C’è stato un momento, me lo ricordo perfettamente, che tutt* leggevano Manu Larcenet. Un autore che ho conosciuto decisamente per sbaglio, affascinato una volta a Fumetti in TV, allo stand di QPress, da un enorme sketchbook di formato orizzontale intitolato Ex Abrupto. È il primo suo libro che ho acquistato, una mole importante di disegni non sequenziali. Soprattutto, un libro muto, che il francese non l’ho mai masticato. Da QPress uscì poi anche Come sopravvivere in azienda, un’opera che (forse a torto, eh) considero minore, ma comunque una divertente sequenza di gag su ufficio e posto di lavoro, anche se ammetto che il libro l’ho acquistato molto dopo aver cominciato a leggere Larcenet, in un tentativo, fallito, di completismo bibliografico. In realtà i suoi primi libri a fumetti li ho comprati in Francia, ora non ricordo esattamente dove, era una vacanza in auto nella traiettoria di campeggi e alberghetti a poche stelle tra Nizza e Arles, in una enorme libreria con una intera stanza dedicata alla BD. Stagliato di fronte a tutti questi titoli che non avrei saputo leggere trovo un intero scaffale di libri dedicato a lui e senza pensare ne compro un paio: La ligne de Front e il primo volume di Le Combat Ordinaire.
Praticamente non faccio in tempo a tornare in Italia (no, scherzo, saranno passati un paio di mesi) che vedo la copertina di Le Combat Ordinaire svettare nelle librerie italiche. Il formato è più piccolo, un classico formato “graphic novel”, ma il numero delle pagine è il doppio rispetto al libro che ho (e che non posso leggere, ricordate il mio rapporto col francese?): Coconino Press ha raccolto i primi due volumi della serie in uno, ottimo colpo, lo prendo.
Non ricordo quanti mesi passano tra l’uscita del primo e l’arrivo in libreria del secondo volume, ma quello che ricordo bene è che Lo scontro quotidiano è stato un libro capace come pochi altri di sfondare quel muro di gomma che separa(va?) i fumetti dalla letteratura: c’era un sacco di gente “normale”, dove per “normale” intendo non lettor* di fumetti, attratta da quel libro. L’ho regalato un sacco, ed è sempre piaciuto, anche a chi ha sempre avuto davvero poca dimestichezza con vignette e nuvolette.
Nel secondo volume il racconto da intimista diventa generale, si affronta la politica. Larcenet mette insieme alcune delle parole più importanti e immediatamente comprensibili per capire perché la classe operaia francese si è spostata a destra, arrivando addirittura a sostenere Le Pen. Ho la sensazione che questa entrata a gamba tesa della riflessione politica abbia allontanato alcuni dei lettori che hanno apprezzato il primo volume, ma comunque dall’uscita di quel libro Larcenet diventa un autore considerato anche in Italia, comincia a vincere premi (uno l’ho addirittura ritirato io al Treviso Comic Book Festival, durante il quale per tutta una serie di coincidenze non riassumibili in poche righe mi sono trovato a rappresentare Coconino nel riceverlo), i suoi lavori cominciano a essere stampati e ristampati con continuità. A Lo scontro quotidiano segue un esperimento affascinante: con Ritorno alla terra e il sostegno dello sceneggiatore Jean-Yves Ferri, Larcenet ci racconta la stessa storia de Lo scontro quotidiano solo… in versione umoristica. Leggere le due storie in parallelo è straniante: una è la parafrasi dell’altra ma con registri narrativi diversissimi.
Coconino continua a presentare regolarmente opere dell’autore, non prendo tutto tutto, ma parecchio sì. Diciamo che l’impressione è che le storie di Larcenet si siano fatte via via più crepuscolari (e non che Lo scontro quotidiano fosse una sfilata di carnevale, eh): dal colossale e voluminoso Blast, fino all’oscuro Il rapporto di Brodeck, tratto dall’omonimo best seller letterario (in Francia) di Philippe Claudel.
