MOSSO
Tra il 1870 e 1945, Strasburgo cambia nazionalità quattro volte. In questa terra storicamente avvezza alle contese, e in cui si parlano francese, alsaziano e tedesco, nasce nel 1931 Tomi Ungerer.
È stato uno tra i più grandi narratori del pianeta. Uno scrittore che disegnava e un illustratore che usava le parole. Un quasi fumettista che pubblicava libri e tappezzava i muri con manifesti. Ha iniziato a cambiare nazione fin dall’infanzia: durante la seconda guerra mondiale, Strasburgo era stata annessa alla Germania e il ragazzo aveva subito l’indottrinamento scolastico nazista; al termine della guerra, la città era tornata francese.
Con questo imprinting, Ungerer ha subito introiettato la pulsione alla modifica identitaria e – incapace com’era di attendere nuovi corsi storici, derive dei continenti e montagne disposte ad andare da Maometto – ha messo in moto, per tutta la vita, un animo migrante. Da ragazzo, ha attraversato l’Europa in bici, in autostop e imbarcandosi come marinaio per garantirsi un passaggio, toccando, tra l’altro, Islanda, Norvegia, Grecia e Jugoslavia. È arrivato venticinquenne a New York, convinto che avrebbe sbarcato il lunario illustrando libri per l’infanzia e ritrovandosi a lavorare per le riviste più interessanti (“Village Voice”, “Life” e “New York Times”, tra le altre) e a disegnare manifesti – bellissimi e feroci – che attaccavano il governo statunitense, le politiche razziali e la guerra in Vietnam. Si è poi trasferito in Nuova Scozia, Canada, e infine a Cork. In Irlanda ha posto la sua ultima base ed è lì che è morto il 9 febbraio 2019.
Nonostante l’animo migrante, per tutta la vita ha mantenuto relazioni saldissime con Strasburgo, diventando uno dei numi tutelari della bellissima città alsaziana. Ha donato al museo della sua città natale 14.000 disegni, che abbracciano tutti i temi e le forme del racconto toccati da Tomi Ungerer: libri per adulti e piccini, comicità e satira, protesta e analisi sociale, violenza e amore, storia ed erotismo, politica e parodia…
Una vita in movimento, incapace di fermarsi, di scegliere un approdo, una lingua, una forma… Impossibile metterlo a fuoco: sempre mosso.
Avere un piano
Quando questo 2020 sarà finalmente finito, l’unico festival italiano dell’anno, molto probabilmente, sarà stato il Piccolo Festival di Cremona, diretto da Massimo Galletti. Se non hai visto nessuna delle sue tre edizioni, lascia che te lo descriva. Si entra nell’area conviviale di un circolo Arci cremonese e si precipita in una zona temporaneamente autonoma. Un incrocio tra una self area, una festa di paese e, appunto, un circolo Arci. Ci si muove in quegli spazi, sfiorando autori piccoli e grandi (alcuni, addirittura grandissimi); si ascoltano parole che vengono da un palchetto amplificato, dove altri autori parlano del loro lavoro e della passione con Massimo e i suoi amici; si guardano e si comprano libri microediti e microdistribuiti; ci si inerpica su scale impervie per infilarsi in palestre che assomigliano a saloni, dove sono state allestite delle mostre completamente inattese. E, alla fine, si torna a casa arricchiti.
Io, quest’anno, sono tornato da Cremona con un’amicizia nuova. Adesso la cullo e coltivo, come se fosse un fiore delicatissimo. In un momento in cui è difficile incontrarsi, io e Andrea, il mio nuovo amico, ci sentiamo in chat e chiacchieriamo. Come succede agli amici, non siamo d’accordo quasi mai e quel “quasi” è impietoso: esclude solo i libri illustrati da leggere ai figli treenni.
Andrea: Non cincischiare. La tua Carlotta ha 3 anni… Lo conosce Chris Haughton?
Paolo: No, dannazione!
Andrea: Rimediare, rimediare.
Paolo: Da dove partiamo?
Andrea: “Shh! Abbiamo un piano”
O anche “Non avere paura, piccolo granchio”
Ma “Shh!” vince a man bassa.
