Come capitato in occasioni precedenti, il tema di questo mese, declinato alla sorgente per celebrare fatti di storia del fumetto, mi coglie sprovvisto di riferimenti. Mentre ne approfitto per andare a leggermi qualcosa sui tre fondatori della casa editrice dal nome caseario, cerco di capire in che direzione andrò con il pezzo di questo mese: l’orientamento che ne viene fuori è puramente associativo, e poco pragmatico, perché mi viene da pensare a un libro e di libri, di solito, ne parlo nella rubrica Interni, mentre oggi tocca a un classicissimo I.B.N.S.L.I.N., ma la cosa si risolve facile perché io Il Formaggio e i Vermi di Carlo Ginzburg non l’ho mai letto. Per qualche ragione, credo retaggio universitario, ricordo l’opera e quello di cui tratta. Fortunatamente, sono un intellettuale mancato e ho una Bildung piena di buchi, peggio di un groviera da cartone animato americano.
A ogni modo, ci troviamo nella temperie culturale e metodologica che decide di prendere a calci la storia événementielle, di cui si riconosce come fucina la cosiddetta École des Annales, per cercare di portare a galla la realtà delle condizioni materiali, mentali e emotive di tutti quelli che non erano re, papi, cardinali o condottieri. Pare un passaggio banale ma non è così. Fino alla quarta decade del XX secolo non c’è nessuno a cui sembri una buona idea, per fare della storiografia maggiore, andare a scavare tra gli straripanti archivi di documentazione minore, generata in modo sistematico e spesso altrettanto sistematicamente conservata, nel corso di secoli di esercizio di funzioni pubbliche da parte degli apparati amministrativi delle varie entità politiche europee. Registri religiosi e civili, atti di tribunali, carteggi vari, c’è di tutto tra archivi di Stato, biblioteche, fondi pubblici e privati – non dico gli zettabyte di puttanate che generiamo in quest’epoca – ma almeno una ricchezza di fonti in larga parte ignorate, o comunque poco frequentate, nei secoli precedenti. Perché poco rilevanti, non essendo attinenti all’impronta alla quale pure noi siamo abituati, pur essendo abitanti della modernità, quella del racconto delle res gestae. D’altra parte, anche nella narrativa, le donne, i cavallier, l’arme, gli amori…
E invece ci si becca questa storiografia tristona che fa riemergere voci altrimenti soverchiate e distrutte, talvolta da istituzioni ancora vive e vegete. È il caso del mugnaio Domenico Scandella, detto Menocchio, friuliano dell’attuale provincia di Pordenone, nato nel 1532 e messo a morte per eresia a Portogruaro da qualche parte intorno al 1599. Mi aiuto a colpi di Wikipedia e blog, ma l’aspetto principale che sembra emergere dalle evidenze della sua vicenda, è che a Menocchio importa veramente tanto poter affermare il suo punto di vista. Su qualcosa per il quale non era previsto, ormai da parecchie generazioni, poter avere un punto di vista personale: la cosmogonia e l’ordine complessivo dell’universo, della vita e di tutto il resto. E non è che si inventa cose in base a strambe tradizioni orali (o meglio, forse anche in base a quelle): sa leggere, possiede libri e non si tira indietro dal ragionarci sopra. Alla fine di tutto, dà un gran da fare agli inquisitori, che riconducono vari lembi del corpus menocchiano a filoni eretici: manichei, luterani, pagani, origenisti. L’accusa di origenismo mi fa venire in mente che con un esempio si capirà meglio la mia tesi successiva: secondi gli origenisti, tra l’altro, l’anima pre-esisterebbe alla nascita e non ci sarebbe nessun inferno (un po’ dei John Lennon, insomma). Apriti cielo, via via che la dottrina cristiana si precisa, a colpi di sinodi e concili, chi resta fuori resta fuori malamente. Le tesi di Origene (sue o presunte, ché tenere pulite le fonti non è semplice in un mondo di tradizione prevalentemente orale) diventano eresia. Non siamo sorpresi.
