Vivere in tempi interessanti: Intervista a Lorenzo Vargas, autore di La Resa

Ginevra Gambi | Affatto |

«Come abbiamo fatto a sopravvivere tutto questo tempo?»
«Non lo so, amica mia. Non è mai stato merito nostro.»

Dialogo tra l’Eroe e il Necromante

Ginevra Gambi: Ciao Lorenzo, e grazie del tuo tempo. Nel corso dell’intervista parleremo soprattutto del tuo romanzo La Resa, pubblicato da Zona 42 nel 2023. Nonostante il ciclo vitale impietoso delle novità editoriali in Italia, mi pare che riscuota ancora un certo successo – mai abbastanza, a mio modesto parere. Come descriveresti questo libro a chi non l’ha ancora letto? E se non sbaglio è un po’ un’eccezione nel catalogo dell’editore, trattandosi di un fantasy di oltre 400 pagine (che comunque scorrono benissimo). 

Lorenzo Vargas: standing still is hard, diceva Regina Spektor. Grazie a voi. Il ciclo editoriale delle novità è sì abbastanza impietoso, ma Zona è un indipendente e si muove per lo più tra fiere o librerie indie, spazi dove, se un volume ha ancora qualcosa da dire, continua a farlo. E siccome uno dei temi del romanzo è la deumanizzazione del prossimo, temo di avere gioco facile ancora per un po’. Poi sono 470 pagine, potrebbe anche essere che siano arrivati a leggerlo solo ora. È il secondo libro più lungo della casa editrice e l’unico fantasy uscito nella collana principale. È divertente, tra l’altro, che per essere un fantasy non è che sia poi così lungo. Già è assai che sia solo un volume. Anche se pure il fantasy mi pare si stia arricchendo di forme più brevi e adatte ai tempi interessanti in cui viviamo. La Resa parte dal presupposto che l’epica dell’eterna lotta tra il Bene e il Male, in tutte le sue forme, sia accaduta davvero e sia stata portata avanti dalle due entità immortali protagoniste, l’Eroe e il Necromante, che a un certo punto si stancano di prendersi a botte e decidono di andare “in pensione” insieme, permettendo così al mondo di diventare quello che conosciamo. Il problema è che, vivendo in incognito in mezzo alla gente, la loro semplice presenza fa da catalizzatore per dei piccoli disastri. Il macrotema è come il concetto di eroe, inteso in senso contemporaneo (quello de L’eroe dai mille volti di Joseph Campbell per capirci), ci sia di ostacolo per mettere in pratica strutture sociopolitiche adatte al presente, passando poi per la deumanizzazione del prossimo citata sopra, la radicalizzazione politica (nel bene e nel male), e più in generale di come le narrazioni che costruiamo su determinate cose sono più influenti delle cose in sé, sia nel senso di post-verità giornalistica, che della razionalizzazione di eventi complessi di cui può essere capace un cervello progettato per masticare furtivamente bacche in una grotta.

Dall’alto, Bestemmia e il Necromante disegnati da Vargas.

GG: Partendo dal presupposto che tutto è politico, perché ogni cosa che diciamo o facciamo finisce per incidere su quanto ci circonda, il tuo è un libro profondamente politico e attuale, dove usi (più di) un genere letterario per raccontare una realtà esistenziale, tra razzismo sistemico, brutalità della polizia (tema che oggi risuona particolarmente nelle critiche a quell’accozzaglia di misure repressive e criminalizzanti che è il cosiddetto Decreto Sicurezza) e questioni di genere, per mandare un messaggio consapevole. In Italia però mi pare ci sia difficoltà a leggere come politici certi generi, che si tratti di letteratura oppure di cinema o fumetti. Questo nonostante si usino da sempre metafore e archetipi per dire altro, a partire dal folklore. Fatta eccezione per le cicliche strumentalizzazioni fasciste di J. R. R. Tolkien, paradossalmente il fantasy è poco presente nel dibattito letterario italiano, ma molto vivo tra ə lettorə. Per te La Resa come si inserisce in un contesto simile?