Passo metà del mio tempo libero a vantarmi dei libri illustrati per bambini presenti in casa. Tutte le volte che qualcuno mi parla di un autore importante che – dannazione! – non conosco, mi sento in difetto. Chiudo la conversazione con un’infilata di nomi inevitabili (i soliti: Maurice Sendak, Leo Lionni, Iela Mari, Raymond Briggs, Bruno Munari, Fabian Negrin…) e poi, dopo aver liberato questa cortina fumogena, vado a tumularmi sotto la mia vergogna. Scappo da Andrea e mi affido alla benevolenza del corriere che mi porterà i libri di Haughton.
Quando arriva, apro il pacco e mi siedo con Carlotta a leggere Shh!. Andrea ha ragione: è bello e divertente e la mia bambina ride e fa il verso ai tre loschi individui che, ignorando la benevolenza del più piccolo, cercano stratagemmi per catturare un bellissimo uccello. Io mi diverto meno. Mentre leggo, sono un po’ distratto, perso in un’altra storia che si sovrappone a questa: I tre briganti di Tomi Ungerer. Non c’è nessuna relazione tra i due libri, ma l’affiancamento di quelle due copertine, che riverbera nei corpi avvolti nei mantelli e sotterrati nei cappelli, mi è inevitabile. Guardo Haughton e sono imprigionato nel racconto del grande narratore di Strasburgo.
Inarrestabile
I tre briganti è un libro del 1961. Non è il primo picture book di Ungerer: il disegnatore si dedica a quella forma con decisione ormai da qualche anno. Non è il libro che un lettore può essere tentato di tenere sul comodino per tutta la vita. È un magnifico libro illustrato, con una struttura semplice e un impianto morale inevitabile. Un messaggio di libertà, uguaglianza e solidarietà che rimane nel tempo. Un invito a usare il denaro accumulato allo scopo di difendere i più deboli. Anche quando quelle ricchezze sono state conquistate con spruzzate di pepe sul muso dei cavalli, colpi d’ascia sulle ruote delle carrozze e un fucile minaccioso puntato sui passeggeri. E poi ci sono quelle immagini: la potenza visuale del libro è dirompente.
L’ultimo libro che ho comprato prima di essere sigillato in casa per decreto è Non stop, ancora una volta di Tomi Ungerer, pubblicato il 27 febbraio 2020 da Orecchio Acerbo. L’edizione originale era uscita postuma, presso l’editore svizzero Diogenes, a cura di Aria Ungerer e di Margaux De Weck, rispettivamente la figlia e l’editor di Tomi. E straordinario osservare come un autore irrefrenabile, abbia dedicato i suoi ultimi sforzi a un libro che dice dell’impossibilità di fermarsi. Il picture book precedente, L’uomo delle nebbie, è datato 2012 e sembra quasi che, da quel momento, Ungerer abbia deciso di rappresentare una corsa contro il tempo per salvare il pianeta.
Uno spirito guida, un’ombra che si anima indipendentemente dalle volontà del corpo, spinge Vasco, il protagonista, a muoversi, a partecipare, a prendere posizione, ad agire, a opporsi all’indifferenza. Una scritta sul muro ammonisce il lettore:
NON SPERARE
RESISTI
Si stima che Ungerer abbia realizzato nel corso della sua vita, durata 87 anni, circa 40.000 tavole. Ipotizzando una carriera produttiva di 70 anni, saremmo di fronte a un disegnatore capace di produrre una pagina e mezza al giorno, con un livello qualitativo straordinario. Una macchina inarrestabile e resistente, incapace di confidare nella speranza.
Il fatto poi che circa un terzo di quei disegni sia ora custodito in una città da cui Ungerer si è allontanato molto presto ci dice di un uomo che ha voluto saldare, in modo indissolubile, le sue radici nella terra natia. Lontano da quella città indecisa, conflittuale, poliglotta e meravigliosa, Tomi Ungerer ha voluto che la gran parte della sua opera fosse al sicuro in un luogo amato da lontano. Un modo per eternarsi, da un altrove.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).