Playlist: Non qui non ora / Mutamenti

Quasi | If I Can't Dance, It's Not My Revolution |

#1

Non affanniamoci: in futuro saremo tutti grandi stelle, come quelle dell’Orsa Maggiore. [LL]

#2

Inverno del 2005. Entro in un negozio di dischi usati e compro un live acustico di Mercedes Sosa. A casa estraggo il booklet e scopro che è firmato dalla cantante e dedicato a una ragazza. Tutto gongolante lo infilo in auto durante un viaggio con un caro amico argentino. Cerco di vantarmi, scatenandogli stupore. Lui mi guarda e, con il suo insopportabile accento porteno, mi sibila: «Hai gli stessi gusti musicali dei miei genitori». Quel disco non riesco più ad ascoltarlo. Questa canzone mi piace ancora. [PI]

#3

Un pezzo che non sarebbe sicuramente piaciuto ai suoi genitori e che parla di cambiamento è questo. Levo il dito medio in onore di 2Pac. [PI]

#4

Poi mi montano anche le pulsioni al gioco di parole scemo e insensato. Mutamenti. Al liceo c’era questo compagno di classe con un viso stranissimo. Aveva un mento così sfuggente che per disegnarlo dovevi tracciare una linea retta dal labbro inferiore alla giuntura delle clavicole. L’ho incontrato anni dopo ed era un bell’uomo con una barba lunga e folta. Il migliore tra i muta-menti. [PI]

#5

I Pixies sono fuori dal mondo, quello da cui sono emersi cambiando per sempre la musica rock degli anni Ottanta. Basta assoloni di mostri della chitarra: i Pixies sono sempre stati idee, idee, idee una dopo l’altra. Anche quando Francis meglio conosciuto come Franck ha intrapreso una carriera solista, la sua musica è stata anarchica e stupefacente, specie in un disco in cui i pezzi sono novemila e durano tutti 3 minuti al massimo. In tutto quello che ha fatto da solista c’è una canzone, una vera canzone, che io ho adorato da subito, in cui – nella sua solita scrittura al limite del surreale – dichiara che vorrebbe vivere in un mondo astratto. Proprio nel senso dell’arte astratta. «Ne ho abbastanza di questa città, non mai visto quei cieli che cambiano, non ho mai vista il suolo o il sole sorgere: voglio vivere in un piano astratto […], potrei sedermi sul tetto di quella casa astratta, con una vista astratta, un topo astratto, voglio vivere su un piano astratto».
Quindi, se il mondo ci soffoca, possiamo rifugiarci in un Picasso o in un Mirò. Che sarebbe un bel mutamento. [AS]

#6

«Suonava come la verità / Ma non è la verità oggi». Cambia un po’ tutto, ma anche niente, quello che la gente sembra voler sapere come reale è che non è cambiato niente e che gli amici di scuola, del bar sport, del golf club, anche se sono trascorsi i decenni, sono sempre loro. Una bella, confortante immutabilità. Poi arriva qualcuno, alle soglie della fine, ma non ancora di là, che ti dice che quello che sembrava vero e migliore allora, oggi non lo è più. Ma non è la ritrattazione del vinto, ci vuole del coraggio per dichiarare obsoleta e decaduta una verità che sembrava tanto buona… [LC]

#7

Da Hanky Panky, l’album in cui Matt Johnson pensava solo a Hank Williams, un pezzo dove il cambiamento è tutto per il meglio, perché vedi la luce, accogli il dio jr., ti accoglie lui, il padre e tutto il cucuzzaro e va tutto a meraviglia. Sì, come no, Williams l’ispirazione per il pezzo la trova durante il ritorno da un concerto, sua madre al volante, lui ubriaco da strizzare sul sedile posteriore. In vista di Montgomery, Alabama, la madre annuncia di aver visto le luci della città. Williams non arrivò a trent’anni. Secondo Menandro muore giovane chi è caro agli dei – sarà stato questo il caso? [LC]

#8

La lamentazione dell’io intrappolato, fisicamente e moralmente, quando se ne rende conto. Il mutamento è nella realizzazione, crudo, accorato, soffocante e dà luogo a un Lied sofferto che chiama, non si sa con quali chance di successo, alla liberazione dalle barriere fisiche che il corpo materiale oppone (ad aspirazioni non ben specificate, va detto). Si presentano contraddizioni che appaiono irrisolvibili, enigmatiche: il corpo come ostacolo alla danza con la persona amata. Che sia incorporea? La sensazione complessiva è di eterea instabilità – e che la società sia un luogo di soppressioni e fantasmi. La mente possiede la chiave (ma non sappiamo se è in grado di usarla…) [LC]

#9

Sì, va bene, i Tool conoscono un solo accordo – il Re minore – però vienimi a dire che dentro quello spazio apparentemente limitato non possono viverci quasi infiniti mondi paralleli, un po’ alternativi e un po’ no… Qui un ensemble di ottoni si imbarca nell’impresa, preventivamente etichettabile come oggettivamente folle, di fare una cover della combo dei Tool Parabol + Parabola. Versione breve: ci riesce – la cambia, in parte sì, in parte molto, ma la preserva e la rispetta e quando è finita, come nell’originale, il corpo non è più una prigione ma un veicolo che porta e contiene l’io nell’esperienza frammentaria e cosmica dell’esistenza. Possiamo consolarci (almeno al pensiero del cosmo – di altro, non so). [LC]

#10/11

La filastrocca in questione è antica, ma attraversa i tempi e gli spazi, e si rinnova di volta in volta e di cultura in cultura. È una conta, dove, a seconda delle latitudini, mutano i soggetti legati ai numeri. L’unica costante pare essere la morte che alla fine conclude sempre la serie. In Europa é diffusissima, sopratutto in epoca medievale. Dario Fo e il Nuovo Canzoniere Italiano ne hanno portato fino a noi una versione piemontese, Le dodici parole della verità, nello spettacolo Ci ragiono e canto. Pochi anni dopo, Angelo Branduardi ne ha tradotto una versione anglosassone, La serie dei numeri. [FP]

#12

Lo sciamano è un mutaforma, sa diventare le cose del mondo, la natura intorno a lui. Il dialetto, anche se ormai é prossimo alla scomparsa, é la lingua che meglio si adatta al raccogliere i cambiamenti intorno e a introiettarli. Questo, almeno, finché la vita é collegata alla natura. Qualcuno su YouTube ha accostato questo pezzo di Davide Van De Sfroos al Mago Merlino della Spada nella roccia, dove la battaglia a suon di trasformazioni fra lui e Maga Magò è davvero un inno alla magia simpatica. [FP] 

#13

Da anni Vinicio Capossela sembra fuori dalla contemporaneità. Ha un folto gruppo di fedelissimi che lo segue e venera a mo’ di profeta, e lui porta avanti la sua ricerca nella musica tradizionale e nei testi più o meno antichi. Sono almeno quindici anni che non fa un pezzo che mi piaccia o mi colpisca in qualche modo. Poi, pochi mesi prima dell’esplosione della pandemia, butta fuori La peste. E in piena emergenza sanitaria propone un remix del brano insieme a Young Signorino. [FP]

#14

Enzo Jannacci aveva ben chiara la faccenda dei cambiamenti. Bisogna dirlo prima. [FP]

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