Boris: Hmmm…
Paolo: Che c’è?
B: A gennaio devo ricordarmi di ordinare una cassa di sambuca. Siamo agli sgoccioli. Spero tu non ne voglia, perché non ne vengono fuori due.
P: Bevitela tu quella spremuta d’anice. Prendo solo il caffè.
B: Sei la solita mammoletta priva di gusto.
P: Ordina anche lo zucchero. La redazione burlona ha messo un dado da brodo nella zuccheriera.
B: Zucchero di canna?
P: Sì. Ma adesso che ci metto nel caffè? Il dado?
B: Ma come un dado? Chi è che fa il brodo qua? Gli unici che sanno mettere insieme un pranzo siamo io e te… Io di sicuro no, ma non mi sembra che nemmeno tu faccia uso di glutammato… fa’ vedere…
P: Guarda. Un dado. Nella sua pratica carta stagnola.
B: Cazzo! Ma quale dado? Questo è un bel tocco di resina afgana. Mi sa che è pure buonissima!
P: E dolcifica?
B: Ecco perché metti sempre lo zucchero nel caffè! Furbacchione!
P: Cos’è la resina afgana? Ma senti che odore! Non sarà… DROGA?
B: Sì, senti che aroma… ma come cos’è la resina? È quella cosa estratta dalle infiorescenze della cannabis, uno dei suoi derivati. È questa roba che sembra un dado da brodo. In una parola, hashish.
P: C’è qualcuno che fa uso di sostanze psicotrope in redazione? E non condivide! Chi può essere?
B: Quindi non sei tu che te la fumi col caffè?
P: No! Ma ti pare?
B: Potevi essere tu! Ti ci vedo che la nascondi nello zucchero per non condividerla perché sai che io lo zucchero lo odio. A chi verrebbe in mente di guardare in una zuccheriera? Inutile chincaglieria.
P: Sì, ma chi è stato? Chi altro usa lo zucchero in redazione? Mi prendete tutti in giro al bar…
B: Appena capiamo chi è stato gli facciamo il mazzo. Qui si condivide tutto! Coi direttori, poi!
P: Mentre indaghiamo, ti faccio una domanda. Hai notato che “hashish” è una parola strana, piena di acca, la lettera che alle elementari ci insegnavano essere muta, e – benché complessa come il nome di Cthulhu – chiunque sa come pronunciarla? È una parola perfettamente leggibile.
B: Siamo gente che è cresciuta leggendo ciò che è illeggibile: i fumetti, certo che sappiamo leggere parole strane. Anche scritte in alfabeti che non conosciamo. Voglio dire, sia io che te sappiamo leggere questa scritta “Сою́з Сове́тских Социалисти́ческих Респу́блик”, pur non avendo la minima conoscenza del cirillico. E per leggere intendo associare un concetto, o una realtà fisica a quella scritta. Forse perché siamo cresciuti tra gli anni Settanta e Ottanta sappiamo perfettamente che quella scritta identificava l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ma non siamo mai stati in grado di pronunciarla. Non sappiamo il russo, ovvio. Tra intelligibilità (questo in fondo è ciò che facciamo quando leggiamo, diamo senso a dei segni) e capacità di pronunciare quei segni c’è un abisso. Non sapere pronunciare correttamente dei segni non significa non averli capiti.
P: Va bene richiedere la sospensione dell’incredulità a chi legge. Va bene anche cercare di far credere che io non sappia riconoscere dell’hashish e non conosca la resina indiana. Ma mi spieghi come facciamo a far credere che, mentre chiacchieriamo intorno alla caffettiera, sei riuscito a dire dei simboli cirillici che non sai pronunciare?
Ecco, a me questa cosa interessa un sacco. Mentre ti passo queste cartine e questi filtri che ho occasionalmente in tasca, perché tu faccia un paio di quei lavoretti di bricolage in cui sei bravissimo, rimarcherei che io non so pronunciare lo schwa. Cioè, so cosa significa, so dire la parola “schwa”, ma non so pronunciare quel fonema quando devo leggerlo. E questo apre dei paradossi mentre scrivo, perché voglio che tutto quello che scrivo sia leggibile.
B: Ma non sono riuscito a dire niente. Questa non è una conversazione vera, è un dialogo scritto. L’hai detto tu: a chi legge! Non c’è nessuno che ci ascolta. Per come la vedo io tutto quello che scriviamo è leggibile. Anche quando word non riesce a convertire un qualche cazzo di file che ti hanno mandato da un sistema del menga come quelli di Apple, e vedi solo sfilze di simboli così ⧋⧟⧩⧼⧦⧤⧭⧣⧾⧪⧾⧩⧚⧮⧑⧑⧥⧴⧑⧯⧜⧪⧡⧥⧌⧹⧹⧦⧭⧗⧳⧟⧡⧡⧩⧮⧾⧓⧋⧌⧴⧶⧤⧯⧯⧩⧛. Sono tutti simboli che riconosci e quindi li leggi. Li interpreti pure: sai che se li vedi qualcosa è andato storto nella conversione del file, quindi hai un fatto reale da attribuire a quelle cose strane. È solo che non abbiamo suoni da associarci. La Ə la riconosco ogni volta che la leggo, so cosa significa. Non ho un suono per pronunciarla. Pazienza. Mica devo recitare a voce alta quello che leggo, per mia fortuna non sono un prete o un muezzin che vive di litanie. Poi, scusami, si sono inventati i suoni per insegnare agli studenti lingue inventate che nessuno ha mai parlato e di cui non esistono registrazioni come il latino e il greco antico, vuoi che prima o poi non si trovi un suono per pronunciare la schwa!
