In cui l’incauto scrivano si domanda se questa pausa sia davvero necessaria e se tutte le spiegazioni che leggiamo potevano essere realizzate in maniera meno “esplicita”, però la speranza per i fuochi d’artificio attesi nel prossimo capitolo è dura a morire.
“Woodenhead” / “Testa di legno”
La settimana scorsa il capitolo di The Great When, l’ultimo romanzo di Alan Moore, di cui porto avanti una disamina ogni martedì, si era interrotto in un momento in cui tiravamo un sospiro di sollievo, dopo diverse pagine piene di magia e fantasia: al termine del lungo viaggio a Long London, Dennis e Monolulu riescono a ritornare nella nostra realtà e il ragazzo, provato da tutte quelle emozioni, sviene (potete trovare il mio ultimo resoconto qui). Il nuovo capitolo riprende da quel punto: Dennis si risveglia nella stessa stanza dove aveva perso conoscenza e nota che hanno coperto con una tenda la finestra attraverso cui lui e Monolulu erano passati. Blincoe ascolta comprensivo i discorsi incoerenti dello stregone, ancora sconvolto dall’incontro con il gatto Charming Peter, mentre Ironfoot gli offre una tazza da tè in modo che possa riprendersi. L’uomo si presenta e rivela il suo nome: Jack Neave. Scopriamo dunque che, nonostante l’aspetto piuttosto bizzarro, non è una creazione di Alan Moore, ma un personaggio realmente esistito: occultista (ha inventato la religione dei “Figli del Sole”) e gestore di locali, aveva cercato di portare uno stile di vita bohemien nella Londra degli anni Trenta e Quaranta. Questa tendenza non era durata molto e quando lo incontriamo in questo romanzo è ormai in declino (sarebbe morto dieci anni dopo, nel 1959). Spiega che il gatto che hanno incontrato è al servizio delle “Teste della Città”, ma ha anche una propria autonomia e indipendenza in quello che ritiene sia necessario fare. Sono tutti e tre al corrente della situazione di Dennis con Jack “Spot” Comer e Grace, e Blincoe ritiene fondamentale contattare Comer per informarlo dell’accordo che è stato fatto a suo nome ed evitare che faccia del male alla ragazza.
Stupito del luogo dove si trovano e della facilità con cui si può passare da un lato all’altro delle “due” Londra, chiede come mai non è mai stata individuata prima, ma gli rispondono che in realtà era stata trovata, ma nessuno aveva capito di che cosa si trattava, tranne Arthur Machen, che ne aveva parlato nel racconto “N”. Poi chiede chi è questo Harry Lud che Comer deve incontrare, e gli dicono che è uno degli Arcani e la quintessenza del crimine. Infine, Ironfoot suggerisce che è giunto il momento che vadano a salvare Grace: Monolulu rimane lì, mentre lui accompagna il giovane e Blincoe attraverso il dedalo dell’edificio fino alla porta di ingresso, da dove i due escono.
Mentre si recano verso la casa della ragazza Dennis, pur essendo molto grato del suo aiuto, gli chiede perché è così desideroso di salvare Grace. L’uomo risponde che una sessantina di anni prima era stato mandato, assieme alla madre, a riprendere uno dei “papi delle lame” che era fuggito nella Short London e, sebbene l’avessero catturato, non erano riusciti a prevenire la morte per sua mano di cinque donne (non viene mai nominato esplicitamente, ma è palese che si tratti di Jack lo Squartatore). Sente ancora la colpa di non essere stato sufficientemente veloce nel localizzarlo, per cui vuole evitare che una situazione del genere si ripeta.
Quando entrano nell’appartamento (Dennis ha ancora le chiavi che gli erano state date il giorno prima), Comer e lo scagnozzo Solly Kankus rimangono stupiti. Il capo si sta per arrabbiare, ma Blincoe cerca di fargli mantenere la calma. Prima si accerta che non abbiano fatto del male a Grace, poi rassicura che non vuole far male a nessuno: proviene da una Londra diversa e vuole semplicemente spiegare i termini dell’accordo che sono stati stipulati. Siccome il criminale non ne vuole sapere di stare ad ascoltarlo, per dimostrargli che lui possiede una durezza che non ha mai visto e che è meglio che lo ascolti, chiede a Grace di andare in cucina a prendere un coltello. Di nuovo, sottolinea che non vuole fare del male a nessuno e quando la ragazza glielo porge, lui si pianta la lama nella fronte. Rimangono tutti stupefatti: spiega che non è nato da un uovo bensì da una ghianda (il titolo del capitolo fa riferimento a questo personaggio). Ora ha l’attenzione di Spot Comer, gli spiega con chi si incontrerà e indica dove e quando si dovrà far trovare l’indomani. Poi, aggiunge che ora se ne possono andare ma prima deve rimborsare la giovane donna per il mancato introito causato dall’essere stata tenuta prigioniera. A malincuore, Comer gli dà le quaranta sterline richieste da Blincoe e poi i due criminali se ne vanno. A questo punto, Blincoe chiede una mano ai due ragazzi per estrarre il coltello dalla fronte e poi Grace “medica” l’uomo perché dalla ferita ha iniziato a uscire della resina, che rischia di colargli sugli occhi e di bloccarglieli, se si solidifica. Poi se ne va anche lui e rimane d’accordo di incontrare Dennis la sera dopo. Rimasti soli, Grace gli prepara qualcosa da mangiare e dice che ora comprende che il giovane non le aveva detto tutto perché non voleva metterla in pericolo, ma non capisce come ha fatto ad affrontare quelle situazioni pericolose ed estreme. Dopo cena, lei gli dice che quando sarà tutto finito, potrà stare ancora un’altra notte o due da lei, se vuole, e poi gli chiede chi sono quelle persone che dovrà incontrare: sono delle specie di “modelli”, di “essenze” di quello che avviene nella loro realtà. Il giorno dopo deve vedere un amico a pranzo, e poi la sera sarà la volta di questa specie di incarnazione del crimine con cui ha l’appuntamento Spot Comer. Giocano a carte per un paio d’ore, per passare il tempo, e prima di andare a letto, lei chiede di poter leggere l’antologia di storie di Arthur Machen che Dennis ha con sé.
