«Forse ti sono venuti a noia…»
L’affermazione mi spaventa. In un sibilo, mi appoggia sulla schiena un sacco di anni. E, all’improvviso, sono vecchio e stanco.
Mi stavo lamentando per la difficoltà che sento, da qualche tempo, a trovare fumetti che ho voglia di leggere. Mi tocca rifugiarmi, sempre più spesso, tra le mensole della libreria domestica. Passare con il dito i dorsi allineati e scegliere qualcosa da guardare e riguardare. Ormai, quando entro in libreria, passo in rassegna tutto quello che è uscito: sono anche meticoloso, scandisco le novità di tutti gli editori, sfoglio qualche manga, guardo la nuova edizione di un vecchio fumetto che qualcuno vorrebbe spacciarmi per classico, mi soffermo sulle pagine degli esordienti. Poi, nella quasi totalità dei casi, mi dirigo altrove. Esco dal negozio con una sportina in cui sono riposti libri con sole parole. E ho perfino voglia di leggerli. A volte, mi fermo in un bar, e mentre bevo un caffè, mi ci perdo. Nel frattempo, i fumetti che, da sempre, sono alla base della mia dieta cartacea, sono rimasti lì, nel negozio, vestiti dello sguardo annoiato che ho lasciato loro.
«Forse ti sono venuti a noia…»
Ecco. Sono invecchiato. E non riesco più a entrare in sintonia con le cose meravigliose che un tempo mi avrebbero fatto brillare. Della distesa di libri italiani degli ultimi mesi ricordo solo, per motivi diversi, Uno di David Marchetti, Da sola di Percy Bertolini, Il Nido di Marco Galli, Fiordilatte di Miguel Vila, Georgia O’Keeffe: Amazzone dell’arte moderna di Luca De Santis e Sara Colaone e il pezzo su Pier Paolo Pasolini di Marco Corona su “Smoking Cat” n.4. Se devo allargare lo sguardo su quelli di importazione, mi vengono in mente: Big Questions di Anders Nilsen, Meloni di rabbia di Bastien Vivès, Number 5 di Taiyo Matsumoto, e qualche numero dei manga Neun di Tsutomu Takahashi, Asadora di Naoki Urasawa e Kowloon Generic Romance di Jun Mayuzuki.
La cosa che mi manca veramente è comprare in edicola (o anche in libreria, in fumetteria, con la app di ecommerce, suvvia) qualcosa che mi faccia perdere interesse per tutto il resto. Qualcosa che mi costringa a rimanere a fissare quei disegnetti mentre il tempo mi passa vicino e non mi appesantisce. Perché, diciamocelo, i fumetti, quelli belli, devono afferrarti e non mollarti più. Sono disegnati benissimo e hanno tavole nelle quali hai l’obbligo di perderti e ritrovarti. Per ottenere quelle pagine meravigliose, i fumettisti accumulano racconto nei loro disegni, tracciano carte geografiche precise, progettano narrazioni e itinerari, studiano i tuoi percorsi, ti mettono in mano una mappa che, improvvisamente, diventa il territorio della storia. E, mentre lo fanno, hanno in mente proprio te. I più grandi riescono a disegnare carte così universali da poter condurre all’esplorazione chiunque: un vero e proprio atto d’amore. E, così facendo, vendono tantissime copie.
Il commercio non è certo il loro obiettivo principale. Però ai soldi ci pensano: prima e dopo, ma ci pensano.
Ti faccio due esempi di autori giganteschi che sono riusciti a costruire fumetti proprio per te e solo per te. Chiunque tu sia. Perché, con questo artificio retorico un po’ bolso, ti do del tu, illudendomi di conoscerti, ma alla fine, davvero, non so niente di te. Mi convinco di conoscere le emozioni che provi in questo momento, ma non so dove sei, dove ti siedi, cosa hai mangiato, che birra ti piace, in che posizione dormi… Non so niente di te. E neanche i due fumettisti di cui ti sto per dire i nomi – e che ti amano e pensano proprio a te – ti conoscono.