E quindi, pur senza avere le competenze di teologia e patristica necessarie per entrare nel merito pieno delle questioni, mi viene intanto da sottolineare come sia evidentemente determinante, per questa organizzazione, questo sistema di pensiero, così influente negli ultimi venti secoli, affermare l’esistenza di un polo della punizione, di un luogo iperctonio e eterno con il quale far cacare sotto tutti con la promessa di indicibili tormenti da patire per sempre, ad opera di un volonteroso proletariato infernale, indefessamente dedito a infliggere torture, sotto la direzione dell’amministratore delegato dell’azienda, un figlio di Dio caduto in disgrazia. Teniamo a mente questo apparato, tornerà utile tra breve.
Come sappiamo la minaccia è tanto vertiginosa quanto vaga, perché se da una parte ti si dice chiaramente che esistono una serie di soluzioni per ottenere perdoni, remissioni dei peccati e compagnia cantante (spesso con un listino prezzi associato, ancorché non sempre reso esplicito) non dovrebbe proprio porsi il problema del regno delle tenebre – chi è che non è disposto a pentirsi un pochetto pur di non andare a finire nel lago di fuoco dove i demoni ti attanagliano le palle for ever? Gli origenisti la fanno anche un po’ più semplice, e forse logica, se di logica si può parlare rispetto a simili panzane e allucinazioni: se abbiamo a che fare con un Dio di infinita misericordia, non lascerà che alcuno finisca all’inferno, o no?
Al Secondo Concilio di Costantinopoli la pensarono diversamente e se ne uscirono con qualche chilo di anatemi per Nestorio e epigoni ma anche Origene, Ario e altri ancora. Fast forward quindici secoli e ci troviamo davanti i teologi e gli ecclesiastici cattolici che sembrano propendere per l’inferno più come uno stato che come un luogo, però è evidente che ancora non si sono risolti a prendere un partito se un teologo influente, ancorché controverso, come Urs von Balthazar, verso il 1988 dice che l’inferno «esiste, ma potrebbe anche essere vuoto».
Un po’ come uno di quei palazzoni di uffici, tutti vetrati, che ricordo perennemente sfitti, tra Lorenteggio e Corsico, che gli vedevi il sole declinare attraverso, in mezzo a quella landa di terre smosse dalla perenne cantieristica.
Insomma, Menocchio rimette insieme cose – ma non molto diversamente da quello che credo facciano oggi quelli che si professano credenti. Solo che oggi è l’istituzione che prima li metteva in ceppi e li consegnava al braccio secolare dell’Inquisizione ad andargli incontro, anche se non sempre di buon grado. Tocca farlo, se vuoi tenerti qualcuno in chiesa in occasioni che non siano matrimoni, cresime e comunioni. E non puoi neppure entrargli troppo in testa o metterti a questionare se esprimono un pastiche tipo quello di Menocchio (che era pure un pastiche relativamente colto rispetto all’epistemologia media da strada del giorno d’oggi), è un loro diritto – certo potresti prendere la dottrina dei ventuno concili ecumenici della storia del cristianesimo e debitamente anatemizzare i parrocchiani. Non sarebbe un torto, ma allo stesso modo in cui la municipale si guarda bene dal fare tutte le multe che potrebbe e dovrebbe fare (per nove volte che parcheggi male ti pizzicano forse una…), non solo per pigrizia e noia, ma anche perché l’applicazione della norma porterebbe a una esasperazione del pubblico di cui tutti sono prospetticamente consapevoli (limiti di velocità a cinquanta all’ora su quattro corsie urbane dritte dritte per chilometri) – in quello stesso modo una istituzione che ha faticato in modo sanguinoso per essere (variamente) ortodossa oggi distribuisce buffetti, ammiccamenti o spallucce.
A Menocchio non andò cosi bene. Processato una prima volta per eresia, viene condannato alla detenzione a vita, alla quale viene sottratto a colpi di suppliche – potrà tornare alla vita semilibera, costretto a indossare una sorta di casaccotto da eretico, una roba sobria, gialla con due croci rosse, una davanti e una dietro. Giusto per far capire ai timorati quanto fosse pericoloso il soggetto. Però a Menocchio piaceva parlare, argomentare e dà l’idea che fosse uno al quale il proprio intelletto non spiacesse per niente. Quindi ci ricasca. E stavolta non ci leva le gambe – dagli archivi non restano che un paio di note sparute che ci fanno capire che al volgere del secolo, all’anno 1600, fosse già morto, courtesy of Sant’Uffizio.
Siamo dalle parti della messa a morte di Giordano Bruno, per ragioni del tutto simili.
