Il movimento l’hanno ammazzato alla fine dei Settanta, e con esso la capacità collettiva di sognare un mondo diverso. La narrazione di un’alternativa è rimasta lì a decomporsi, e oramai ne resta poco più che le ossa rosicchiate dagli insetti. Ma la strada da quel momento a ora non è stata sempre uguale. C’è stato un interregno allucinato, una zona crepuscolare che solo all’apparenza era piena di colori, ma che, di fatto, era una scossa di assestamento, prima che l’incantesimo nero della strega di ferro inglese si estendesse in tutta la sua massa cancerosa, occupando l’orizzonte del pensiero quasi totalmente, per poi mutare nella metastasi fascistoide del nostro tempo. Era l’interregno di TeleMilano, di una serie TV post apocalittica (Ora Zero e Dintorni), la prima prodotta da una rete privata (Quinta Rete). Era l’interregno in cui i mobilifici, le attività locali e persino gli allevamenti di cincillà domestici saltavano sul carro della pubblicità, spesso realizzata con mezzi di fortuna e risultati surreali. Era il regno di Milano 2. Nell’interregno metter su un’attività era assurdamente facile, bastava talvolta una scrivania e poco altro, e mercanti da due soldi potevano ingrassare di milioni. Sono nati, nell’interregno, i miti dell’infanzia e della gioventù di tanti, come ogni infanzia e ogni gioventù idealizzate, ma stavolta celebrati da generazioni particolarmente incartate su sé stesse. Sono miti perduti, impressi nell’immaginario delle penultime generazioni, tanto incantate dalla lanuggine del proprio ombelico da elevare anche l’ultimo dei cialtroni al più grande degli eroi.

Le loro gesta si cantano al cinema che negli ultimi anni ha prodotto, e forse ancora produrrà, pellicole che raccontano le loro storie. E se Paolo Sorrentino s’è distinto per eccezionale mancanza di coraggio con una delle divinità più oscure dell’interregno, quel Silvio Berlusconi che in due film non è mai riuscito veramente ad attaccare, registi meno blasonati si sono cimentati in opere più piccole sulla vita di due eroi minori: Riccardo Schicchi ed Enrico “Erry” Frattasio. I due sono partiti dal niente e sono riusciti, nei rispettivi settori, a erigere castelli se non di carta comunque di cartongesso che, per un periodo relativamente breve, sono riusciti a prosperare nell’epoca in cui i soldi sembravano essere appannaggio di chi, più o meno cialtronescamente, siamo pur sempre in Italia, li voleva accumulare. Erry viene da Napoli e ha fatto i soldi duplicando le musicassette. Roba che facevamo tutti, eh, chi non ce l’aveva almeno una cassettina Frankenstein con i pezzi presi al volo dalla radio? Qualche ambulante intraprendente osava pure venderle, come alternativa economica agli album originali. Ecco, Erry è andato oltre. Ha messo su una rete di laboratori, una roba immensa, che arrivava al consumatore prima ancora dei distributori ufficiali. Aveva pure il logo e il payoff. “Mixed by Erry – La dimensione ideale per un ascolto pulito”. Garanzia di qualità, capito? Schicchi invece ha lanciato Moana, Cicciolina e una lunga serie d’illustri colleghe. Un imprenditore del porno, forse il primo di quel livello, e di ulteriori presentazioni non credo abbia bisogno non volendo fare qui e ora una monografia su di lui.

Ora, parlavamo dei film a loro dedicati. Come sono? Una cialtronata, in entrambi i casi. Sarebbe stato interessante affrontare l’argomento con docuserie o con film che lucidamente vanno a scavare in due mondi fatti di luci e ombre, che cercano di restituire allo spettatore la complessità non solo di due personaggi, ma di una realtà, quella dell’Italia che non era più quella di un tempo ma non ancora quella di questo tempo. E invece, due commedie all’italiana con meno soldi, che prendono un po’ di gusto per il buttarla in caciara e un po’ di gusto per la favoletta di provincia, un po’ Ozpetek e un po’ cinepanettone. Perché? Beh, i perché possono essere tanti. Perché, per chi l’ha vissuto, quell’interregno lascia comunque ricordi fatati, vuoi perché economicamente non si stava male, vuoi perché se non idealizzi almeno un pochino la tua gioventù hai avuto una vita veramente di merda e pure questo non è sempre semplice da ammettere. Vuoi perché, sì è vero, era morto il movimento ed erano già in atto tutti quei processi che hanno trasformato il mondo in quell’inquietante fogna costruita sopra una Santa Barbara che sembra pronta a scoppiarci sotto il culo da un momento all’altro, ma ancora non avevamo contezza del treno che ci avrebbe investito di lì a qualche anno. Vuoi perché noi di affrontare il passato non siamo proprio capaci perché, porco tutto il calendario, ancora non abbiamo fatto i conti col fascismo figurati con gli anni Ottanta e Novanta. Sta di fatto che un’altra occasione, anzi due, le abbiamo perdute, l’interregno è ormai alle spalle e ci troviamo in un posto di gran lunga peggiore.

Stefano Tevini e l’Onorevole Beniamino Malacarne sono un reboot del classico Dottor Jekyll e Mister Hyde ma, invece di seguire il trend contemporaneo dell’inclusività, deviano dal canone nel fatto di essere ambedue dei fetenti. Nati entrambi nel 1981, uno è una specie di scrittore (romanzi, fumetti, articoli, quella roba lì), l’altro è un lottatore di wrestling. Tevini ti parlerà di fumetti, fantastico e simili, Malacarne di Wrestling (oltre a occuparsi della gestione operativa dei reclami e soprattutto di chi li esprime).