Scriviamolo subito e senza mezzi termini: Lost Girls è un capolavoro. Un’opera come non ce ne sono mai state.
Quindi: perché Lost Girls, lavoro importantissimo e dirompente, non è famoso presso il pubblico mainstream? Semplice: perché Lost Girls è un fumetto pornografico. Un fumetto pornografico che tratta e rappresenta anche incesto e pedofilia e, seppur nessuna autorità l’abbia mai condannato per questo – cosa che forse l’avrebbe fatto salire agli onori della cronaca – riconoscendone invece l’importanza artistica e culturale, l’opera di Alan Moore e Melinda Gebbie uscita nel 2006, rimane ancora oggi “soltanto” una chicca per intenditori.
Le contraddizioni che ne accompagnano l’accoglienza di pubblico e critica si sprecano e ne svelano il carattere esplosivo. Lo stesso Moore, commenta: «(…) sin dall’inizio abbiamo insistito nel definire Lost Girls un lavoro pornografico. Penso che se avessimo detto: “Questa è un’opera d’arte”, allora la reazione istintiva da parte della critica avrebbe potuto essere: “No, questa è un’opera pornografica”. Invece avendo dichiarato: “Questa è un’opera pornografica”, allora molte delle persone che l’hanno letta e che potenzialmente avrebbero potuto essere i nostro detrattori, si sono trovate spiazzate e hanno dovuto rispondere: “No, questa è un’opera d’arte”».
Così, il peccato originale di essere un fumetto scritto da un autore famoso per aver realizzato soprattutto storie di supereroi, reclude Lost Girls nella gabbia dei nerd, mentre quello di essere pornografia lo esclude da quella stessa gabbia, abbandonandolo in un limbo dove forse solo gli appassionati di Moore ne possono godere. L’elefante nella stanza della sessualità esplicita infatti è una di quelle cose che non puoi proprio nominare davanti ai lettori di fumetti di supereroi. La loro fantasia erotica che corre dietro a donne e uomini superdotati in tutine aderenti e movenze altamente sessualizzate ma represse, non può essere messa allo scoperto, deve restare sopita e sotterranea, pena la rivolta. E Lost Girls, nell’ambito dei comics, ha subito esattamente questo tipo di critiche, venendo considerato da quei lettori niente di più che un’eccentricità (per usare un eufemismo) di un autore ormai vecchio che passa il tempo a insultare quei supereroi che ha scritto per tutta la vita. Mentre negli altri ambienti letterari è stato semplicemente ignorato.
Ma Lost Girls in realtà non è il progetto senile di un grande autore del passato, tutt’altro. La prima lavorazione dell’opera risale addirittura al 1989, quando la fama di scrittore di Moore era all’apice e i primi cinque episodi della storia furono pubblicati a puntate sulla rivista “Taboo” di Steve Bissette fra il 1991 e il 1992. Poi “Taboo” ha chiuso, e Moore e Gebbie hanno deciso di pubblicare il loro lavoro rivoluzionario soltanto una volta terminato, ovvero circa quindici anni dopo.
Moore ha raccontato più volte i primi incontri di lavoro tra lui e Gebbie, che avrebbero portato i due a una relazione sentimentale e a un matrimonio che dura tutt’oggi: «(…) quando abbiamo iniziato a collaborare a Lost Girls, sin da subito abbiamo dovuto essere molto chiari e onesti in tutti i nostri pensieri e idee e in molte relazioni questo non succede. Molti possono arrivare alla fine di una relazione senza avere mai discusso di argomenti così intimi e personali mentre per me e Melinda questo è stato il punto di partenza per il nostro legame che credo ne abbia sicuramente beneficiato».
Inizialmente la storia doveva essere breve, appena otto pagine, ma quando arrivò l’idea centrale, i due autori capirono subito che la cosa sarebbe dovuta essere ben più corposa. Moore aveva da tempo l’idea di parlare di sessualità in maniera seria, ampia e esplicita, essendo l’argomento importante e presente nelle vite di tutti ma rappresentando allo stesso tempo il più grosso tabù della nostra società. E voleva farlo a fumetti, attraverso una rilettura del Peter Pan di J. M. Barrie, perché, seguendo una delle teorie di Sigmund Freud, i sogni in cui voliamo hanno un legame diretto con la nostra sessualità e Peter Pan è pieno di scene di volo.
Melinda rilanciò, dicendo che amava molto le storie in cui le protagoniste erano tre donne che crescevano insieme attraverso la condivisione delle loro esperienze e così, facendo due più due, se la prima donna era Wendy di Peter Pan, le altre due non potevano essere altri che Alice di Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol e Dorothy di Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum, i tre capisaldi della letteratura per ragazzi anglosassone (un’idea molto simile, com’è ormai chiaro ma chissà se derivata proprio da questa, avrebbe portato qualche anno dopo alla nascita della Lega degli Straordinari Gentleman).
