Il senso di Fumettibrutti per le biciclette

Boris e Paolo | Facoltà di cazzeggio |

Boris: Ho visto il tuo post-it. Vorrei sapere dove trovi il tempo per leggere tutto. Io sono a malapena riuscito a rileggere la trilogia di Fumettibrutti uscita nell’economica Feltrinelli.

Paolo: Sta venendo fuori che tu i fumetti li leggi. Per quello ci metti tutto quel tempo. Compri quelli verbosi e passi un sacco di tempo in mezzo a quei balloon fittissimi di parole. Poi ti metti pure a rileggere.

B.: Vabbè, con Fumettibrutti si fila via veloci, mica ci sono i balloon fitti fitti. Comunque, rileggendola la cosa che vedo di più è l’uso narrativo del pantone. In Romanzo esplicito Signorelli ha usato il giallo (reso in stampa con quel verde epatico che grida vendetta!) e il blu. Quei due colori le servono per denotare due luoghi geografici: il giallo è Catania e il blu Bologna. Ma al contempo le servono per connotare due periodi temporali. Un prima e un dopo di cui ti rendi conto leggendo i tre volumi insieme. Non è un caso che P.: La mia adolescenza trans sia giallo e Anestesia, che racconta l’operazione, abbia una predominanza ciano. Il blu dei periodi più recenti di Romanzo esplicito è un colore complementare del giallo e si colloca esattamente dopo il ciano.

P.: Quando mi hai detto che dovevamo esercitare la facoltà di cazzeggio su Trilogia esplicita, ti ho maledetto. Ho letto anche io il tascabilone Feltrinelli in questi giorni e, al contrario di te, prima avevo guardato quei tre fumetti distrattamente. Questo impegno che mi hai trovato mi ha costretto a leggerli. La scelta cromatica è stata la cosa a cui mi sono attaccato per riuscire a finirli.

B.: Beh, senza questa scelta retorica (detto nel più nobile senso del termine) non sarebbero stati gli stessi libri. Ma mi stai dicendo che in fondo non ti sono piaciuti?

P.: Detta fuori dai denti? No. Ci ho ritrovato le cose che mi filtrano all’ingresso tutte le volte che mi avvicino alle storie di Fumettibrutti. Pagine disegnate male e prive di tenuta. C’era quell’adagio sui disegnatori di fumetti western che dovevano confrontarsi con la difficilissima anatomia dei cavalli. Di Romanini che corre in soccorso di Magnus. Ecco… mi pare che per il disegnatore di gioventù metropolitana, la bicicletta sia il nuovo cavallo. Ogni volta che su quelle pagine compare una bici, mollo tutto e mi metto a giocare a Candy Crush. Poi mi è assolutamente chiaro che sono altri i motivi per i quali i suoi fumetti sono importantissimi.

B.: Mi hai fatto ridere e sono andato a rivedermi come disegna le bici (vedi cazzo!, perché poi non riesco a leggere niente… mica ci avevo un post-it, ho dovuto risfogliarmi tutto il malloppone). Comunque, no. Non sono d’accordo. Il segno di Signorelli è uno dei motivi per cui i suoi fumetti sono importanti. Non puoi separarlo dal materiale raccontato. Non puoi chiedere a Fumettibrutti di disegnare come Liberatore (che sarà pure un Michelangelo, ma c’è qualcosa di suo, cioè non scritto da Tamburini o da altri, che non sia trascurabile? Vedi, Eleuteri Serpieri non so come disegna le bici, ma i cavalli divinamente, eppure è l’autore più trascurabile della storia del fumetto…) né come Bretécher (maestra di sottrazione). Il segno di chi fa fumetti è come la voce di chi canta, mica tutti hanno la stessa estensione. E allora o usi l’autotune (quelli che si fanno disegnare i cavalli dagli altri) o trasformi le ottave che la tua voce riesce a coprire in un vantaggio. Secondo me Signorelli è stata bravissima in questo. Ha piegato il suo materiale narrativo al suo segno, rendendo quel segno molto efficace. Le sue biciclette sono brutte? Una volta che ho capito che sono biciclette, per quanto riguarda la qualità del segno che me le identifica come tali, non mi interessa altro.