Il primo è l’autore di Maus, art spiegelman. All’inizio di quest’anno, il McMinn County School Board, una congrega di nazisti del Tennessee (a 500 miglia dall’Illinois, mi dice Google maps, un tiro di schioppo se guidi la Bluesmobile), ha bandito l’insegnamento di quel fumetto da tutte le scuole dello stato. Il primo effetto di quel divieto è stato uno straordinario incremento del 753% delle vendite del libro: 14.360 copie la settimana. Incredibile, vero? A me pare ancora più incredibile che un libro, uscito per la prima volta nel 1986 (trentasei anni fa), venda normalmente negli Stati Uniti – senza bisogno della propulsione pubblicitaria di una banda di fascisti non troppo intelligenti – 1.684 copie la settimana. Maus ha venduto (e vende) nel mondo più di quanto abbia venduto qualsiasi ciclo di storie del personaggio seriale più popolare. Già.
L’altro è Chris Ware. Un’ossessione di controllo sul racconto lo porta a modulare narrazioni infallibili, cercando il punto di equilibrio perfetto tra la storia che sta dicendo e il formato in cui la pubblica. Ha sperimentato le sue qualità di narratore creando “Acme Novelty Library”, una testata (edita da Fantagraphics) in cui sceglieva di cambiare la forma degli albi a ogni uscita: dal tradizionale comic book, fino al fascicolo gigantesco, passando per il libro quadrotto e l’albo microscopico. Questa attitudine alla sperimentazione lo ha portato a costruire pubblicazioni diversissime: libri di grande formato, come Quimby the mouse; scatole da gioco piene di albi diversissimi, come Building Stories; art book, come gli Acme Novelty Datebook; volumi in formato orizzontale composti di centinaia di pagine, come Jimmy Corrigan: Smartest Kid On Earth e Rusty Brown. All’uscita di Jimmy Corrigan, lo stupore ha colpito tutti: un racconto denso e complesso in un formato curato fin nei minimi dettagli, e lontanissimo da quello cui i lettori di fumetti erano abituati. Le vendite di quel libro negli Stati Uniti, poi, ci hanno sorpreso ancora di più: oltre 100.000 copie nei mesi successivi l’uscita.
Ora, lo so, ti aspetteresti che ogni nuova uscita di questi due autori sia accolta con entusiasmo da editori e pubblico. Hm… Siediti: ti devo dire una cosa.
Sigaretten è un progetto editoriale minuscolo. Sul suo sito, si presenta così:
«Sigaretten è una comunità possibile nell’atto creativo. Un progetto nuovo, nato dall’urgenza e dalla necessità di alcune persone, tutte diverse. Una storia nuova che vogliamo raccontare.
In questa storia c’è un vecchio distributore di sigarette polacco. L’idea era quella di metterci piccoli libri da portare con sé ovunque. La macchina non ha mai funzionato, la voglia di fare libri è rimasta!
Le autrici e autori di Sigaretten sono italiani agli esordi, non italiani per la prima volta tradotti, amiche e amici già molto conosciuti, outsider assolutamente insospettabili.
La redazione è formata da disegnatrici, disegnatori, persone che stanno cercando qualcosa. Adriana Mazzitelli/ Benedetta C. Vialli/ Flavio Marziano/ Maria Luisa De Nola/ Rebecca Valente/ Stefano Ricci.»