Il mattino seguente, quando il ragazzo si sveglia dopo una notte un po’ tormentata, la trova che prepara la colazione. Prova dei sentimenti contrastanti: è contento che lei sia ancora là ma, allo stesso tempo, gli dispiace che non stia lavorando, però vorrebbe che non facesse quella professione. Dennis esce e si reca a piedi al caffè con cui ha appuntamento con Clive: l’oste lo tratta con reverenza perché è sempre convinto che sia un nobile e lo porta dall’amico avvocato. Dopo aver fatto ancora un po’ di scena con il padrone del locale, una volta soli, Dennis racconta quello che gli era successo, omettendo però dei dettagli importanti. Quello che però non nasconde è il contatto che ha avuto con i criminali, suscitando l’ammirazione dell’altro: pur non avendo tutti i dettagli, Clive intuisce il tipo di situazione in cui si trova Dennis. Dopo aver chiarito quell’aspetto, chiacchierano di varie cose, come le loro opinioni del romanzo 1984 (una riflessione sulle ansietà contemporanee) e, prima di salutarsi, Clive gli dice di stare attento.
Essendo ancora presto, Dennis ammazza il tempo bighellonando e non facendo nulla di particolarmente importante: entra in alcuni negozi di tè, ripensa al suo passato e ai due genitori che ha perso quando era piccolo, guarda un quotidiano con la striscia a fumetti “Jane” e mangia un boccone. Quando l’ora dell’appuntamento si avvicina, si reca nel luogo designato, Arnold Circus, e aspetta, poiché non è ancora arrivato nessun altro. Rievoca i suoi ricordi legati a quel posto e poi immagina un possibile futuro tra lui e Grace. I suoi pensieri vengono interrotti da un rumore metallico e da delle scintille: compare Jack Neave, che si trascina il suo piede di ferro. Poco dopo, arriva anche una macchina, con Comer e il suo tirapiedi Yonkus, che è stupito di non vedere ancora Blincoe e domanda chi sia Jack. L’uomo li informa che il suo amico sta per arrivare con Harry Lud e l’aria improvvisamente incomincia a modificarsi: qualcosa sta per comparire!
Su questo ennesimo cliffhanger (chi sta per arrivare? Lo scopriremo la settimana prossima) si conclude una sezione del libro che appare di transizione, in cui non succede molto, a parte la liberazione di Grace, e il cui scopo principale sembra essere quello di aspettare il momento dell’incontro che era stato organizzato nel capitolo precedente. Abbiamo l’approfondimento, sebbene abbastanza abbozzato, dell’evoluzione del rapporto tra i due giovani, e un riepilogo in due occasioni diverse di quello che è successo recentemente per informare degli altri personaggi. Il meccanismo e lo scopo di questa sezione mi sfugge: da un lato sembra utilizzare l’espediente del riassunto, tipico della narrazione a puntate dei comic book, ma che rischia invece di essere ripetitivo nell’economia di un romanzo; dall’altro, sembra quasi che Moore abbia dimenticato quel “show, don’t tell”, cioè “mostra, non raccontare”, tipico del fumetto, ma che si può applicare, con modalità diverse anche alla narrativa. In diverse occasioni (in questo capitolo, per esempio, nell’incontro tra Dennis e Clive) lo scrittore preferisce riassumere lo scambio di dialoghi tra alcuni personaggi, piuttosto che riportarli esattamente: c’è un eccesso di esposizione, a scapito di un’evoluzione (o una rivelazione) attraverso le battute del dialogo, che ostacola una caratterizzazione tridimensionale dei personaggi: non sentiamo le loro voci, come si esprimono e come ragionano perché il narratore filtra e si intromette tra noi e i personaggi, trasformandoli in figurine che portano avanti solo delle azioni. È un aspetto problematico in questo libro perché quasi tutti i personaggi, ma in particolare quello di Dennis Knuckleyard, sono (immagino volutamente) bidimensionali. È lo stereotipo del giovane ingenuo e un po’ imbranato, per cui la sua voce, quella vera, stenta a venire fuori e a definirlo per qualcosa di diverso da un “simbolo”. Questo crea una difficoltà di immedesimazione (o di empatia) e ha come reazione (almeno in me) quella di un vago disinteresse. Non è di certo un problema di capacità di scrittura, ma è una questione di scelta artistica. A volte ho l’impressione che ci sia un disinteresse nel raccontare certi passaggi della storia, forse perché ritenuti poco interessanti ma indispensabili per portare avanti la storia, preferendo invece soffermarsi su altre cose che considera più interessanti(le passeggiate per Londra, le citazioni letterarie e di cultura generale per trasmettere al lettore il sapore dell’epoca). Vedremo se questa scelta cambierà nei capitoli restanti prima della conclusione del romanzo, oppure se questo approccio rimarrà così fino alla fine della storia.
Ha accumulato diversi sostantivi a cui può aggiungere il prefisso “ex” (fanzinaro, correttore di bozze, redattore, editore, letterista-impaginatore sotto pseudonimo, articolista…), mentre continua ancora, sporadicamente e per passione, a tradurre libri a fumetti.