LV: Credo che la faccenda del dibattito sia un problema inerziale. Il luogo comune tende a dare la colpa a Benedetto Croce, ma credo sia stata più una situazione legata all’egemonia culturale di un determinato tipo di Sinistra del secondo dopoguerra. Poi tra anni Novanta e Duemila, sempre per ragioni di periferia dell’impero, la fantastica è tornata nel radar degli interessi economici (quindi del mainstream) e si è ricostruita lentamente una scena. Nel frattempo, la maggioranza del comparto culturale si è formata sulla vecchia egemonia mimetico-realista (o ciò che si spaccia per tale) e in questo vuoto di una cinquantina d’anni si è persa la capacità di fruire criticamente di determinati generi (su questo poi si innestano ragioni di classismo e autorità su cui non voglio dilungarmi perché sennò st’intervista non la legge nessuno, con buona pace del vostro slogan). Questo vuoto crea un paradosso: siccome sia leggere che scrivere fantastica non assicurava nessun capitale culturale, finiva per leggerla solo chi si divertiva a farlo e a scriverla solo quelli che appartenevano a profili o trattavano argomenti che il mainstream non era ancora riuscito a mercificare. Se ci fai caso varie figure professionali “nuove” legate al comparto vengono da un interesse personale e non da canali più strutturati come accade per il mainstream. Poi nel mezzo c’è anche la diffusione dell’ermeneutica pop che studia, che ne so, Buffy l’ammazzavampiri da un punto di vista sociologico. Ovviamente questo non vuol dire che dal secondo dopoguerra agli anni Novanta nessuno abbia scritto fantastica, anzi, solo che come tutte le cose lontane dai soldi la situazione si è tramutata un po’ in un far west, con risultati prevedibilmente diversi tra loro, tra cui l’unica appropriazione di Tolkien da parte della Nouvelle Droite che ancora ci rigurgitiamo da decenni perché il vintage francese va sempre un casino. In tutto questo La Resa non si inserisce da nessuna parte, non perché voglia fare il Maschio Sigma™, ma perché si tratta di un libro isolato (insieme a vari altri libri isolati) di un autore che non ha nessuna piattaforma o autorevolezza, in un discorso collettivo che sta ancora cercando di capire cosa fare di sé stesso. Non merita di essere definito letteratura fantastica militante, ma nemmeno è ancora il vecchio paradigma borghese/mainstream. È decostruzione. Dubito fortemente avrà un qualche impatto sulla scena italiana (che invece mi sembra si stia muovendo verso altre direzioni); per ora sta lì a fare massa critica.

GG: Come ricorda anche la seconda di copertina, nel libro assistiamo a una sorta di disastro annunciato: quando due entità vecchie quanto il mondo decidono che non vale la pena scannarsi all’infinito, non possono restare in disparte a lungo senza che qualcosa vada storto. Il rapporto tra l’Eroe e il Necromante è abbastanza bizzarro e complesso (del resto non c’è un solo personaggio che non risulti sfaccettato, e quindi credibile), e permette una riflessione interessante sull’uso degli archetipi fantasy – per esempio vediamo comparire i protagonisti soltanto in luoghi dove storicamente c’è traccia di archetipi simili. In particolare, qual è il ruolo del Necromante nella storia? E La Resa come si distanzia da L’eroe dai mille volti di Campbell?

LV: Semplificando in maniera deprimente (quasi quanto l’originale), Campbell ipotizza che siccome tutte le mitologie del mondo hanno elementi comuni, allora devono far capo a una storia primigenia, il fantomatico Monomito. Ovviamente si tratta, a voler essere clementi, di una puttanata straordinaria. Le mitologie analizzate da Campbell vengono smembrate e ricomposte per meglio accomodare i suoi bias e quelle che non possono essere piegate alla tesi vengono cancellate del tutto. Lo stesso presupposto di somiglianza dei vari apparati mitologici è letto in malafede, alla ricerca di una via di mezzo tra il Destino Manifesto e il Lebensraum nazista (che poi sono due confezioni per lo stesso gelato gusto sentina). È colonialismo talmente da manuale da far tenerezza. Nel frattempo, la sua teoria viene proseguita da altri e giustamente massacrata da altre ancora, ma il problema è che nel frattempo Campbell, già stimato accademico e divulgatore, diventa il riferimento teorico di George Lucas per la prima trilogia di Star Wars. Il Monomito passa dall’essere una teoria sugli archetipi alla peggior psy-op immaginabile in ambito capitalista: una storia di successo economico. Seguono cinquant’anni di proprietà intellettuali gestite con lo stampino.
La Resa è pensata come trasfigurazione fantastica delle conseguenze del Monomito. Il processo è più o meno quello della speculative fiction: cosa potrebbe succedere se L’eroe dai mille volti fosse vero? Innanzitutto, bisognerebbe fare i conti col fatto che il Monomito non è davvero universale e quindi può esistere solo dove Eroe e Necromante sono passati a vivere e (più o meno intenzionalmente) far danni. In questo scenario, il Necromante è per forza di cose centrale. È colpa sua se inizia il romanzo, se esiste l’Eroe (che non può che essere una figura di reazione), e finché il cetriolo delle conseguenze non lo raggiungerà nulla di questo potrà cambiare.

