Nella notte tra il 13 e il 14 maggio è morto Matteo Guarnaccia. L’h conosciuto pochissimo, ma me lo ricordo gentilissimo, sorridente e disponibile. Tiziana, la moglie di Matteo, comunicando la scomparsa dell’uomo che amava, ha pubblicato una foto che lo mostra proprio così: gentilissimo, sorridente, disponibile.
Era un intelligente che sapeva raccontare. Ha costruito per tutta la vita degli ufo editoriali che continuano a stupirmi.
Non ho altro modo per ricordarlo che pubblicare qui un articolo uscito nel 2017 su ’77 anno cannibale: Storie e Fumetti da un anno di svolta, curato e pubblicato dal Comicon di Napoli.
Leggo fumetti e sono abituato a violare la freccia del tempo. Indifferente al flusso dal passato al futuro entro cui ciascuno di noi si muove nello spazio, mi concentro su un’immagine e la leggo in relazione a tutte le altre immagini disposte sulla stessa pagina.
Un tempo e un luogo, il 1977 a Milano. Raccontarli richiede arbitri forti: immagini ferme e indimenticabili e numeri inconfutabili.
Ci prova Mario Calabresi, oggi direttore del quotidiano “Repubblica”, in un passaggio di Spingendo la notte più in là: storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo (Mondadori 2007):
«Il 14 maggio 1977, in via De Amicis a Milano, un ragazzo con passamontagna, jeans a zampa e stivaletti, tende le braccia in posizione di tiro, impugna una pistola. La foto fa il giro del mondo. Umberto Eco solo una settimana dopo scrive: tenete a mente questa immagine, diventerà esemplare del nostro secolo. È l’emblema dello scontro che incendia l’Italia, lo scatto simbolo del Settantasette, di una “generazione perduta” nella violenza, di un anno che vedrà 42 omicidi e 2128 attentati politici.»
La scelta dell’immagine è semplice, quasi scontata. Si tratta della foto scattata da Paolo Pedrizzetti a Giuseppe Memeo e alla sua P38 durante lo scontro a fuoco tra poliziotti e PAC (Proletari Armati per il Comunismo), che porta alla tragica morte dell’agente della celere Antonio Custra. Una foto che sarà studiata negli anni a venire, fin dalle analisi a caldo di Eco che legge in quell’immagine le stigmate della follia della lotta armata e i sintomi di un distacco che si tradurrà presto nell’“isolamento dei pitrentottisti”.
E poi ci sono i numeri: freddi, asettici e abnormi, compendiano l’immagine e raccontano una stagione che pare esaurirsi in un quadro di violenza fuori controllo.
Il montaggio narrativo di Calabresi è spaventoso, ma non dice tutto. Per esempio, quei numeri possono essere integrati con un altro insieme di indicatori, forse ancora più spaventosi, che viene riferito da Nanni Balestrini e Primo Moroni in L’orda d’oro: 1968-1977 – La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale (Feltrinelli 1997), libro che rifiuta la versione “ufficiale” che «definisce il ’68 come buono e il ’77 come cattivo»:
«E lo scontro [tra il movimento operaio storico e i giovani del movimento del ‘77] fu inevitabile, e fu duro. Così, nel ’77, divampò la generalizzazione quotidiana di un conflitto politico e culturale che si ramificò in tutti i luoghi del sociale, esemplificando lo scontro che percorse tutti gli anni settanta, uno scontro duro, forse il più duro, tra le classi e dentro la classe, che si sia mai verificato dall’unità d’Italia. Quarantamila denunciati, quindicimila arrestati, quattromila condannati a migliaia di anni di galera, e poi morti e feriti, a centinaia, da entrambe le parti.»
Quando i numeri crescono in questo modo, la loro analisi perde rilevanza: diventa difficile raccapezzarsi. Per capire quella singola immagine, noi lettori di fumetti dobbiamo spostare la nostra attenzione alle figure che la precedono e a quelle che vengono dopo. Dobbiamo assaporare l’ampiezza di un fenomeno non può essere detto dall’istante, esemplare e mostruoso, catturato dallo scatto di Pedrizzetti, dagli eventi tragici del 14 maggio, dall’intera durata dell’anno.