In poco più di due anni, questa etichetta misteriosa ha pubblicato una ventina di libri, ospitando lavori di Anke Feuchtenberger e Katrin de Vries, Anna Dietzel, Ruppert e Mulot, Flavio Marziano, Beatrice Bandiera, Max Baitinger, Stefano Ricci, Michelangelo Setola, Davide Minciaroni, Rebecca Valente, Cecilia Capelli, Sofia Buratti, Federica Gozzi, Xinlei Gao, Ludovica Sodano, Irene Fattori, Eleonora Castagna, Benedetta C. Vialli, Arcangela Dicesare, Andrea Cacucciolo, Carolina Leonardi, Gaia Ferri, Sara Corsi, Ilaria Ferri, Ma Yuquing, Michela Degioannis, Arianna Farina, Hani Melaohui, Han Li, Elena Ugolini, Zhu Zhu, Giovanna Fabi, Omar Cheikh, Clara Chotil, Bim Eriksson, Lode Herrgods, Lucie Lučanská, Katarzyna Miechowicz, Mia Oberländer, Lisa Ottenburgh, Elena Pagliani, Léopold Prudon, Marc Quadri, Barbora Stranská, Emanuele Cantoro, Rikka Villadsen, Jul Gordon…
In mezzo a questa distesa di nomi, per lo più sconosciuti, emergono quelli di alcuni autori di cui mi fido molto. Quando mi sono imbattuto in un banchetto di Sigaretten durante lo scorso Piccolo Festival di Cremona, mi sono innamorato del progetto. Libri quadrotti, composti da un paio di centinaia di pagine di carta uso mano pesante, con la grafica inconfondibile di Stefano Ricci. Stampati in tirature realmente esigue e venduti unicamente sul sito e in una dozzina di librerie indipendenti.
Certo, tra i nomi che ho elencato ci sono anche quelli di autori importanti. Però, ammettiamolo, nessuno che in Italia abbia speranze di vendite importanti.
Stupisce allora la presenza di due titoli usciti negli ultimi mesi.
A ottobre 2021 è apparso Street Cop Uncovered! di art spiegelman e a febbraio di quest’anno Rusty Brown: Theme Song di Chris Ware.
art spiegelman ha illustrato Street Cop, un racconto di Robert Coover pubblicato da Flammarion nello stesso mese in cui è uscito il libro Sigaretten. Per quel librino ha realizzato una dozzina di disegni, che dialogano con il testo verbale e dicono un sacco di cose riguardo alle ossessioni dell’autore. Quello di illustrare un testo apparentemente minore della letteratura statunitense è un esercizio al quale Spiegelman si era già dedicato con The Wild Party di Joseph Moncure March. In quel caso aveva realizzato decine di illustrazioni, trasformando quel poema in versi in un picture book meraviglioso. In Italia, l’editore Einaudi ha scelto di pubblicare quel libro in un’edizione relativamente economica, nella collana Stile Libero, sparando i neri di spiegelman su una carta così bianca da essere quasi accecante (la ricordo patinata, ma non ho una copia con me su cui verificare). In Francia, Flammarion ne ha pubblicata una versione meravigliosa, un gioiello che combina carte diverse: nella prima metà del libro, che ha una copertina cartonata nera come la notte dell’inferno, c’è la versione a stampa del poema illustrato; nella seconda metà, con una carta che vira al giallo, ci sono le bozze di lavorazione del libro, il testo originale combinato con i layout dei disegni. Quel libro, nel suo insieme è meraviglioso e ti costringe a fare quella cosa che si può fare solo con i libri e che è una delle chiavi di funzionamento del fumetto: devi sfogliare avanti e indietro per trovare le corrispondenze, le somiglianze, le difformità, i cambi di idea e di prospettiva, gli spostamenti dello sguardo, le indecisioni, i ricicli…
Probabilmente, partendo proprio da quella bella edizione Flammarion, a Ricci è venuta l’idea di proporre a spiegelman di raccogliere i materiali di lavorazione delle illustrazioni di Street Cop in un volume Sigaretten. Ma non solo le ultime bozze, quelle prima del disegno definitivo: proprio tutti i fogli di carta da fotocopia (o le pagine del quaderno, non so come lavori lo statunitense) passate e ripassate sistematicamente, per mettere a fuoco l’idea e ottenere l’immagine più efficace. Il solo difetto del libro (ma non è neanche un difetto) è che, per funzionare appieno, deve essere affiancato al volumetto Flammarion.