GG: Il libro è diviso in tre parti, con una trama che non si sviluppa solo a Montebasso, paesino immaginario delle Marche, ma anche negli Stati Uniti. Che ricerca hai svolto sui luoghi descritti? Inoltre, il Necromante e l’Eroe provengono da una Storia prima della Storia, un’ulteriore ambientazione dove la misteriosa entità del Vuoto svolge un ruolo altrettanto importante.

LV: Nelle Marche ci ho vissuto circa vent’anni, di cui dieci a Macerata, dove ho lasciato il cuore e il fegato. È bastato stare attenti. Gli USA invece sono uno di quei posti dove tutto sommato ci siamo stati anche senza andarci. L’Italia dal secondo dopoguerra è talmente pregna di immaginario statunitense che ci si potrebbe orientare per certe zone di New York senza esserci mai stati. E ovviamente ci perderemmo dopo tre secondi. Abbiamo solo storie degli Stati Uniti, come Montebasso è solo la storia di un paesino immaginario delle Marche Zozze (quelle da Macerata in giù), e altre storie di altri luoghi che ovviamente non ho mai visitato se non con lo street view di Google o leggendo articoli e testimonianze e ancora altre storie, perché non ho una lira a mio nome e viaggiare costa. Se tutto andrà bene questo libro attraverserà l’Atlantico e un newyorkese si potrà pronunciare sull’eventuale esotismo dell’ambientazione. A Macerata invece ancora non mi hanno menato, che è sempre una pratica cartina tornasole. Ovviamente la documentazione è avvenuta cercando di tenersi il più onesti possibile, che per esempio è uno dei motivi per cui la famiglia afrodiscendente della seconda parte del libro viene da uno specifico tipo di upper middle class progressista. Avevo a disposizione più fonti e nessuna intenzione di appropriare a gratis il dolore altrui.
La Storia prima della Storia invece sono varie Terre del Mito. Come nel romanzo il Monomito è reale, lo sono anche tutte le altre epiche. Per fare un esempio, l’Arda di Tolkien (e quindi il Kalevala finlandese) sarebbe la memoria collettiva di una vicenda talmente vecchia da essere quasi un trauma ancestrale. E questi traumi, che sono tutti piccoli omaggi mutuati da mitologie o opere di finzione, li ho sistemati quasi tutti lì.
Quanto al Vuoto che hai citato, oltre a essere una battuta veramente da due soldi sulla teologia negativa, che copre un’altra battuta veramente da due soldi sulla natura reazionaria del Monomito, è per sua natura un personaggio fuori dal tempo, dallo spazio e dalla storia. E poi non dico più niente sennò quest’intervista diventa una sinossi.

GG: Quali sono state la genesi di questo romanzo e le tue ispirazioni? Hai inserito citazioni squisite, che vanno dalla Bibbia a Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Tra parentesi, di recente anche su (Quasi) si è parlato delle scioccanti accuse di violenza sessuale e tratta di esseri umani rivolte a Neil Gaiman, che se non erro è tra ə autorə che hanno influenzato di più il tuo percorso…