Raccontare la Storia, ci dice Carlo Ginzburg, significa soprattutto raccontare una storia ed è proprio il racconto a imporre la scelta di elementi nodali da inanellare.
Un anno ha sempre a che fare con le rivoluzioni. La sua durata è determinata dal tempo impiegato dal pianeta che abitiamo a ruotare attorno al sole. Per scandirlo, usiamo orologi e calendari.
Quando parliamo di storie, invece, gli anni hanno durate determinate dagli eventi, dai luoghi, dai protagonisti e dalle relazioni tra questi.
Un anno può iniziare con il brindisi e i botti, oppure in silenzio un po’ prima o un po’ dopo; a volte non inizia mai e passa senza lasciare traccia.
Il 1977 a Milano ha un periodo di incubazione durato almeno un paio di anni. I punti d’innesco sono molti: ne scelgo alcuni, concedendomi arbitrii e affidandomi alla mera sequenzialità cronologica degli eventi.
Il 10 marzo 1975 nasce Radio Milano International, la prima radio privata italiana. Si rivolge a un pubblico di giovani sempre più vasto e visibile. Hanno una capacità di spesa per beni effimeri e voluttuari che non è stata conosciuta da alcuna generazione precedente e, da pochissimi giorni, godono dei privilegi dati loro dall’abbassamento della maggiore età da 21 a 18 anni.
Il 18 ottobre 1975, nella periferia nordest della città, un gruppo di giovani aderenti ai collettivi antifascisti di zona e ai movimenti della sinistra extraparlamentare occupa un piccolo edificio di via Mancinelli abbandonato da anni. Accanto a quell’edificio c’è un magazzino, anch’esso vuoto, che offre spazi ampissimi (3.600 metri quadri). In quell’area, cui si può accedere da via Leoncavallo, nasce il più importante centro sociale occupato e autogestito dell’intero paese.
Il 18 gennaio 1976, in un appartamento in via Maderno, nel quartiere Ticinese, viene arrestato Renato Curcio, quello che Fabrizio De André chiama “il carbonaro” nella Domenica delle salme e che, più semplicemente, è il fondatore delle Brigate Rosse, gente che con la P38 ha grande confidenza e disinvoltura.
Tra il 26 e il 29 giugno 1976, nel parco Lambro si tiene il sesto Re Nudo Pop Festival. L’organizzazione promette «balli e sballi, massaggi, discussioni, mostre e comunicazioni fisiche e mentali alternative ecc.». Il festival sarà un disastro e il riassunto degli eventi fatto dal fumettista Filippo Scòzzari nel suo memoriale Prima pagare poi ricordare: Da Cannibale a Frigidaire, storia di un manipolo di ragazzi geniali (Castelvecchi 1997) è impietoso:
«Sprangate tra gruppi. Espropri nei supermercati vicini. Polizia. Lacrimogeni. La barba nera di Gigi Noia, kapetto del servizio d’ordine. Eroina. Furti tra compagni. Dibattiti assurdi su chi ha i soldi e chi no, e su perché li ha o non li ha, e di chi è la colpa. Scazzi sui prezzi dei panini. Musica pietosa, tammurriate di gruppi impegnati napoletani, altro che Doors. Fu assalito un camion frigorifero della Motta pieno di polli, lasciati poi nei fossi e alle mosche perché troppo congelati. Caccia al frocio. Caccia allo spacciatore. Caccia alle donne che andavano a pisciare e a cagare, seguite di nascosto. Sulla collinetta di fronte alle buche delle latrine si riunirono in cinquecento a urlare “Vogliamo la figa”.»
Sul palco del festival di Re Nudo c’è anche il cantautore (e poi romanziere e fumettista) Gianfranco Manfredi che, a un anno di distanza, racconta quei giorni nella canzone Un tranquillo festival pop di paura, regalandoci in sei minuti il senso di quel momento e, se proprio ci piace l’idea di un’immagine forte, del 1977 tutto: «E vuoi vedere in faccia / il proletariato giovanile / perché è lui l’invitato / che doveva venire / ma senti già nell’aria / una strana vibrazione / che nasce dai feticci / vestiti da persone».
