Quando Custer di Trillo e Bernet era ancora fantascienza

Boris Battaglia | post-it |

D. G. Compton (morto lo scorso novembre, ultranovantenne) è stato uno scrittore inglese di fantascienza molto prolifico e, per alcuni versi, molto originale. Nel 1974 pubblicò un romanzo intitolato The Continuous Katherine Mortenhoe.
Tradotto in francese nel 1975 dall’editore Calmann-Levy con il titolo di L’incurable (per chi non masticasse nessuna di queste due lingue, ne esiste anche un’edizione italiana del 1983 per le Edizioni Nord con il titolo L’occhio insonne, da recuperare su qualche bancarella o su ebay), attirò l’attenzione di un lettore particolare: Bertrand Tavernier.
Tavernier è uno dei miei registi feticcio, ma non è questo che importa. Dal 1977 godeva di una certa libertà produttiva per garantirsi la quale aveva fondato una propria società, la Little Bear. Così si comprò i diritti del romanzo e nel 1979 ci realizzò un film, intitolato La morte in diretta, che presentò nel febbraio del 1980 al 30° Festival Cinematografico di Berlino.
Katherine Mortenhoe (interpretata da una splendida Romy Schneider) è un’autrice di romanzi rosa di successo, con la particolarità che non li realizza scrivendo, ma programmando una specie di Intelligenza Artificiale. Quando scopre di avere una malattia terminale firma, non senza un iniziale ripensamento, un contratto con un potente network televisivo, cedendogli i diritti d’immagine dei suoi ultimi giorni di vita. Per 600.000 dollari l’emittente filmerà la sua vita fino all’ultimo, mandandola in onda in un programma che viene chiamato La morte in diretta. Proprio prima di iniziare le riprese, Katherine ha un ultimo definitivo ripensamento e fugge, senza nemmeno prendere il compenso.

Durante la fuga incontra Roddy (a cui dà il volto Harvey Keitel), che la aiuta a nascondersi. Solo che Roddy è un inviato del network e ha delle telecamere installate negli occhi, con cui riprende ogni attimo di Katherine a sua insaputa.
Se non hai letto il romanzo e non hai visto il capolavoro di Tavernier e non vuoi spoiler adesso passa al paragrafo successivo: Roddy e Katherine si innamorano, poi Roddy scopre che la malattia di lei è stata causata dallo stesso medico, al soldo del network, che l’ha diagnosticata. A questo punto si acceca interrompendo le trasmissioni.

Doppiato il fatidico anno orwelliano, l’edizione spagnola della rivista “1984” cambia nome in “Zona84”. Tra i personaggi che, nel 1985, inaugurano la nuova testata ce n’è uno, femminile, nato dalla collaborazione (la prima di una lunga serie) tra Carlos Trillo e Jordi Bernet: Custer.
Giovane attrice dal (probabilmente) fulgido futuro, Custer firma un ricco contratto con un network, accettando che la sua vita sia seguita passo a passo dalle telecamere e trasmessa quotidianamente in un format televisivo. Di avventura in avventura Custer perde tutto perché tutto viene reso pubblico: l’amore, l’intimità, la libertà. Alla fine, perde anche la voglia di continuare a vivere. No… non agitarti, non te lo svelo come si conclude la serie. Noi che abbiamo una certa età abbiamo letto i nove episodi che compongono questo fumetto prima su “Comic Art”, poi sulla “Be Bop a Lula” di Bonvi e Red Ronnie, poi su “Lanciostory” e infine in volume, per Acme. Adesso c’è in giro un volume Allagalla di qualche anno fa. Ti avessi fatto venire voglia di leggerla puoi cercarlo direttamente presso l’editore, oppure la trovi in tutte le edicole, perché ora la sta riproponendo, nella sua collana da edicola “I grandi Maestri”, Editoriale Cosmo.

Eh, che dici? Che di edicole non ce n’è più? Vabbè, trovi il giornaletto su quel grosso negozio digitale che te lo recapita a casa in un tempo minore di quello che ci mettevi tu a scendere da casa all’edicola di quartiere.
Ma non è di distribuzione e vendita al dettaglio dei giornaletti che ti volevo parlare. Sono andato a leggermi vecchie recensioni dedicate a Custer, roba dei tempi dell’edizione Allagalla, e mi sono reso conto che chi scrive di fumetti di solito non è in grado di collocare criticamente ciò di cui scrive nel più grande contesto del nostro immaginario. Parlano di fumetti avendo letto e guardato solo fumetti.
Tutte le recensioni tirano in ballo il film The Truman Show e lo show televisivo Il Grande Fratello. Lo fanno perché è Trillo a citarli nella prefazione del volume. Trillo li cita perché il film è del 1998 e Il Grande Fratello del 2000. Questo gli permette di spacciare l’idea su cui si sviluppa Custer come una trovata originale.
Ora, Truman c’entra proprio niente con Custer, in quanto il protagonista è assolutamente inconsapevole di essere filmato e di vivere in un set (e il film è la cronaca di un atto di ribellione a Dio, non una critica al mondo dello spettacolo), mentre Custer sa di essere seguita dalle telecamere ma si muove nel mondo esterno. La situazione di Custer ricorda più quella dei partecipanti al Grande Fratello, se non fosse per il fatto che costoro sono chiusi in un set che limita necessariamente le loro scelte e le loro azioni, mentre Custer è libera di agire come crede: al limite le sue azioni saranno rimontate in studio, ma sulla realtà, come racconta l’episodio di Annabelle, è la sua volontà a incidere, telecamere o meno.
Comunque, fatti questi distinguo, resta il fatto che Trillo nella prefazione (che puoi leggere anche nell’edizione Cosmo) trasforma Custer in una specie di capostipite tematico.
Non è vero.

In questo fumetto di idee originali non ce ne sono. Anche quella più potente e che, a mio avviso, meriterebbe un’attualizzazione, cioè quella del complesso rock composto di maschi brutali che sembrano, un pezzo a ogni concerto, l’unica componente femminile del gruppo, Annabelle, è sostanzialmente derivata – con le ovvie e necessarie modifiche – dai racconti macabri di Gaston Leroux.
Come tutti i grandi autori Trillo era, quando raccontava, un mentitore spudorato e ha realizzato con Custer un piccolo gioiello di fumetto postmoderno (non mi stancherò mai di ripeterlo: il postmoderno non è, come credono tanti autorucoli, il citazionismo stucchevole, ma la consapevolezza dell’autore che il lettore o lo spettatore sono autori tanto quanto lui dell’opera in oggetto. Per questo Trillo può mentire con noncuranza: sa che i suoi lettori – tranne gli specialisti di fumetto – sanno che lo sta facendo).
Insomma, il lettore postmoderno sa che solo su una cosa Trillo non mente. Quando scrive: che negli anni in cui lui e Bernet hanno realizzato la storia di Custer, raccontare la vita di una donna seguita costantemente dalle telecamere era ancora fantascienza. È vero: un romanzo di fantascienza scritto da D.G.Compton.

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