Rick’s story è l’ultimo arco narrativo raccolto in un singolo volume, dato che i quattro libri restanti compongono due cicli di due libri ciascuno. In realtà, sebbene non sia dichiarato dall’autore, anche questo arco narrativo si potrebbe considerare la seconda parte del “dittico della taverna”, dove l’ambientazione del bar è essenziale e si collega a un periodo della vita di Dave Sim, in cui per dieci anni era andato a bere nello stesso bar in modo decisamente non contenuto. Rick’s story quindi continua dal cliffhanger con cui si era concluso Guys: sebbene irriconoscibile, il misterioso visitatore della taverna si rivela essere l’ex-marito di Jaka e, in maniera speculare a quello che accadeva in Jaka’s story, come dichiarato dal titolo, quasi tutta la vicenda viene vista attraverso i suoi occhi e, soprattutto, il suo punto di vista.
Continuando il taglio autobiografico indiretto, è il libro in cui compare per la prima volta in maniera esplicita la svolta religiosa dell’autore: questo elemento si concretizza in una serie di illustrazioni, in cui i personaggi sono disegnati all’interno di vetrate di chiese oppure ne viene data una rappresentazione “angelicata” (Rick) o demoniaca (Cerebus), e nel titolare della storia, che scrive un libro sul suo rapporto con Cerebus, utilizzando un registro stilistico simile a quello della Bibbia, sia come tono che come grafia delle parole.
Tutta la storia ha un sottotesto allucinatorio, continuando quindi il taglio espressionistico già presente in Guys, soprattutto attraverso la comprensione dei personaggi di quello che accade attorno a loro e di come interagiscono con il mondo in cui sono inseriti. Questa diversità di percezione è resa in due modi. Il primo è una “tecnica grafica” che l’autore usa da almeno un paio di libri, e cioè l’inserimento di una vignetta più piccola senza contorni all’interno di una vignetta più grande. Qui, per esempio, viene usata spesso per rappresentare come Rick veda inizialmente Cerebus: il personaggio ha un aspetto normale mentre una parte del volto, in cui presenta delle fattezze demoniache, è “incastonata” in una vignetta più piccola.
L’altro metodo riguarda la parte narrativa: in questo caso, il testo che utilizza il già citato stile biblico racconta nuovamente parte degli eventi già rappresentati dal fumetto nelle pagine precedenti. In questo modo, si contrappone l’“oggettività” della parte a fumetti all’espressionismo, sottolineato dallo stile di scrittura, che accentua l’estasi religiosa che fornisce il filtro interpretativo del mondo. Da notare, che anche Alan Moore ha recentemente utilizzato una tecnica analoga nel suo Providence: il narratore, quando descrive nel suo diario gli eventi sviluppati nella parte a fumetti, ne fornisce una versione distorta risultando, di conseguenza, inaffidabile.
I due approcci servono a rappresentare il punto di vista di Rick, che incarna la “moralità” della storia sia come maschio (agisce in modo trasparente e limpido), ma anche nei confronti delle donne (stranamente ne ha una visione piuttosto positiva ma, nella sua eccessiva idealizzazione, risulta poco convincente).
Il leitmotiv meta-fumettistico iniziato in Minds con la voce (“divina”) di Dave trova una sua conclusione con l’incontro in “carta e inchiostro” tra Cerebus e il suo creatore (che ha il volto di Dave Sim, ovviamente). Per un momento sembra che il fumetto possa superare ulteriormente questo aspetto meta-narrativo arrivando a far leggere al proprio personaggio il proprio destino (Dave se ne va dimenticando un pacco che potrebbe contenere delle tavole a fumetti), ma in realtà si gioca sulle aspettative del personaggio (e del lettore): nel plico che Cerebus apre con circospezione, temendo quello che potrebbe scoprire, c’è solo la bambola di Jaka. Questo colpo di scena apre la strada a un ulteriore elemento quasi “fiabesco”: a sorpresa, compare Jaka e, dopo un tentennamento da parte dell’oritteropo perché vorrebbe continuare la vita di prima, dato che Bear e un amico sono ricomparsi, Cerebus se ne va via con Jaka, abbandonando tutto.
Questa conclusione potrebbe rappresentare una sorta di lieto fine per la serie (“E alla fine vissero felici e contenti…”), ma sappiamo che non è così: mancano ancora sessantanove albi in cui la vita di Cerebus, che sembra avere finalmente preso una strada positiva, non potrà fare altro che concludersi su una nota negativa.
C’è infine un’ultima annotazione da fare, e riguarda la costante opera di demistificazione che Sim opera sull’ambientazione (e a cui ho accennato solo in modo indiretto) della storia: già intravisto di sfuggita in precedenza, l’utilizzo di abiti contemporanei da parte di alcuni personaggi (tra cui lo stesso Rick e Cerebus) è un forte elemento incongruente . È il segnale definitivo che questa serie, inizialmente concepita con un’ambientazione fantasy, ha perso completamente il suo scopo iniziale e si è lentamente trasformata in qualcosa di diverso: non è più un mezzo per raccontare ma per esprimersi e parlare, fondamentalmente, di sé.
Ha accumulato diversi sostantivi a cui può aggiungere il prefisso “ex” (fanzinaro, correttore di bozze, redattore, editore, letterista-impaginatore sotto pseudonimo, articolista…), mentre continua ancora, sporadicamente e per passione, a tradurre libri a fumetti.