Il 10 luglio 1976 dagli impianti dell’industria ICMESA, tra Meda e Seveso, fuoriesce per molti giorni una nube tossica di diossina che inquina una vasta zona circostante.
Il 1977, l’anno vero, quello qualificato dagli inaffidabili confini tracciati dal calendario, si srotola noiosamente tra il primo gennaio e il 31 dicembre.
L’anno si apre con l’ultima trasmissione di Carosello, l’inserto narrativo e pubblicitario che per anni ha segnato l’inizio della notte. Dal primo gennaio 1977 i bambini non devono più andare a letto dopo Carosello e possono godersi le trasmissioni finalmente a colori della RAI e delle reti private locali come TVS, Antenna 3 Lombardia e Teleradio Milano 2, di cui il “Radiocorriere Tv”, settimanale RAI venduto in edicola fino al 2008, pubblica i programmi.
Il 14 aprile Eugenio Cefis si dimette dalla carica di presidente di Montedison. Cefis, succeduto a Enrico Mattei in ENI dopo il tragico incidente aereo avvenuto a Bescapè il 27 ottobre 1962, è Aldo Troya in Petrolio di Pier Paolo Pasolini, individuo «dal sorriso colpevole» e «capace di tutto», cui viene attribuita la responsabilità della «soppressione del suo predecessore» e il coinvolgimento nella stagione delle stragi. Petrolio è stato pubblicato solo nel 1992, frammentario, incompleto e postumo, in seguito alla morte del suo autore: ci sono sospetti (estremamente suggestivi se non proprio fondati) che il mandante dell’omicidio di Pasolini sia il medesimo di quello di Mattei.
Il 14 maggio è il giorno dello scatto fotografico di Paolo Pedrizzetti.
La mattina del 2 giugno, Indro Montanelli viene gambizzato in via Manin dalle Brigate Rosse mentre sta raggiungendo la redazione del “Giornale”, quotidiano che ha fondato e dirige. I principali giornali italiani strillano il nome del giornalista nel titolo di prima pagina dell’edizione successiva. Tutti tranne “Il Corriere della Sera” per cui Montanelli ha lavorato a lungo e che, dopo conflitti e polemiche, ha abbandonato per fondare la propria testata: piccole cortesie editoriali.
Il 29 ottobre 1977 c’è la festa inaugurale del Macondo, locale fondato, tra gli altri, da Mauro Rostagno. I 200 biglietti di invito vengono lasciati nella libreria Milano Libri, quella in cui nel 1965 è nato “Linus”, il mensile che ha cambiato la nostra idea di fumetto. Per la festa arrivano in tantissimi e si riversano nei mille metri quadri della vecchia fabbrica rimessa a nuovo in via Castelfidardo. Un’esperienza che in molti ricordano come meravigliosa e che si interrompe, dopo appena quattro mesi, con una retata della polizia che rinviene 30 grammi di hashish: il locale chiude, ma ormai siamo nel 1978.
Ed effettivamente, nonostante i botti e i brindisi che festeggiano l’anno nuovo, il 1977 continua ancora per un po’.
Il 18 marzo 1979 Fausto Tinelli e Lorenzo Jannucci, due diciottenni che gravitano attorno al centro sociale Leoncavallo, sono uccisi in via Mancinelli con otto colpi di pistola da tre uomini. I due stanno conducendo un’inchiesta sullo spaccio di eroina nel quartiere.
Il 31 marzo 1979, nella darsena di Porta Ticinese entra l’ultimo barcone: da quel momento il porto viene chiuso.
Il 16 settembre 1979 muore a Milano l’architetto Gio Ponti.
Il 29 dicembre 1979 Carlo Maria Martini è il nuovo arcivescovo di Milano.
Il 27 giugno 1980 è un giorno di festa: Bob Marley e i Wailers suonano a San Siro di fronte a 100.000 persone.
