Illeggibile

Paolo Interdonato | QUASI |

Nel 1949 Bruno Munari mescola le carte. Per farlo, costruisce una serie di oggetti meravigliosi fatti apposta per mandare in frantumi il sapere da bacio Perugina di chi appende sul muro citazioni mal calibrate, estrapolate senza troppa cura dall’incipit di una lezione, di Jorge Luis Borges:

«Fra i diversi strumenti dell’uomo, il più stupefacente è, senza dubbio, il libro. Gli altri sono estensioni del suo corpo. Il microscopio, il telescopio, sono estensioni della sua vista; il telefono è estensione della sua voce; poi ci sono l’aratro e la spada, estensioni del suo braccio. Ma il libro è un’altra cosa: il libro è un’estensione della memoria e dell’immaginazione.»

I “libri illeggibili” di Munari, ne siamo certi, non estendono la memoria. Sono composti di carte diverse, per grammatura e lavorazione, stampate con forme geometriche colorate. Producono emozioni e non contengono né parole né immagini. Non si leggono. Si guardano.

Uno dei mantra di (Quasi) arriva dritto dritto dalle serate con Boris. A un certo punto, quando il discorso, sciolto dall’alcol, si fa più concitato e tutti – lui compreso – sembrano arroccati in posizioni ragionate solo in apparenza, ecco che se ne esce con una delle sue sgradevolissime affermazioni perentorie.
Di solito sono frasi che, quando le senti per la prima volta, levi gli occhi al cielo e senti un vaffanculo che, manco fosse uno spirto guerriero, entro ti rugge.

Una sera di un sacco di anni fa, con un po’ di gente che si litigava una bottiglia che nessuno credeva davvero che sarebbe stata l’ultima, gli ho sentito dire: «I fumetti non si leggono; si guardano!»

Dopo l’iniziale sgomento, quelli intelligenti, intorno al tavolo, sono tornati a casa convinti della indiscutibile verità di quella sentenza. Gli altri, semplicemente no.

Se accetti quell’affermazione, i fumetti sono illeggibili per statuto. Si devono guardare. Alcuni poi sono più illeggibili di altri.
Non sto facendo la solita mossetta radicale di chi enfatizza che gran parte della roba che afferisce a quella classe merceologica e si trova in libreria e in edicola (e pure nella self area del tuo festival preferito), per quanto piena di parole, ha lo stesso valore comunicativo della carta da parati del salotto buono di mia zia Elisa. Affermo, con maggiore semplicità, che alcuni fumetti si possono leggere anche meno degli altri.
E sono quelli che mi piacciono di più.

Ne sto facendo, ancora una volta, una questione personale. Perché tutto il mondo che mi circonda, quello che pesto sotto le scarpe, sento sulla pelle e, soprattutto, guardo con questi occhi malandati, sta diventando, un po’ alla volta, sempre più offuscato e, di conseguenza, illeggibile.

Non voglio concentrarmi sull’idea di dissolvenza a nero e sul fatto che quella tecnica di montaggio cinematografico, in inglese, si chiami “fade out” e sia spesso lì per indicare la fine del film. Mi interessa di più osservare come (Quasi), la rivista al cui sottotitolo stai contravvenendo, dedichi l’ultimo mese del 2024 a un concetto come sempre polisemico. Ci sono sicuramente i fumetti che non possono (o non devono) essere letti. Poi, per estensione, ci sono tutti i testi, espressi per il tramite di qualsiasi medium o linguaggio, che rivelano la propria illeggibilità quando li fruisci, godi, esegui o, addirittura, leggi. E, infine, ci sono i limiti fisici degli umani, l’attenuarsi delle funzionalità elementari dei nostri corpi, che rendono il mondo un posto più difficile.

Per tutto il mese, questa rivista che dichiara la propria illeggibilità in testata, ti invita ad ascoltare la solita combriccola sgangherata e bellissima che ti dice di “Illeggibile”.

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(Quasi)