Rusty Brown di Chris Ware è una serie, occasionalmente raccolta in un volume che non ha un vero inizio e non si conclude, e che racconta centinaia di personaggi, che si incontrano, si scontrano, galleggiano, a volte si appoggiano al suolo. Proprio come i fiocchi di neve che sembrano essere al centro della poetica di quella serie. Rusty, quello che – almeno dal titolo – definiremmo il protagonista, è un collezionista di action figure e paccottiglia pop, ha un’ossessione per Supergirl, è uno dei normalissimi sociopatici di cui è fitta l’opera di Ware. Ogni pagina della serie e del libro è un gioco di incastri, una mappa del tempo che ti obbliga a cercare il punto in cui sia meglio piazzare quel tassello, scoprendone, con un po’ di scoramento, l’assoluta intercambiabilità. Le arachidi e i fiocchi di neve possono essere rimestati alla rinfusa, senza perdere bellezza (sì, hai capito bene, ho fatto un gioco di parole, scemo e impossibile, con Peanuts: a volte mi illudo di essere arguto). Queste possibilità di compatibilità molteplice scatenano possibilità combinatorie sconfinate. La complessità anche strutturale del precedente Building Stories, che costringeva a scelte nella sequenza di lettura degli albi di diverso formato riposti nella scatola, qui è mascherata dall’apparente solidità di un libro con copertina rigida. L’unica cosa che si può muovere, senza danneggiare il prodotto, è la sovracoperta, che può essere aperta, distesa e ripiegata in modo diverso, cambiando l’aspetto del libro nel mondo (quasi si giocasse ad avere variant cover). Una narrazione con una struttura così instabile è potenzialmente infinita: se applichiamo le possibilità combinatorie, ci ritroviamo in un gioco da letteratura potenziale che – come spesso accade con i migliori lavori dell’Oulipo, Ouvroir de Littérature Potentielle – ci dice tantissimo del nostro essere umani. Se accettiamo che Rusty Brown sia una serie, allora è giusto aspettarsi una sigletta. Con Rusty Brown: Theme Song, Chris Ware ci consegna a domicilio la sigla perfetta per il suo personaggio. Il solo difetto del libro (ma non è neanche un difetto) è che, per funzionare appieno, deve essere affiancato al volume (pubblicato in Italia da Coconino Press) e ai libri della collana “Acme Novelty Library”.
Questi due libri Sigaretten sono oggetti editoriali costruiti con materiali di lavorazione, nati attorno alle idee che gli autori, di solito, ripongono in cartellette sul fondo dell’armadio ungherese, se molto ordinati, o nel cesto della carta da riciclo, se indifferenti al processo di lavorazione. Se accetto l’affermazione che ho appena fatto, sono obbligato a dirmi che questi libri che non dovevano esistere. Sono compendi di materiali filologici che servono per studiare gli autori, roba da fondo o da biblioteca. Perché trasformarli in volumi che – con un po’ di fatica, ammettiamolo – chiunque potrebbe acquistare?
Li guardo. Continuo a sfogliarli. Mi metto più comodo sul divano. Trovo il modo giusto per incastrare la schiena tra i cuscini. E, ancora, mi perdo in quelle pagine. Approssimazioni di racconto, che dicono come l’autore ha conquistato la forma della mappa narrativa, che sono racconto e mappa a loro volta. Non ho alcun interesse nel processo lavorativo di spiegelman o di Ware: mi interessano le loro storie. Con questi due libri, apparentemente incongrui ma bellissimi, mi lascio andare nel flusso dei loro racconti. Due giganti che hanno deciso di dedicare a me, e solo a me, i loro disegnetti per perditempo.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).