Il 30 settembre 1980 è il giorno d’inizio delle trasmissioni di Canale 5 di Silvio Berlusconi. Tutt’intorno ci sono 872 emittenti private gestite in regime di totale artigianato: Berlusconi ha maturato competenze e professionalità in un contesto editoriale che sembra essere stato costruito per avvantaggiarlo. Inizia un’epoca nuova e il 1977 a Milano è davvero finito.
Nel 1977 Matteo Guarnaccia ha ventidue anni e si muove da tempo tra le culture underground e le strade del mondo. Tra il 1970 e il 1975 ha realizzato uno strano progetto all’incrocio tra arte riproducibile, DIY e situazionismo. Si chiama “Insekten Sekte” ed è una serie di manifesti tirati in eliografia in un numero di copie difficilmente quantificabile. A questo giornale murale nomade – prodotto, come ricorda l’autore, «tra Milano, Montedomenico (GE), Roma, le Alpi austriache, Kabul, Katmandu, Amsterdam e Goa» – partecipa chiunque passi in prossimità delle superfici su cui Guarnaccia disegna («tavolino di bar o assi da cantiere, scatoloni o mobilio di recupero»). Nel 1977 Guarnaccia, milanese di origini siciliane, è la persona giusta al posto giusto. Vive in una città in cui gli scontri in piazza sono all’ordine del giorno, mescola alto e basso nelle letture e nel disegno, ha viaggiato abbastanza da non correre il rischio del provincialismo e, nonostante l’età, diffida del più insidioso tra i motti di quei giorni: non fidarti di chi ha più di trent’anni. C’è chi ha preso dannatamente sul serio quella sentenza e la microsegmentazione che caratterizza la scomposizione ideologica di quei giorni trova un contrappunto in un’accurata suddivisione anagrafica: i quindicenni non si fidano della tracotanza dei diciottenni, che guardano con sospetto gli ormai sclerotizzati ventenni, che storcono il naso di fronte al pensiero bolso dei venticinquenni, che mostrano disappunto per i troppi compromessi dei trentenni ormai stracotti.
Da tempo Guarnaccia si stupisce di fronte ai cerchi concentrici delle onde del comix underground nordamericano. Quella forma di fumetto si è dovuta confrontare con un mercato bonificato, a partire dal 1954, dalla presenza del comics code, il codice censorio che l’industria statunitense si è imposta e che ha rimosso tutte le istanze riconducibili a sesso, violenza e, in fin dei conti, alla vita stessa. In un sistema così regolamentato, l’unica forma di fumetto possibile è presto diventata quella dei supereroi mascherati. I comix underground si sono mostrati indifferenti a quelle regole e, avvalendosi di modi di produzione e di canali di distribuzione alternativi, hanno potuto mostrare tutto, a partire dal sesso e dalla violenza. Un po’ alla volta i temi sono diventati sempre più articolati: gli animali antropomorfi e le nevrosi di Robert Crumb, la psichedelia e l’odore di strada di Gilbert Shelton, il fantasy sessuato e polimorfo di Vaughn Bodè, fino alla fantascienza di Rand Holmes e al racconto storico di Spain e Jaxon.
Dal confronto con queste influenze, Guarnaccia capisce che può inserire nei suoi fumetti tutti i temi che sente propri. Chiedendosi come sia possibile raccontare la società italiana partendo da modelli così lontani, il disegnatore decide di far confluire nei suoi fumetti sensazioni e riferimenti, odore di strada e rimandi al privato.
Partendo da una filastrocca sentita dai genitori siciliani (dumani è duminica), riletta forse attraverso una poesia di Pier Paolo Pasolini (Oggi è domenica), Guarnaccia produce una serie di illustrazioni, rimaste fino a oggi inedite. Ogni illustrazione è colma di riferimenti alla realtà milanese del 1977 e racconta un verso della filastrocca.
Mi pare straordinario osservare come queste immagini siano lontanissime dall’idea più comune di fumetto e sembrino invece rifarsi alla tradizione dei cantastorie: è quella dei narratori di strada che accompagnavano il loro racconto con grandi disegni da mostrare al pubblico, una tradizione di spettacolo di piazza scomparsa rapidamente dopo il diffondersi della televisione. Quella stessa televisione che ha necessariamente un ruolo così importante nel racconto delle trasformazioni del 1977.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).