LV: Gaiman è stato l’autore che mi ha fatto capire che poteva valere la pena iniziare a scrivere e La Resa fa parte di quello stesso filone mythpunk in cui si colloca la maggior parte delle sue opere. Non escludo che, se non mi fosse finita in mano in tempi utili quella copia di American Gods, probabilmente sarebbe toccato a qualcos’altro, o forse mi sarei salvato e ora avrei hobby più salubri per la mia condizione psichiatrica. Ma il senno di poi vale quanto una banconota da tre euro. Se non altro, mi spiego la trama di Books of Magic.
La Resa nasce perché a un certo punto durante le scuole elementari sono venuto a contatto con il concetto di Monomito/Viaggio dell’Eroe e deve essermi parsa già all’epoca una tale, inane stronzata da far nascere in me il desiderio di scriverne una confutazione per l’esame di stato. E questo me lo ricordo perché giustamente la maestra di italiano mi fissò basita e rispose con una versione pedagogica e nettamente più professionale di «ma dove cazzo vai che hai undici anni?». Di lì, un po’ perché il concetto di Eroe è rimasto letale e pervasivo e un po’ perché non sono assolutamente una persona rancorosa, credo di aver raccolto senza volerlo materiali, spunti e un insalubre interesse per le mitologie, finché non ho trovato un media e le parole giuste per mettere l’idea su carta.
Mi piacerebbe portare come influenza Terry Pratchett, ma come spesso accade alle cose da cui chiaramente ho preso spunto, l’ho letto dopo aver scritto il romanzo.
Vorrei una storia più normale, ma ho solo questa.

GG: A proposito del processo di scrittura ed editing: c’è qualcosa in particolare che è stato tagliato? Qual è il personaggio, o quali sono i personaggi che ti è piaciuto di più scrivere? Penso traspaia che ti diverti quando lo fai, ma qui l’umorismo e la lingua caricata servono ad alleggerire, a mettere distanza di fronte a eventi anche piuttosto truci, o è una questione di stile? E quanto pesa scrivere una storia del genere dal punto di vista emotivo?

LV: A parte quattro righe di background di un personaggio estremamente secondario, non è stato tagliato niente. Ironia della sorte, per ragioni di foliazione l’editore Giorgio Raffaelli mi ha poi chiesto di aggiungere un epilogo di un paio di pagine; quindi, anche quel suo giustificato tentativo di assottigliare il mattone è stato punito. Non ricordateglielo, è ancora un argomento doloroso.
Ormai è passato un po’ di tempo e i miei ricordi della stesura sono abbastanza nebulosi, non ricordo un personaggio che abbia preferito scrivere rispetto ad altri. Forse quel povero cristo di Bestemmia, una figura tragicissima con l’involontario superpotere di non apparire in nessuna delle domande o dei paratesti che circondano il romanzo. Talmente sfigato che la sua sventura tracima nella realtà. Poraccio.
Quanto all’impatto emotivo mi trovo un po’ in difficoltà. Ho un lungo curriculum di storie terribili dove muore male un sacco di gente, non tutte disponibili, e credo di aver sviluppato un certo distacco nei confronti della mia produzione. Distacco che vola beato dalla finestra quando leggo roba altrui, quindi ecco, qualcuna si vince e qualcuna si perde.
La questione del contenuto greve e dell’ironia nella voce credo siano solo un problema dell’uovo e della gallina. Si sviluppa un’armatura ironica per affrontare il dolore, che diventa uno strumento protettivo per esplorare meglio altro dolore, che diventa causa di altra ironia e così via.
Sono meccanismi di difesa immagino.

GG: Leggendo il libro non ho potuto fare a meno di pensare che si presterebbe molto a una trasposizione cinematografica o televisiva. Hai delle idee in merito, eventualmente anche per un seguito? Tra l’altro per la parte ambientata negli USA ti misuri col genere supereroistico, nuova epica contemporanea di cui non manchi di sottolineare le problematicità. Possiamo dire che la serialità è l’evoluzione delle saghe di dei ed eroi tramandate da migliaia di anni?