Il problema di fondo – asciugando via anche il fastidio appiccicoso che produce la chiesa cattolica, con quella religione nella quale gli dei nuovi non riescono neppure a far fuori quelli vecchi, come in quelle classiche (Giove fa fuori Saturno, Lucifero va in punizione…), con questo ribaltamento da parricidio mancato che probabilmente segna dalle fondamenta, o quasi, una visione del mondo nella quale l’assurdo viene proposto sfrontatamente e impunemente ricomposto in ragione di argomenti ex auctoritate (no, voglio dire, vi pare sano che gruppi di uomini e donne ai quali è proibito aver figli abbiano avuto, e vogliano ancora avere, se solo fosse per loro, il monopolio della pedagogia e dell’istruzioni de li piccini? Attenzione però alla trappola dei sillogismi da sacchetto di patatine: non si sta dicendo che devi avere dei figli per sapere insegnare ai bambini, sarebbe idiota. Colpisce il senso del divieto, tutto qua. Come se al meccanico fosse impedito di possedere un’auto – il problema di fondo, dicevo, prima di perdermi un po’, resta sempre quello dell’oppressione dell’individuo come fascinazione suprema che viene puntualmente veicolata dalle strutture di potere verso coloro che le supportano come enabler e enforcer ma anche, a volte, come semplici partecipanti. L’imperativo è stroncare la devianza, purgare la divergenza, umiliarla, se possibile. Sempre restando su uno spunto a tema eresia, mi torna in mente il passo sui priscillianisti che ho letto in L’Eredità di Roma di Chris Wickham: il loro vegetarianismo era visto di cattivo occhio, sapeva di sospetto, e allora il concilio di Braga del 561 stabilì che il vegetarianismo, nei religiosi, poteva essere tollerato a patto che questi cuocessero le loro verdure in un brodo di carne. Così siamo sicuri che non siano priscillianisti.
Ovviamente i priscillianisti non furono mai questa setta eretica così minacciosa. Priscilliano, vescovo iberico del IV secolo venne giustiziato a Treviri nel 385 e le sue idee attecchirono per un po’, fino al VI secolo, e poi finirono nel nulla.
L’appeal della costrizione potrebbe anche essere erotizzato secondo modalità non troppo perniciose (specie se basate sul consenso) ma nel contesto sociale è prontamente pervertito in senso rigorosamente anti-vitale, l’opportunità di schiacciare qualcuno o qualcosa di vivo in un angolo fatto di arbitrio e sofferenza inflitta (impunemente o, ancora meglio, in virtù di una legge, meglio se divina) è una cosa che ha storicamente ancora più successo delle patatine fritte. Basta vedere cosa accade nel caso di soldataglie sguinzagliate nel teatro di guerra. O di altro ancora, anche meno eclatante, anche più nominalmente «pacifico».
Non facciamo qui il riassunto del perché e percome, per mare e per terra, il sopruso e l’abuso regnino (abbastanza) sovrani mentre taluni ci si fanno sopra un sacco di pippe mentali (il vizio hegeliano di riconoscere nella Storia, con la S maiuscola, l’immanenza del divino, non è mai andato via, patologia annacquata dalla sostituzione della Storia con qualcos’altro, ma per niente vestigiale, anche ben dentro il XXI secolo). Non c’è bisogno di riempire un altro inferno vuoto che si troverebbe altrove. Qui, per di più, la manodopera infernale è abbondante e a buon mercato, e non ha pretese angeliche, ancorché da angeli caduti.
E poi uno si stupisce che l’altro sarebbe rimasto vuoto.
[Va bene, ora mi devo prendere il libro di Ginzburg e farmi un’idea di come Menocchio racconta del pastone primordiale che fecero gli angeli per far sorgere l’universo. Prima di scadere in modo permanente nel vizio di parlare, con apparente cognizione di causa, di opere non lette…]
È un percorritore di sentieri interrotti, un professionista dell’amatorialità spinta, un fan della bassa visibilità. Ha studiato amenità umanistiche ma anche il bric-à-brac aziendale. Con il secondo riesce a pagarci i conti. Lettore compulsivo di TS Eliot, Céline, Pynchon, Heller, Vonnegut, PK Dick. Ciclista da strada incidentato, ormai dismesso, curriculum da improbabile sopravvissuto. Quando formarono la band era rimasto solo il basso e quello prese. Nei decenni si è rivelata una non-scelta piena di senso.