazione a fumetti. Tranne qualche eccezione, emerge la sfiducia verso l’essere umano più potente (meglio, quello che nel nostro immaginario sembra essere il più potente) del pianeta. Del resto, il potere, se ce l’hai, lo usi. E a cosa ti serve? A superare lo spazio fra ciò che potevi fare (quando non lo possedevi) e ciò che puoi fare ora che lo possiedi. A dominare i tuoi simili…
Un brivido lungo la schiena, a questo punto, può nascere legittimamente. Ma non accusarmi di antiamericanismo. «Non c’è popolo più stupido degli americani!» mica l’ho detto io. Lo HA DETTO (lo so, lo cito di frequente) Gaber. Controlla pure.
Vive una crisi di mezza età da quando era adolescente. Ora è giustificato. Ha letto un bel po’ di fumetti, meno di quanto sembra e meno di quanto vorrebbe. Ne ha pure scritti diversi, da Piazza Fontana a John Belushi passando per Carlo Giuliani (tutti per BeccoGiallo) e altri brevi, specie per il settimanale “La Lettura”. Dice sempre che scrive perché è l’unica cosa che sa fare decentemente. Gli altri pensano sia una battuta, ma lui è serio quando lo dice.