LV: Grazie a dio non c’è modo di fare seguiti. Al massimo qualche spin-off. Però non c’ho voglia. In origine, quando avevo scritto e pubblicato solo la prima parte, mi avevano fatto la stessa domanda e tempo quarantotto ore bestemmiavo perché mi era venuta l’idea per un seguito, che poi erano semplicemente le ultime trecento pagine. Ora questo bisogno non lo sento. Ciò non mi impedirà di infilare piccoli riferimenti nelle prossime opere, perché è un vizio che non sono mai riuscito a togliermi.
L’idea iniziale per il libro (quella razionale e ragionata, non i miei picci infantili) era in effetti un soggetto cinematografico, che però costerebbe quanto il PIL del Ghana e purtroppo di cognome non faccio Castellitto. Certo potrebbe arrivare negli Stati Uniti ed essere prodotto là, ma ho l’impressione che per una decina d’anni avranno altro a cui pensare.  
Il racconto supereroistico, specie quello post-Stan Lee, è erede di quello mitico molto più di quanto non lo sia il Monomito. Il problema è che si tratta di opere di ingegno che possono condividere al più il valore memetico e molto meno (spero) quello normativo che ha il testo mitologico. Altresì una cosa molto più vicina alla funzione del mito sono le cosiddette serie di copaganda, prodotti televisivi tipo Blue Bloods, sovvenzionati dalle stesse forze dell’ordine per riabilitarne l’immagine, i cui danni sono già alquanto visibili.

«There is no chosen one, no destiny, no fate
There’s no such thing as magic
There is no light at the end of this tunnel
So it’s a good thing we brought matches»

Da Matches, di Sifu Hotman

GG: Il messaggio che emerge dal romanzo è che alla fine dobbiamo salvarci da soli, che è importante reagire dal basso, insieme, alle ingiustizie e agli abusi di potere, perché nessuno combatterà al nostro posto. E in fondo non ne abbiamo bisogno, come ricorda la canzone Matches di Sifu Hotman in esergo. In parte mi sembra lo stesso concetto presente ne Il dominio del Leviatano, di Manish Melwani, uno dei racconti stranieri che hai curato per la collana 42Nodi di Zona 42. Parlaci un po’ di questo progetto e di cosa hai in cantiere.

LV: Vorrei dire che credo profondamente che l’unico modo di uscire vivi da questo capitalismo terminale sia il recupero di meccanismi socialisti/comunitari, ma fortunatamente non ho bisogno di crederlo. C’è un’interminabile casistica di conquiste della razza umana che passano da gruppi marginalizzati che si organizzano per resistere, se necessario con la violenza, all’oppressore di turno, lo scontro raggiunge un punto critico e l’oppressore fa finta che il progresso fosse un’idea sua.
Quello che sto cercando di selezionare con la mia curatela dei Nodi sono storie che si rifacciano a questi immaginari di lotta fertile. Perché senza di esse poi si finisce a credere a tutti quegli arguti intellettuali che pensano di avere i fascisti cattivi nelle istituzioni perché il popolo bue è stato troppo sciocco per farsi guidare dalle loro sapienti mani.
Poi ovviamente non sto selezionando (solo) la piccola biblioteca della lotta armata. Una lenta marea oscura (Adam Nevill) parla di disastro climatico usando l’immaginario lovecraftiano; Mycelium (Dominica Phetteplace) fa decostruzione sulla Spada nella Roccia per raccontare un cambio di regime; Racconti di viaggiatori dal confine dei mondi (Vandana Singh) si muove tra il fantastico e il solarpunk. Delle uscite non annunciate non credo di poter dire nulla, perché Raffaelli è sempre molto misterioso con il calendario e ho paura che mi mandi dei sicari.
Il senso è trovare racconti con un’ottima voce, che affrontino il nostro presente a più livelli possibili, sfruttando il potere della letteratura fantastica di fissare strutture e mitologie nel nostro immaginario. Buona letteratura insomma. Di più non credo si possa fare.


Lorenzo Vargas è autore di narrativa, giochi di ruolo, editor un po’ ovunque e redattore della rivista “Malgrado le Mosche”. Ha pubblicato tre romanzi, più una serie di racconti in antologie e riviste letterarie come “La Nuova Verdǝ”, “retabloid”, “Micorrize” e “Inquieto”. Ha curato l’antologia Cloris: storie per i tarocchi, Volume 1 e 2, per Pidgin Edizioni. Cura i titoli stranieri della collana 42Nodi per Zona 42.
È co-creatore di UNIT, un GdR carta e penna che gli vale la perplessità, ma soprattutto compassione, di molti dei suoi colleghi, e cantante da karaoke e cuoco che se non è bravo almeno si impegna.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)