Poi, l’autore scompare per un po’ di tempo dai radar. Fino a tornare con il suo ultimo lavoro in tre volumi, di cui è appena uscito l’ultimo (il 19 gennaio in libreria sempre per Coconino): Terapia di gruppo. Scopriamo che negli anni Larcenet ha avuto dei problemi, è ricorso a dei periodi di ricovero in una clinica per la salute mentale, sente che l’ispirazione se ne è andata, che non gli è possibile realizzare il libro a fumetti del secolo, la stella danzante che ha ispirato i suoi libri migliori non c’è più. Fine, caput.
Tutto questo raccontato in prima persona dall’autore stesso, che in questo mi ha ricordato un po’ i fumetti di Zerocalcare: non siamo davanti a “una storia”, ma davanti a un autore che ci sta raccontando una storia, usando il linguaggio del fumetto al pari delle parole per esprimere concetti e avvenimenti. Forse mai come in questi libri mi ero reso conto di quanto versatile fosse Larcenet, di quanti registri narrativi diversissimi tra loro sia in grado di usare e rendere omogenei in un racconto, di quanto sia davvero bravo a esprimersi col disegno. Terapia di gruppo ci racconta in modo divertente qualcosa di orribile: un autore alla deriva, senza più idee, costretto alla terapia per tornare a essere se stesso. Ho trovato particolarmente divertenti e strazianti i siparietti che lo vedono interagire con la sua famiglia: costretto alla concentrazione quotidiana che richiede la pratica del fumetto i due figli e la moglie paiono degli alieni distanti, senza argomenti comuni di cui parlare. Dall’altro lato in una amara consapevolezza è lo stesso autore che preso dall’urgenza del racconto ci mostra quanto tralascia i suoi doveri casalinghi addossando tutto sulle spalle della moglie.
I tre libri che compongono l’opera sono pieni zeppi di idee, lo stile di disegno cambia di pagina in pagina (nel terzo volume arrivando addirittura a delle pagine disegnate in perfetto stile manga) in un racconto sincopato e denso. Sì, denso, parliamo di tre libri di una cinquantina di pagine l’uno che si leggono, ognuno, nello stesso tempo di graphic novel di 200 e più pagine. Succedono un sacco di cose anche se non succede niente, fino a scoprire (ma sì, non è uno spoiler), che quello che abbiamo letto per tre libri è esso stesso la terapia: per uscire dalla crisi (non solo lavorativa) in cui è finito, la soluzione per Larcenet è raccontare se stesso e quel pazzo, pazzo mondo che gli si agita dentro quando non è sopito dagli psicofarmaci. Così la ricerca stessa delle idee per realizzare un capolavoro diventa… un capolavoro? Sono timido a usare questa parola, ormai, l’ho letta troppe volte e l’ho vista troppe volte applicata a opere che non lo meritavano. Diciamo che Terapia di gruppo mi ha fatto tornare in mente (no, in realtà ce l’ho sempre, in mente) una frase di Antonio Negri, recentemente scomparso, che fa circa così: «La rivoluzione non è un processo espansivo, ma intensivo». Non è “quanti” possiamo aggregare per fare la rivoluzione, il nodo (ehi, signor giudice, è una metafora!), ma piuttosto “quanto” le soggettività rivoluzionarie la vivono quotidianamente, a fare la differenza.
E penso che in un qualche modo sia così anche per il fumetto: purtroppo per il suo editore, dubito che qualunque volume di Terapia di gruppo arriverà a toccare il numero di edizioni e copie vendute de Lo scontro quotidiano. Ma da quella grande platea di lettori che ha scoperto Larcenet con Lo scontro quotidiano, probabilmente andata pian piano ad assottigliarsi man mano che i toni dei libri diventavano più cupi e senza speranza, quei reduci che si concederanno la lettura di Terapia di gruppo godranno di un’esperienza di fumetto intensa e appagante, come se ne vedono poche in giro.