Ho perso uno dei miei gatti la settimana scorsa. Quello tutto rosso e selvatico, che avevo salvato, credevo, dieci anni fa da un cortiletto selvaggio in un vecchio edificio del centro. Per questo mi è così penoso ripensare a uno dei miei fumetti preferiti, Chatwin di Tuono Pettinato. L’avevo sfogliato nella libreria della festa di Radio Onda d’Urto qualche anno fa, e ho capito che dovevo comprarlo e possederlo per poterlo rileggere ogni volta che mi andava. Adesso mi sarebbe impossibile: mi vien da piangere solo a pensarci, al gatto Chatwin. Mi faceva già abbastanza piangere quel finale degli occhi aperti sulla notte, la strada buia, l’incertezza. E adesso l’incertezza è proprio quella che provo io per quel gatto maledetto, che mi ha fatto impazzire per dieci anni con la sua incapacità di adattarsi a qualunque tipo di educazione felina e quello sguardo negli occhi verdi e strani e il suo dono a volte, negli ultimi mesi, di materializzarsi acciambellato contro la mia pancia quando dormivo su un fianco.
Chatwin è un libro bellissimo, delicato e crudele proprio come Tuono Pettinato. Ci siamo incontrati alla festa di Radio Onda d’Urto poco dopo l’uscita di Corpicino: è venuto a presentarlo e ricordo che ero molto ansiosa, non sapevo bene come parlare di un libro così fuori da ogni limite, che riusciva a toccare un argomento innominabile come la morte dei bambini e portarlo a casa facendoti sentire spiazzato, insicuro e un po’ vergognoso per Il fatto stesso di appartenere all’umanità.
Per di più l’accordo era che l’avrei ospitato per la notte: la Festa della Radio è una festa di autofinanziamento e siamo sempre super poveri, riusciamo a malapena a coprire le spese di viaggio. Eppure gli autori vengono comunque e noi li facciamo dormire sui divani e i letti degli ospiti dei volontari della libreria, in giro per la città. In questo caso la volontaria ero io. E non avevo idea di chi mi sarei trovata di fronte. È arrivato questo gigante che parlava poco e che aveva due occhi grandi come quelli di Chatwin.
Abbiamo presentato il libro, poi lui ha firmato le copie e mi ha fatto un disegno bellissimo sul frontespizio di Nevermind. Io mi domandavo come fosse possibile che quei disegnini così carini avessero il potere di essere anche profondi e terribili
Dopo avere bevuto qualcosa con altri amici negli stand della festa siamo andati a casa mia e io, da paranoica professionale, ho cominciato a domandarmi di cosa avremmo parlato nei momenti imbarazzanti, prima di andare a dormire Giusto per non dire ciaobuonanotteeee ho fatto partire della musica dal PC, la prima canzone era di Sufjan Stevens e lui ha detto «Ah… Sufjan Stevens… figo» e ci siamo messi a parlare di musica e ho scoperto che era un conoscitore potentissimo di musica indie americana! La conversazione è diventata appassionata, ci siamo scambiati nomi di gruppi, abbiamo ascoltato pezzi, insomma avremo parlato due ore bevendo bicchieri d”acqua nella notte caldissima e profonda finché non è stato tardissimo e a quel punto ci siamo salutati e siamo andati a dormire, ma io l’avevo guardato per un secondo lungo lungo negli occhi che erano grandi, quasi infantili, e l’avrei abbracciata fortissimo, perché quando l’intelligenza si unisce alla dolcezza in quel modo così timido è sempre uno spettacolo un po’ pauroso che mi rende molto felice.
Vive in un condominio affollato e rumoroso. Le sue coinquiline e i suoi coinquilini hanno fatto di tutto nella vita: bibliotecarie, animatrici culturali, speaker alla radio, cantanti, mogli, mariti, amanti, complici… Ora ascolta tutte e tutti e sembra abbia visto, letto e goduto di ogni cosa. Me lei sa che quell’obiettivo non è stato ancora raggiunto e che si trova alla deriva in un punto indeterminato del processo.