P.: Non sto pensando a un’idea di realismo ciclistico. Certo, ci sono biciclette in un sacco di fumetti: Dylan Dog scende dalla collina in bici alla fine del primo numero; il giustiziere Défendar ne usa una quando accompagna Blanche Épiphanie di Lob e Pichard; il protagonista di Golden Boy di Tatsuya Egawa gira il Giappone in bici; Taniguchi ne disegna un po’ in In una lontana città… Però ci sono anche biciclette che non vogliono essere mimetiche e realistiche: Linus è seduto sul sellino di dietro terrorizzato, mentre un adulto invisibile lo porta a spasso; Sempé ha disegnato biciclette meravigliose (in Raoul Taburin, per esempio); e, meglio di tutti, Frank Dickens, l’autore di Bristow, nel Grande Boffo.
Faccio questo elenco un po’ perché non ne posso fare a meno e un po’ per ribadire che del “bel disegno” e dei “Michelangelo” mi importa veramente poco. Quando usi la metafora del canto, mi fai incazzare. Perché, da una parte, tiri fuori una cosa di cui ti piace parlare in questo periodo (l’autotune) e, dall’altra, sembri dimenticarti – di proposito – che il fumetto è pagina. Mi interessa veramente poco riconoscere gli oggetti disegnati, mi interessa che quella pagina racconti, sia la mappa della storia che mi vuole dire. Ecco… Fumettibrutti mi tiene alla larga. Le sue pagine non mi parlano. Siccome parto dall’assunto che sia un problema mio, provo a ragionare per assurdo. E se avesse un’attitudine punk e io non la stessi capendo? O, ancora, se avesse maturato il suo racconto guardando ad aree della scena indy e underground che non riesco a leggere? Mi fermo, riprovo a leggere i suoi fumetti, e mi pare invece che faccia riferimento agli shojo manga, che frequento e amo, eppure le sue metafore mi sembrano quasi sempre facili, e la sua scrittura mi pare spesso didascalica. Il tutto montato in pagine che non trascinano il mio sguardo: e allora mi concentro sulle biciclette.
Le sue sono storie che voglio leggere, ma mi rendo conto che mi è più facile leggere una sua intervista che un suo fumetto.

B.: Hm… non è che me lo dimentico che il fumetto è pagina. È che non sono convinto, come sembri esserlo tu, che la pagina, se la intendiamo come struttura che guida lo sguardo lungo percorsi non lineari, sia parte essenziale della sua natura. Certo se penso a Fred o a Crepax la tavola è tutto, ma non è una cosa che vale per tutti gli autori. Schulz lo hai tirato in ballo tu. Però per lui come facciamo a parlare di pagine? Come possiamo parlare di pagina per tutto il fumetto (sia avventuroso che umoristico) che si sviluppava in strisce quotidiane? C’è un fumetto che si sviluppava in direzione lineare (orizzontale) tenendo il ritmo dei 4/4. Ed è fumetto, grandissimo fumetto, che diventava pagina solo nelle tavole domenicali.
Ecco, sono d’accordo con te: Fumettibrutti non costruisce pagine, ma fa un fumetto assolutamente ritmico tutto su un tempo in 2/4 (Romanzo esplicito e P.: La mia adolescenza trans, che ha una struttura ritmica così ricca da riprendere intere “frasi” – per restare alla metafora musicale – di Romanzo esplicito) e 4/4 (Anestesia). E il suo riferimento strutturale mi sembra più quello dei neri anni ’60 che quello, assolutamente variabile degli shojo manga. Se gli shojo manga l’hanno influenzata è per la libertà d’approccio a certe tematiche. Personalmente trovo che la sua capacità di innestare queste tematiche su una struttura peculiarmente italiana, sia – al netto di alcuni moralismi in cui cade e delle biciclette mal disegnate – la forza del suo fare fumetto.

P.: Io credo, invece, che la forza di Fumettibrutti sia il coraggio, la spudoratezza. Mi sembra che il nome che si è scelta per presentarsi in rete, con le strisce e con le foto, spinga a un fraintendimento. Ci concentriamo sui fumetti, sul disegno e sul racconto, ma è stata proprio lei che, fin da subito, ha cercato di spostare l’attenzione dei lettori sul suo corpo. Mostrandolo e commentandolo, enfatizzando le insicurezze, ma esibendo un’incredibile consapevolezza. Poi, progressivamente, ha iniziato a raccontarsi, a raccontare quel corpo e l’uso che ne ha fatto, i desideri che l’hanno mosso, la volontà. Ogni volta ci ha detto un pezzo della sua vita. Ci ha messo a parte di un segreto che era rimasto tale perché, come cantava il Banco in una canzone che si chiama Quando la buona gente dice, «Non mostrarlo agli altri quando sei ferito o sarai colpito a morte». Ha preso a calci le nostre sicurezze di lettori, i nostri perbenismi, anche quelli che ci fanno profondamente schifo ma che, senza scavare troppo, ci troviamo dentro. Per prenderci a calci trasforma il racconto di sé in un romanzo assolutamente esplicito. In epigrafe a Tropico del cancro, Henry Miller, poco prima di dire che quello non è romanzo ma «un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all’Arte, un calcio alla Divinità, all’Uomo, al Destino, al Tempo, all’Amore, alia Bellezza… a quel che vi pare» inserisce una citazione di Ralph Waldo Emerson: «In futuro questi romanzi cederanno il passo ai diari, alle autobiografie: libri avvincenti, se soltanto qualcuno sapesse fare una scelta fra ciò che egli chiama le sue esperienze, e conoscesse il modo veridico di raccontare la verità».
Ecco… mi pare che se prendi l’insieme di Fumettibrutti – profili social, apparizioni pubbliche, interviste, articoli, comparsate televisive e anche i fumetti – ottieni un modo veridico di raccontare la verità. Che può essere dolore e sofferenza ma anche gioia e godimento. Ma se ti concentri su un solo aspetto – per esempio i soli libri a fumetti – il rischio del voyerismo è davvero enorme.

