
Le mie serate a casa stanno diventando dei cineforum. La mia ultima ossessione sono i film horror, e a organizzare le mie rassegne ci pensano i redditor, gli utenti di Reddit nei gruppi che frequento.
Sono mesi che guardo film paurosissimi a casa da sola, con una lucina accesa perché la stanza sia buia ma non troppo. non troppo troppo. I miei film preferiti restano quelli del sottogenere found footage, ma non sono fissata, non troppo, non così tanto da non guardare altro. Talvolta.
Insomma, ho scambiato qualche battuta con il redditor trnxion perché entrambi siamo convinti che I Saw The Tv Glow, il film uscito l’anno scorso e taggato “horror” con l’unico risultato di essere odiato da tutti quelli che vogliono sobbalzare per lo spavento – si chiamano proprio così, tecnicamente, quei momenti in cui fai un salto sul divano: jumpscare – sia terrificante a un livello molto più profondo dei consueti fantasmi e serial killer (amo i primi, evito i secondi). E da questo scambio di battute è nata una conversazione che sta rimbalzando da Borges a Wim Wenders a Kelly Link, ma soprattutto che mi sta facendo addentrare nel tunnel oscuro dei film horror che in pochissimi hanno visto.
La prima conseguenza è che posso parlarne solo su Reddit. Il mio inglese migliora a vista d’occhio, come utensile, non come lingua di Shakespeare. Ma mi manca sentire la voce umana, per esempio quella di un ipotetico amico che accettasse di guardare Skinamarink e mi telefonasse a mezzanotte per urlarmi con voce strozzata «Ma cosa cazzo mi hai FATTO VEDERE?!»
Ci sono miliardi di film horror, ma uno come Skinimarink non lo avete mai visto.
A meno che non lo abbiate visto, e allora state ridendo. Perché chi lo ha visto è andato a scriverne da qualche parte per non sentirsi solo al risveglio da un incubo. Oppure è rimasto da solo sul divano, ed è esploso. O se è fortunato – o sciagurato – e lo ha visto al cinema è uscito nella notte e se è andato a sbattere contro un’auto parcheggiata e si è accorto dei lividi solo tre giorni dopo.
Certo, potrebbe anche darsi che lo abbia trovato noioso. Ho letto commenti di questo genere: «Che rottura di palle», «Orribile», «Pretenzioso», «Un’ora e quaranta della mia vita che nessuno mi darà indietro».
La mia ipotesi è che quest’ultimo spettatore abbia poca pazienza e che la sua infanzia sia bloccata dietro una porta d’acciaio, sorvegliata da un cane a tre teste e protetta da mine antiuomo.
Skinamarink è tessuto con la seta degli incubi.

Io ho fatto una fatica enorme a guardarlo. Sullo schermo del PC la grana da falso VHS è particolarmente difficile da fissare per cento minuti. Anche questo è un film sperimentale canadese, mi sembra di non guardare altro ultimamente (pochi giorni fa ho visto Pontypool), quindi il fatto che si vedano solo i piedi di due bambini, muri, soffitti, e tutto sia perennemente buio o immerso nella luce blu e granulosa dello schermo di un televisore forse non avrebbe dovuto stupirmi. Come pure aver seriamente pensato di mollarlo dopo dieci minuti di silenzi, pellicola rovinata e luce blu. Ma se trnxion diceva che I Saw The Tv Glow gli aveva fatto venire in mente l’atmosfera di questo film allora dovevo impegnarmi.
Mi sono impegnata. Il tempo si è allungato, si è moltiplicato e alla fine è scomparso.
E io sono rimasta lì, con gli occhi sbarrati – e devastati dall’analogue aesthetic di cento minuti di un incubo.
No.
Perché, ho pensato, non posso chiamare trnxion e urlargli nelle orecchie – magari da un telefono a linea fissa, analogue aesthetic, «What the fuck did you just make me watch?!»

La trama è quella di un brutto sogno. Due bambini, Kaylee, sei anni, e Kevin, quattro, si svegliano e sono soli. Il papà è sparito. Le porte, le finestre, sono sparite. Le luci non funzionano. La tv si accende, e trasmette cartoni animati di pubblico dominio – per motivi di budget, il film è costato 15.000 dollari nel 2022 – ma sono cartoni animati disturbanti come sanno essere solo quelli vecchissimi. A un certo punto un coniglio lungo e bianco che può arrotolarsi e sparire viene mandato in un loop che si ripete e si ripete, e io volevo solo che finisse e avrei preferito un serial killer sfigurato. Chi manda in loop la tv e fa una serie di altre cose unheimlich che diventano sempre più angosciose? Skidamarink, il mostro che non dirà mai il suo nome e che si è insinuato nella casa dei bambini e nelle loro piccole e fragili vita.
