Ceneri

Boris e Paolo | Strani anelli |

Impermeabile bianco, atteggiamento assorto, Pier Paolo Pasolini sosta davanti alla tomba di Gramsci, nel cimitero acattolico di Roma, a Testaccio. La posa, l’angolazione dell’inquadratura, la scelta del bianco e nero, sono studiate nel dettaglio per comunicare un senso di spontaneità della fotografia, come se fosse un’istantanea. Come se il poeta fosse stato colto dal fotografo durante un intimo pellegrinaggio su quella tomba. Ma l’artificio retorico arriva fastidioso allo sguardo, vanificando il maldestro tentativo dell’autore dello scatto.

Era il 1970, o giù di lì. La poesia Le Ceneri di Gramsci era uscita su “Nuovi Argomenti” quattordici anni prima. L’artificio iconico di quella foto rimanda alla artificiosa e letteraria fascinazione del poeta per un’idea mitica di un popolo e di un tempo che non ha mai avuto riscontro alcuno nella realtà. Un’idea il cui seme germogliava proprio tra i versi di quella poesia. Anche se non riusciamo, o non sappiamo, amare l’opera poetica di Pasolini, non significa che non siamo sufficientemente sinceri da ammettere che il verso iniziale de Le Ceneri di Gramsci, che volge in negativo l’attacco di una delle più belle canzoni di Salvatore Di Giacomo, «Era de maggio, fresca era ll’aria», sia uno dei più belli della storia della poesia italiana. Quel suo «Non è di maggio questa impura aria», ci risuona continuamente nelle orecchie.

Probabilmente colpa o merito dei fratelli Severini che con la loro Non è di Maggio, sono riusciti a fondere in modo originalissimo il pessimismo pasoliniano con l’ariosità della musica di Mario Costa scritta per la canzone di Di Giacomo.

Una canzone sui tempi della nostra sconfitta, che si apre alla speranza di un tempo della vittoria. Sono passati vent’anni dall’uscita dell’album Controverso, e quelli che stiamo vivendo sono ancora i tempi della sconfitta. Questo dovrebbe indurci, se non fossimo animati da quell’indomito ottimismo della volontà che ci caratterizza, a rassegnarci. Come fa Angela, la madre di Frank McCourt (alla quale, nel film che Alan Parker trasse dal romanzo, ha dato il volto una strepitosa Emily Wattson), che dopo una vita di lotta contro la miseria, decide di arrendersi e di passare il tempo che le resta fumando sigarette davanti alla stufa.

Fu una cosa divertente all’epoca, scoprire che le Ceneri di Angela, non erano quelle dentro l’urna funebre (Angela non muore nel romanzo di McCourt), ma i resti delle sue sigarette. Trattandosi di una donna irlandese, profondamente cattolica, in fondo è sensato che le sue ceneri non siano quelle della cremazione, ma un rimando simbolico alle ceneri dell’ulivo (una pianta come il tabacco) che vengono bruciate il Mercoledì delle Ceneri per celebrare l’ingresso nella quaresima. Durante questo  rito religioso, quelle ceneri vengono sparse sul capo dei fedeli a ricordare la miserevole caducità della vita.

Mentre la divertente scrittura di McCourt accompagna il lento spegnersi di Angela tra la cenere delle proprie sigarette che le ingialliscono i denti, la nostra memoria corre a un libro che costò al suo autore il rogo. Sì, Giordano Bruno fu ridotto in cenere per aver scritto la Cena delle ceneri, in cui sosteneva – in largo anticipo sui postmodernisti – che nelle Scritture non ci fosse una verità assoluta, ma che andassero interpretate e che le interpretazioni potevano essere varie e diverse.

Come accade in quella saga a fumetti degli X-Men, Dalle Ceneri scritta da Chris Claremont nella prima metà degli anni Ottanta, che inverte il valore cristiano delle ceneri, trasformandole da simbolo di caducità, a terreno fertile di rinascita. Ma quella della Fenice di Madelyne Pryor è una rinascita viziata dall’inadeguatezza del continuo confronto con la Fenice precedente, Jean Grey.

La stessa inadeguatezza che ritroviamo, anni dopo, in Walter Sobchak. Te la ricordi la penultima sequenza del Grande Lebowsky, vero? Quando lui e Drugo sono sulla scogliera per spargere nell’oceano Pacifico le ceneri dell’amico Donny e, dopo un discorso solenne e apparentemente sconclusionato, Walter apre il barattolo e versa la ceneri; ma il vento invece di portarle verso l’oceano le rispedisce in faccia ai due imbiancandoli comicamente. E tu, spettatore, scoppi in una risata liberatoria che ti resterà dentro per sempre. Drugo s’incazza e Walter si scusa. Poi se ne vanno al bowling. Nell’immagine contrita di Walter c’è molta più verità che nello sguardo assorto del poeta sulla tomba di Gramsci. Se non è maggio, può essere solo per due motivi, o perché è ancora aprile o perché è già giugno.

Questo strano anello è composto da:

  • Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, 1956.
  • The Gang, Non è di maggio, canzone contenuta nell’album Controverso, 2000.
  • Frank McCourt, Le ceneri di Angela, Adelphi, 1997 (e il relativo film che ne ha tratto Alan Parker nel 1999).
  • Giordano Bruno, La Cena delle Ceneri, qualsiasi edizione va bene.
  • Chris Claremont, Paul Smith, Walter Simonson, Dalle Ceneri,edizione più recente Panini, 2019.
  • Il grande Lebowsky, di Joel  e Ethan Coen, 1998.

Neanche a dirlo, abbiamo accompagnato tutto questo con qualche giro di White Russian: un tumbler colmo di ghiaccio, in cui si mescolano 5 parti di Stolichnaya e 2 parti di Caffè Sport Borghetti, poi si aggiunge della panna montata agitandola nello shaker. Lo beve anche Halle Berry nei panni di Catwoman. Questo non aggiunge niente allo strano anello, ma al piacere di bersi un White Russian sì.

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