B.: Davvero? Pensa che invece a me i suoi fumetti non sembrano per niente voyeuristici. Anzi, rilevo una sua grande consapevolezza nell’evitare questo rischio, fin dalla prima opera (quella che paradossalmente porta come titolo la traduzione della scritta che categorizzava in America i romanzi porno, Graphic novel, prima che diventasse la definizione di fumetto più in voga). Non c’è nessun autocompiacimento, solo – al limite e già l’ho detto – un po’ di moralismo, non so fino a che punto autentico.
Sono d’accordo invece su quella che, mi sembra tu abbia formulato nella lunga perifrasi che hai fatto per dire che i suoi fumetti non ti piacciono, di Fumettibrutti come autrice-totale. È vero. E questo mi riporta alla mente un grandissimo autore totale. Tondelli. Non li sto paragonando. Ma l’uso del contesto autobiografico che entrambi fanno per costruire il loro racconto, non si esaurisce – appunto in quel contesto (sì che questo sarebbe voyeuristico!) ma si universalizza in un’opera-mondo al limite quasi escatologica. Ammetto che questa ricerca di salvezza (di autosalvezza) che si realizza in quello che definisci il modo veridico di raccontare la verità, non sempre è nelle mie corde. Ma non lo trovo assente dai suoi fumetti se considerati al di là dell’insieme di Fumettibrutti.

P.: Tondelli però non ha mai abbracciato l’autoracconto. È sempre stato attentissimo a prendere le distanze dagli Altri libertini e dai ragazzi di Pao pao. Consapevole com’era, ha sempre raccontato un mondo che conosceva, prendendo le distanze dall’autobiografismo (abbracciandolo forse solo nei Biglietti agli amici). Fumettibrutti racconta sempre se stessa e da quel materiale non vuole staccarsi. Il paradosso è che per fare autobiografia devi vivere. Sennò c’è il rischio di fare come il principe Harry che ci ha promesso quattro volumi di autobiografia. E ha sei anni più di Fumettibrutti.

B.: Sì, quella di Tondelli era più una scelta biografica generazionale ma il succo non cambia. Noi o io, sempre contesto è, e Fumettibrutti non racconta sempre, anzi, non racconta solo se stessa, racconta il contesto. In tutta la trilogia, ma fortissimo in Anestesia, il contesto sociale e culturale, il mondo in cui viviamo, è il vero centro del narrato. Fumetti brutti non è il principe Harry, non è nemmeno me e te, quello che lei è in quel contesto troverà sempre materiale narrativo fondamentale. Ben venga una sua autobiografia continua, secondo me ne abbiamo bisogno, per sapere e per capire.

P.: E ne sarò contentissimo. E sarò contentissimo di vedere tutti i suoi nuovi fumetti in libreria. Mi ostino a pensare che, per sapere e per capire, mi saranno più utili le sue interviste, le sue presentazioni e, eventualmente, le sue storie instagram rispetto a quanto potranno esserlo i suoi fumetti.

B.: A quante battute siamo?

P.: Dodicimila. Nessuna divertente. Ma mica misurerai l’amore con il righello?

B.: Scemo! direi che il pezzo c’è. Il prossimo però lo facciamo cazzonissimo. Su chi possiamo sbragare?

P.: Intanto, per questo, sarò sbranato dalla fanbase di Fumettibrutti. Già me li sento: «Yole disegna le biciclette benissimo. Tu sei un maschio cishet, alle soglie della terza età, che vuole spiegare come si fanno i fumetti!»

B.: Beh. È vero!

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)