I giocattoli cominciano a finire sul soffitto, in una inversione che continuerà a peggiorare e peggiorare finché tutto finirà accumulato lì, e anche Kevin sarà imprigionato in questa dimensione capovolta. Nel frattempo, anche Kaylee sarà scomparsa. Ne vediamo la faccia senza occhi né bocca per una frazione di secondo, ed è uno dei rarissimi momenti in cui fai un salto. Ne farai un altro quando il telefono giocattolo suonerà fortissimo.
Fatico a identificare cosa mi abbia distrutto di più. Forse la voce del mostro, che comincerà a rivolgersi ai bambini come un gatto che gioca con due topolini.
Succede pochissimo, e quel che succede è troppo. La mia sensazione guardandolo era quella di cadere all’indietro, ma non come la bambina di Outside over there di Sendak, che si butta di schiena dalla finestra per raggiungere i folletti e salvare il fratellino. Come Kaylee, che viene punita perché ha chiesto di vedere la mamma e il papà. Come Kevin col coltello in cucina. Avevo 6 anni e la casa era un labirinto e una prigione.
Skinamarink è il rumore di una creatura gelida e bagnata che ti sfiora le gambe al buio.
In realtà il titolo del film è la leggera deformazione di una canzoncina per bambini, Skidamarink, che io ho ascoltato per trenta secondi nell’agghiacciante esecuzione di Wee Sing prima che la ragazza topo mi togliesse il sonno per sempre. È il tipo di canzoncina che un bambino molto piccolo può trovare piacevole. Parla di qualcuno che ti ama. A tratti ho pensato che il mostro amasse i bambini ma come un mostro, che non sa distinguere due bambini da un mucchio di giocattoli e li rompe e li sbatte di qua e di là nello stesso modo. In altri momenti il potere esercitato da Skinamarink era invece perfettamente adulto, manipolatorio, violento. Erano i momenti in cui volevo distogliere lo sguardo, ma ero arrivata fin lì, cavandomi gli occhi per capire cosa stesse succedendo a quei piedini scalzi, e resistevo. Credo che la sensazione profonda che ho provato fosse che il mostro tenesse prigioniera anche me.
Ci sono moltissimi articoli on line che parlano di questo film. Mi è piaciuto in particolare quello postato il 13 Novembre 2024 da Witney Seibold su slashfilm.com, che dice «Qualsiasi bambino cresciuto infettato dagli incubi riconoscerà le immagini e le sensazioni di Skinamarink».

Kyle Edward Ball quando lo ha scritto e diretto era già un piccolo autore di culto per i cortometraggi che postava sul suo canale YouTube, Bitesized Nightmare, Piccolissimi Incubi, che portavano sullo schermo gli incubi che gli raccontavano i suoi follower. Il suo cortometraggio Heck del 2020, girato interamente in digitale nella sua casa d’infanzia a Edmonton, è stato l’esperimento che lo ha convinto a girare Skinamarink. In un’intervista Ball cita anche Hansel e Gretel come ispirazione. I bambini abbandonati dai genitori e la strega. Ma come nelle versioni antiche delle fiabe qui i bambini non ce la fanno.
Mi accorgo ora che il regista ha anche dato il suo nome alla sorellina più grande: Kyle diventa Kylee.
Seibold commenta che «il giovane regista canadese sembra trarre molta ispirazione da un certo tipo di esperienza di terrore notturno infantile a malapena ricordata». E lo fa senza sconti, senza osservare nessuna delle regole consunte dell’horror. Il suo astuccio di matite ha pochissimi colori: la dinamica delle voci, che bisbigliano – i bambini – o risuonano come se piegassero lo spazio-tempo – il mostro. Il buio, la poca luce. Alto e basso che si invertono, Pochissimi rumori forti. Le parole, non so se qualcuno le ha contate, ma io credo che non arrivino a 50 in tutto il film. Quindi non c’è niente che vada perduto, e contemporaneamente il vuoto ti ingoia così tanto che rischi di perderti i dettagli tradizionalmente scary – c’è una mano che esce dalle tenebre e io non l’ho vista. Gli spettatori che lo hanno amato vanno a rivederselo, e addirittura scrivono delle mappe: diventano Arianna e porgono un filo a chi vuole entrare nella twilight zone di un labirinto che segue le regole dell’inconscio, in cui i minuti si dilatano in ore e 572 giorni passano in un secondo. L’articolo di Seibold si intitola: “La fine di Skinamarink spiegata: la psicologia degli incubi e la tragedia di una famiglia in crisi”, ma nell’URL della pagina c’è scritto “tu-sei-solo-il-mio-archetipo”.