Facendo qualche calcolo basato sulle date di pubblicazione dei romanzi e sull’età delle loro protagoniste, l’unico periodo storico in cui le tre si sarebbero potute incontrare senza che nessuna di loro fosse troppo giovane o troppo vecchia per avere una vita sessuale attiva e cosciente, risultarono essere gli anni Dieci del Novecento, e in particolare il 1914, con l’assassinio del Duca d’Austria e l’inizio della Prima Guerra Mondiale a fare da sfondo, così che Lost Girls, ridotto ai minimi termini, si trasformò rapidamente in una sorta di manifesto hippy, “make love, not war”.
I toni del racconto, suddiviso in 30 episodi da 8 pagine l’uno, per un totale di 240 pagine raccolte in tre volumi di grandi dimensioni, cominciano da un erotismo blando, quando l’anziana altolocata dalle tendenze omosessuali Alice Fairchild, la repressa Wendy Darling, donna di mezza età schiacciata dalla grettezza del marito, e la giovane disinibita americana Dorothy Gale, si incontrano all’Hotel Himmelgarten (“giardino dell’Eden”) in Austria, cominciando una relazione segreta a tre. Nel secondo volume il tutto diventa sempre più esplicito, in un crescendo che culmina con l’uccisione dell’Arciduca Franz Ferdinand che porterà la maggior parte degli ospiti ad abbandonare l’Hotel, lasciando le tre donne, insieme al direttore dell’albergo e alcuni inservienti a proseguire le loro orge in libertà, arrivando alle rappresentazioni esplicite di pedofilia e incesto del terzo volume e ponendo così l’accento sul vero tema centrale dell’opera: la grande distanza che passa fra la rappresentazione dei desideri e dell’immaginazione rispetto alla realtà.
Moore e Gebbie ci dicono che c’è molta differenza tra il pensare una cosa e il metterla in atto, fra il desiderio e l’azione, e che la rappresentazione del desiderio può avere anche un potere terapeutico, disinnescante, rispetto agli impulsi e alle tendenze violente. Insomma, un conto è avere un istinto e dei pensieri “automatici” che ci passano per la testa, e un conto è adoperarsi per far sì che questi pensieri diventino realtà. Questo vale per l’omicidio come per l’incesto o la pedofilia: pensieri aberranti ma che, a diversi livelli e sotto diverse forme, fanno parte della natura umana (perché se così non fosse, semplicemente, non ne avremmo notizia).
Nel 1997, in uno scambio via fax con il fumettista Dave Sim pubblicato poi nella pagina della posta di Cerebus, Moore afferma che: «(…) le nostre fantasie sono reali. Esistono, anche se in un regno immateriale oltre la portata della ricerca scientifica e dell’indagine empirica. Influenzano il nostro atteggiamento e altrettanto fanno con il mondo materiale, in meglio o in peggio. In effetti, la fantasia è una componente fondamentale della realtà e non la si può discutere come di un’entità a sé stante».Non possiamo relegare le nostre fantasie, di qualsiasi natura esse siano a cose senza senso né importanza, solo perché immaginarie. Anche perché, proprio quel nasconderle sotto il tappeto, potrebbe portare alla loro esplosione incontrollata dentro e fuori di noi.
Nello stesso dialogo con Sim, Moore racconta, piuttosto imbarazzato, di un momento della sua infanzia in cui, mentre sua madre gli stava allacciando le scarpe in cucina, lui, vedendo un coltello sul tavolo, ha pensato che avrebbe potuto prenderlo e accoltellarla alla nuca. «Non avevo la minima intenzione di farlo», specifica, ma «semplicemente l’idea mi aveva attraversato la mente, dal nulla».Tra quel semplice pensiero e l’azione vera e propria, sta tutta una serie di valutazioni, senso della misura, contatto con la realtà e capacità di discernimento, che fanno sì che la maggior parte delle persone non dia, fortunatamente, alcun seguito a pensieri simili. Ma, in un modo o nell’altro, li abbiamo tutti. E lo stesso discorso vale per le immagini che vediamo rappresentate nei fumetti, nei film, nei videogiochi, nelle pubblicità o scritte nei libri. C’è la nostra coscienza, fra noi e loro. C’è il nostro discernimento.
L’assunto che oggi crede che i videogiochi incitino alla violenza o che nel 1971 credeva che Arancia meccanica di Stanley Kubrick avrebbe fatto il lavaggio del cervello ai giovani di allora trasformandoli tutti in piccoli drughi, è assolutamente fallace e superstizioso. Al massimo si può discutere di quanto la nostra percezione odierna abbia assottigliato il confine tra ciò che è finzione e ciò che noi consideriamo realtà. Certo, i nostri anticorpi intellettuali e istintivi contro la coercizione occulta e il potere persuasivo dei mondi immaginari sembra si stiano riducendo, ma per pensare che il disegno di un incesto sia un incesto ci vogliono, a mio parere, solo dei pazzi. O qualcuno che non ha nessuna fiducia nella propria coscienza.
