Inforco la bici e vado al parco. Dieci minuti di strada.
Vivo in una città di provincia, una delle città a misura d’uomo sparsa nella pianura padana.
Tutto è raggiungibile pedalando. Che sia questa il metro migliore per misurare le distanze in un nucleo abitativo?
Ripensare i centri abitati in modo che tutto sia accessibile e raggiungibile, camminando, in una dimensione in cui i contatti umani non si perdono?
Non posso scrivere di quale sia il giusto standard nel mondo. Non ne ho la conoscenza, ma le problematiche e le realtà all’interno della vecchia Europa non sono molto dissimili fra loro.
Anche la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ha promesso ai suoi cittadini la “15-minute city”, una città in cui quasi tutto sia raggiungibile in quindici minuti.
Viviamo cementati nell’asfalto, confinati in tanti in quartieri dormitorio, in un territorio incastonato tra antichi splendori architettonici da salvaguardare e manutenere e immersi in una natura così diversificata e spettacolare da rendere complesso ogni passo, modifica o ampliamento.
Abbiamo problemi di densità, trasporti e inquinamento, siamo quindi chiamati a una sfida difficile: rigenerare con uno sviluppo sostenibile il territorio e ridisegnarne l’aspetto urbano. Un’esigenza evidenziata e accelerata in tempi di Covid 19.
In Europa, ci sono 180 milioni di abitanti più che in Nord America e 130 milioni meno che in Africa. Stipati in un continente che ha un’estensione pari a un terzo di quella dell’Africa e una densità inferiore solo a quella dell’Asia.
Le città occupano il 3% della superficie terrestre e ospitano il 55% della popolazione globale, producendo il 60% dell’ inquinamento.
L’urgenza è evidente.
Il 16 settembre 2019, l’Unione europea ha delineato le sue politiche sulla rigenerazione urbana.
Oltre un terzo delle risorse previste dal Next Generation EU, il piano europeo per la rinascita dal Covid-19, è destinato a programmi di tutela del clima e alla rigenerazione, urbana e industriale.
La rigenerazione urbana europea è iniziata nel 2007 con l’approvazione del Leipzig Charter, un piano per lo sviluppo sostenibile dei centri urbani. È proseguita poi con la Dichiarazione di Toledo del 2010. A quella è seguita l’Agenda Territoriale, nel 2011, e quindi il Patto di Amsterdam del 2016, in cui viene fissato l’obiettivo di ricostruire ogni anno il 2% degli edifici cittadini del continente.
Come devono essere modificate le nostre città?
Qual e la dimensione urbanistica che aiuta lo sviluppo delle relazioni umane, offre adeguati servizi e crea opportunità lavorative ?
Qual e la misura della cellula abitativa adeguata a ogni nucleo abitativo?
Qual e lo spazio minimo da riservare a ogni persona, oggi?
Quando progetto, mi occupo prevalentemente di interni e ristrutturazioni. Intervisto il mio cliente e, attraverso il racconto della sua vita quotidiana, comprendo come vive i suoi spazi, per quanto tempo li sfrutta, come li usa. Ascolto le sue esigenze, interpreto i desideri sottesi e sviluppo.
Penso che non ci sia un altro modo per progettare spazi: raccogli dati, analizzi, focalizzi gli scopi che devi raggiungere e fai.
La parola chiave di ogni cambiamento è fare. Agire. Subito.
Questi ultimi due anni hanno chiarito a tutti quanto sia importante un buono spazio vitale.
Qual è il minimo vitale a cui aspirare oggi in Europa?
Primo dato. Le famiglie oggi, in Europa, sono per un terzo monocomposte. In Italia sono passate, in vent’anni. dal 21,5%, nel 1998, al 33%, nel 2018, e risultano in costante aumento, per molteplici motivi: separazioni, allungamento della vita, scelte alternative, ecc…
Siamo in 8 miliardi, sulla terra. Eravamo 7 miliardi solo 11 anni fa e le proiezioni indicano che saremo 10 miliardi nel 2050.
Il futuro è destinato a nuclei familiari più piccoli e più mobili e il futuro delle abitazioni a spazi più ridotti.
I dati degli studi attestano bisogni a tre livelli: dai 35 ai 50 mq per un single; dai 50 agli 80 mq per una coppia; circa 100 mq per una famiglia con un figlio.
Questi ultimi due anni hanno modificato le nostre vite e le nostre abitudini. Abbiamo toccato con mano il bisogno di privacy negli spazi domestici, la necessità di zone giorno multifunzionali, il bisogno di uno spazio all’aperto, e abbiamo conosciuto le facilitazioni attuabili, portate dall’uso di internet e di strumenti domotici di base. Sappiamo che dovremo ridurre il consumo del gas, usare acqua ed energia con criterio, acquisendo la consapevolezza che la riduzione dei consumi passa anche attraverso un sottodimensionamento delle abitazioni.
L’Europa ha destinato all’Italia, in quote inferiori solo a quelle riservate alla Polonia, le risorse economiche dell’European Regional Development Fund e quelle dell’Urban Innovative Actions. Si tratta di fondi europei disposti per affrontare le principali sfide urbane.
L’impegno europeo nasce dalla consapevolezza che le città sono poli accentratori di persone, ma anche hub produttivi destinati a diventare la spinta della ripresa economica.
Nei dati dell’OCSE, organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, si legge che nei prossimi dieci anni, 500 città al mondo supereranno il limite del milione di abitanti e saranno 41 le megacity con una popolazione di oltre 20 milioni di abitanti. Nel 2050, il 70% della popolazione globale – sette miliardi di abitanti – vivrà all’interno delle aree urbane.
Alla luce di questa inevitabile trasformazione le città devono essere ridisegnate con uno sviluppo sostenibile che analizzi tutti gli ambiti della vita cittadina: le infrastrutture, gli edifici, la mobilità, il verde, le scuole, gli ospedali, le strutture per la cultura e lo sport. Al contempo, sarà necessario preservare i nostri centri storici, pilastri importanti della nostra cultura, per riorganizzare un modello di vita e di convivenza nei centri abitati.
Sono una donna del secolo scorso. Appartengo alla generazione che ha inquinato il mondo, prosciugato le risorse, inventato la plastica, sciupato la carta, costruito a macchia d’olio senza una pianificazione seria pur avendo vissuto le contestazioni studentesche, i movimenti dei diritti civili e la rivoluzione culturale in Cina.
Una generazione che ha prodotto un sistema di continue contraddizioni, incapace di tenere in debita considerazione il fatto che la comunità siamo noi: quando sbagliamo stiamo facendo male a noi stessi.
La mia generazione si è dimenticata i propri doveri verso se stessa e la futura umanità.
Non sa cosa ci fa qua. Dei fumetti era appassionata in passato. Curiosa e iperattiva vorrebbe vedere e vivere tutto: è una perenne dilettante di nuove passioni. Da sempre respira il mondo dell’interior design che è diventato parte della sua vita e del suo lavoro: ristruttura spazi collettivi e privati, progetta interni, disegna mobili e complementi d’arredo unici, ogni tanto anche in giro per il mondo. Vive di quello che le piace fare. Progetti futuri? Non fare progetti.