Infatti, Seibold scrive:
«Skinamarink è uno studio sugli archetipi junghiani. Cos’è esattamente quell’essere? I lettori dello psicologo Carl Jung potrebbero descriverlo come l’Ombra. E se mi concedete un momento, possiamo usare Skinamarink come uno studio sugli archetipi junghiani. Se dobbiamo accettare che Skinamarink si svolga all’interno dell’incubo di un bambino, allora è giusto usare il linguaggio dei sogni per interpretarne le immagini.
Chiunque abbia seguito un corso di Psicologia 101 sarà probabilmente in grado di elencare i quattro Archetipi dei sogni di Jung: l’Anima/Animus, la Persona, il Sé e l’Ombra. […] L’Ombra […] è l'”antagonista”, il mostro nei nostri sogni. Secondo la stima di Jung, tende a rappresentare le nostre paure più profonde.
Il volto in Skinamarink è l’Ombra. È un essere fluttuante fatto di paura che vive dentro tutti i nostri cervelli.»
Alcuni spettatori hanno dedotto da alcuni dettagli la possibilità di una tragedia reale nella storia (le teorie degli spettatori sono una parte importante della soddisfazione di frequentare Reddit). Si può immaginare che la caduta dalle scale di Kevin all’inizio del film lo abbia mandato in coma e la scomparsa dei genitori sia letterale, perché hanno perso ogni speranza e hanno smesso di andarlo a trovare.
È divertente giocare ai detective, non è molto interessante.
Io sono più affascinata dal fatto che il regista abbia parlato di Hansel e Gretel.

Non ce la faccio a guardare film sui bambini senza diventare il bambino. Il ricordo dell’impotenza terrificante che provi quando sei piccolo e spaventato è sempre a un centimetro da me. Un centimetro che mi permette di funzionare nella società degli adulti, ma mi basta un minuto per riavviare il programma e rivedere un mondo popolato da giganti.
Per me questo film parla delle porte. Se non ci sono, sei già morto. Ma ci sono. A costo di disegnarle. Le disegni per anni, poi diventi abbastanza grande da trovare la porta di casa e varcare la soglia, e tutto cambia.
Tranne lo Skinamarink che viene a trovarti di notte.
I genitori di Hansel e Gretel non sono solo assenti, li hanno abbandonati nel bosco. Due volte. I nostri genitori non sono sempre buoni. Sono anche quelli giganteschi di cui a volte non capiamo i cambiamenti di umore. Che possono essere minacciosi, farti male, o anche distruggerti ignorandoti. Sono loro a plasmare la tua realtà, e quando sei piccolo non capisci come, perché, e cosa succederà.
Questo non è un film per bambini felici, e se ti sei convinto che l’infanzia sia stato il periodo più bello e sicuro della tua vita, sono contenta per te, e magari è vero. L’età adulta è piena di responsabilità e si capisce che c’è la morte e arriverà di sicuro. Ci sono i soldi – che hai scoperto non vengono da un magico bancomat gentile. C’è il lavoro. L’amore ti fa male in un modo nuovo e inaspettato. Sicuramente, era bello passare ore a giocare seduta sul tappeto.
Se hai un ricordo della tua infanzia pieno di sicurezza Skinamarink ti ricorderà i brutti sogni.
Se non ce l’hai, ti ricorderà l’Ombra che hai dentro. E quella che invadeva una immensa casa buia – in cui torni ad aggirarti, qualche volta, nei sogni, e fa sì che guardare un film horror ti dia il brivido speciale di essere al sicuro, dall’altra parte dello schermo.
Che poi, come nell’ultimissima sequenza del film, quella casa è piccola, e sospesa nel vuoto, non molto diversa da un giocattolo. Che puoi lasciare sul tappeto, e poi indietro per sempre.
Vive in un condominio affollato e rumoroso. Le sue coinquiline e i suoi coinquilini hanno fatto di tutto nella vita: bibliotecarie, animatrici culturali, speaker alla radio, cantanti, mogli, mariti, amanti, complici… Ora ascolta tutte e tutti e sembra abbia visto, letto e goduto di ogni cosa. Me lei sa che quell’obiettivo non è stato ancora raggiunto e che si trova alla deriva in un punto indeterminato del processo.