P: Sei un furbetto. Sappiamo benissimo come si pronuncia la schwa. Però concludere le parole con quel suono mi fa sentire come se avessi seguito un corso di dizione tenuto da Lino Banfi. E, allora, un suono brutto e inascoltabile diventa indicibile e, di conseguenza, illeggibile. Il ritmo delle parole nella scrittura è importantissimo. Tanto è vero che quando Paperino sbotta in un «#@$%%!!!», leggo una parolaccia. Ma non una generica. Leggo la parolaccia che meglio si attaglia alla situazione, alla postura e alla posizione del becco. E sentire Paperino affermare la suinità di una divinità è liberatorio.
Allora, quando sulla testata di (Quasi) leggo “la rivista che non legge nessunə”, mi incarto. Poi, lo sai, diamo del tu a chi legge. E quando usi quella confidenza, devi spesso attribuire un genere. In quel caso allora, nella mia scrittura – a meno di errori – uso solo nomi ambigeneri (chi legge può essere felice e non contentə, gentile e non educatə) o forme articolate (lə lettorə diventa chi legge, e può provare rabbia ma non essere arrabbiatə).
La schwa è illeggibile! Quanta cazzo di saliva usi per chiudere quelle cartine? Se volevi limonarmi, bastava chiedere.
B: Già… e senti… come la leggi l’onomatopea della carta, del tabacco e dell’hashish consumate dalla combustione? Fffssshh… È più importante leggerla o godersi l’effetto che fa? Tiè, fatti due tiri, ma occhio: tra sambuca e ganja, con quel cazzo di nuovo codice fascista della strada, stasera è meglio che andiamo a casa a piedi…
P: Sì, però mollala che ti ci sei appiccicato che manco Humphrey Bogart!
Sei un vero paraculo. Il suono della sigaretta lo so leggere. Tutte le onomatopee le so leggere. Quando negli anni Novanta sono arrivati i manga in occidente, abbiamo scoperto il rumore della pioggia, delle lacrime, dei muscoli che si contraggono, della brina… Nessuno di quei suoni ci ha prodotto vero stupore. Sapevamo dirli. L’aggiunta di una lettera alle ventuno del poverissimo alfabeto italico ha sempre prodotto problemi di pronuncia. Però anche mio padre, alla fine, sa pronunciare “Tex Willer”. Anzi, lo sa dire meglio di me. Io, invece, non so dire “burrosə”.
B: Hmmm… C’è una sola soluzione. Se non sai fare una cosa, non la fai. Non dirlo. Ma ribadisco: a meno che tu non sia un attore che deve registrare un audiolibro, non dirlo non significa non leggerlo.
P: Sarà che sono all’antica… Infatti mi dà un fastidio boia che mi strappi le cose dalle mani. Ridammela!
Sarà che sono all’antica, dicevo, ma mi pare proprio che tu stia affermando l’esistenza dell’anima. Se la scrittura e la lettura non hanno alcuna relazione con le parole dicibili, allora esiste un contenuto indipendente dalla forma. Tra un po’ inizierai a dirmi che in quel film c’è una bella storia e quel fumetto è scritto bene ma disegnato male.
Hai finito la sambuca? Apri quel cassetto e tira fuori il gin che hai nascosto. Dovrebbe essercene ancora. Ieri te ne ho lasciata quasi mezza bottiglia.
B: Guarda che, se mi dai ancora dell’neoplatonico, la boccia di gin te la tiro in fronte. Sto dicendo proprio il contrario. Non esiste un’idea assoluta di cui la forma è la parte intelligibile. Sto dicendo che la forma è tutto ciò che c’è. Se la scrittura fosse legata al suono delle parole i sordi non potrebbero leggere. Non è così. Una A è una A anche se non sai dirla. E comunque non è vero che la schwa non è dicibile: la verità è che a te non piace il suo suono. Usala e non dirla, oppure non usarla punto. Mi sembra abbastanza semplice. Passa il bicchiere che ti verso il gin. Hai della tonica?
B: Gli è che quando ti incazzi sei così sexy. Cos’è? Un Monkey 47? Ci sta bene la Fever Tree Indian qualcosa?
Quindi la schwa è come i fumetti: si guarda e non si legge. E all’inizio dicevi che tutti i fumetti sono illeggibili. Chiudi tu il sillogismo.
È proprio buono questo aerosol di dado da brodo che mi hai preparato.
Hai capito chi lo ha portato?
B: Nah… troppi termini in campo. I sillogismi funzionano solo con tre termini. Non chiudiamo niente. Soprattutto la bottiglia di gin. Mi chiedi che marca è, ma ieri te ne sei scolato mezza bottiglia!
Non so chi ha portato la resina ma di certo se ne intende. Senti, io ne rollo un’altra… poi chiudiamo la baracca e andiamo a casa.
P: Siamo dei professionisti. Si va a casa solo dopo che abbiamo finito. Tutto.