Come dice Wendy in uno degli episodi finali di Lost Girls: «Io potevo pensare a quello che volevo. Questo non significava mica che lo volessi davvero».
Un’affermazione molto profonda che andrebbe valutata con attenzione, soprattutto da parte di censori, autorità e uomini di “fede”.
Le finzioni non sono compromesse da effetti e conseguenze, ci dice monsieur Rougeur, il padrone dell’Himmelgarten, mentre fa sesso (sulla pagina) con una ragazzina di tredici anni. La rappresentazione di tutte quelle storie pornografiche che trasfigurano le avventure classiche delle tre protagoniste in avventure sessuali, dipinte da Gebbie con uno stile straordinario e con trovate narrative di altissimo livello, non solo altro, alla fine, che una lunga seduta psicanalitica grazie alla quale Alice, Wendy e Dorothy si riappropriano della propria intimità sessuale di cui sono state derubate tutte e tre in giovane età per i più svariati motivi: lo spaventapasseri, il leone codardo e l’uomo di latta sono nel fumetto tre contadini che hanno fatto perdere la verginità a Dorothy, che in seguito avrà anche, a più riprese, rapporti con suo padre, “il grande e possente Oz”; Peter Pan è un vagabondo che si prostituisce e che fa scoprire a Wendy e ai suoi fratelli la sessualità, spingendoli all’incesto sotto gli occhi avidi del voyeur deforme Capitan Uncino; il coniglio bianco è un amico del padre di Alice che la violenta in segreto quand’è ancora bambina, avviandola a una vita di prostituzione e droga come amante e schiava di Miss Regent, la “Regina di Cuori”, e così via.
Allo stesso tempo, anche chi legge è costretto a affrontare i propri desideri sessuali, le proprie ferite, le proprie ossessioni che Moore e Gebbie gli squadernano davanti senza veli né pudori. I due autori hanno creato una pornografia assolutamente pansessuale (gender fluid, diremmo oggi) fruibile e apprezzabile da chiunque, etero, omo, trans o non binario che sia, con l’intento preciso di proporre finalmente una pornografia che possa dirsi arte.
La lettura dell’intera storia tutta di fila può essere per certi versi sfiancante, soprattutto negli episodi finali, quando il climax psico-sessuale raggiunge l’apice e gli argomenti e le rappresentazioni si fanno sempre più assidue e esplicite, ma alla fine ne vale davvero la pena.
Lost Girls ha finalmente donato ai nostri desideri reconditi una prima opera di riferimento, che li tratta con dolcezza e passione, senza deriderli né santificarli, ma lasciandoli correre liberi nelle distese dell’immaginazione. Riconsegnando loro il ruolo centrale che già hanno nella nostra vita, pur se facciamo di tutto per nasconderli e reprimerli. Sulla carta, il desiderio e l’immaginazione possono tutto, e spesso è meglio lasciarli liberi lì piuttosto che altrove.
Come recita uno dei passaggi più intensi dell’opera:
«Le pornografie sono i boschi incantati dove il nostro io più segreto e vulnerabile può giocare in tutta tranquillità. (…) Sono i lussuosi palazzi che tutte le polizie e gli eserciti del mondo esterno non potranno mai saccheggiare o ridurre in macerie. (…) Sono i nostri giardini segreti, dove seducenti sentieri di parole e immagini ci conducono alla porta accecante del nostro piacere, oltre cui le cose possono essere espresse in una lingua che supera ogni letteratura».
[continua]
Arnesi del cartografo
Lost Girls di Alan Moore e Melinda Gebbie è stato pubblicato in Italia da Magic Press nel 2008, in tre bellissimi volumi cartonati. Da quell’edizione è presa la citazione a chiusura del pezzo;
le parole di Moore sono tratte dall’intervista che gli hanno fatto smoky man e Antonio Solinas nel 2008, Lost Girls, la sessualità, la pornografia, poi raccolta nel volume a tiratura limitata, curato sempre da smokyman, Alan Moore – 5 interviste, (Diart Digital Art, 2019);
c’è purtroppo poca letteratura in Italia su quest’opera magnifica: le cose più interessanti le si possono trovare, oltre che dove già citato, nei volumi Le straordinarie opere di Alan Moore di George Khoury (Black Velvet, 2011), Alan Moore: Storyteller di Gary Spencer Millidge (RW Lion, 2012), e sul secondo numero cartaceo di QUASI, dove Andrea G. Ciccarelli ha scritto un bel pezzo in proposito. Lo puoi trovare QUI.
Scrive fumetti e scrive di fumetti, poi scrive anche canzoni e le canta, insieme a quelle degli altri che gli piacciono. Il suo sito è www.francescopelosi.it.